Qui in Venezuela i giorni passano a ritmo di salsa, merengue e reggaeton che nelle busette [1] non mancano mai, anzi, spaccano i timpani con un volume allucinante.
I finestrini sono perennemente aperti, così come le porte che, se integre, sono spalancate pure quelle e persone di tutti i tipi, usi e costumi ammassate, mezze fuori e mezze dentro.
I ritmi di vita sono diversi da quelli Europei, ve lo assicuro: “la parada Señor!” – ecco cosa si “grida” per far fermare l’autista dove devi scendere- devo dire che è molto divertente!
Sono quasi 2 mesi che sono qui insieme alla mia compagna di avventure Alessia, e volevo condividere una riflessione che mi ha ispirato un giorno l’incontro casuale con una colomba.
Premetto che ho avuto la fortuna di vivere il primo mese in un quartiere periferico di nome Urbanizazion Carabobo che comprende un numero indefinito di “case”, alcune veramente carine, pittoresche, con colori accesi, tutte vicine vicine, con porticati coperti che ospitano per lo più sedie e tavoli di ferro battuto o vimini, quadri e piante; tutto racchiuso da cancelletti e/o portoni con sbarre ovunque alle finestre e alle porte. Comprende anche una zona chiamata Barrio [2], equivalente delle nostre Baraccopoli.
Un giorno con Mayra, responsabile della fondazione, siamo andate al Barrio per portare la comunione agli infermi e ai malati, abbiamo visitato una famiglia e mi ha colpito molto l’aver visto un catalogo di prodotti dell’Avon che, per chi non lo sapesse, sono prodotti cosmetici. Culturalmente qui puoi non avere da mangiare ma l’aspetto fisico conta molto: il capello sempre in ordine con oli e gel super strong, le unghie delle ragazze/donne sempre in ordine con gel, brillantini e smalti multicolor. Queste sono cose che non mancano mai: parrucchiere ed estetiste qui vanno per la maggiore.
Arrivando da un continente diverso, con una cultura palesemente differente non ho potuto non fare dei paragoni, delle riflessioni, pensando a questo popolo così solare accogliente e contraddittorio; un po’ come vedo l’Italia a volte, perché allora mi sorprendo?
Perché forse qui la povertà è evidente, con bambini che lavorano stando per strada con i genitori tutto il giorno; perché qui per ogni cosa o scusa le scuole chiudono, hanno tante “festività” che io nemmeno in tutti i 5 anni di elementari sono rimasta a casa così tanto. Quest’anno scolastico per esempio finisce a fine luglio per recuperare tutti i giorni di assenza. Il lavoro in nero è molto diffuso qui, ma da un certo punto di vista, piuttosto che non fare niente, molte persone si guadagnano il pane vendendo dolci, gelati, pomodori e patate ai semafori.
Mi rattrista perché mi da’ l’impressione che si tratti di situazioni sociali davvero difficili da migliorare, anche a causa della politica che non interviene molto in questo senso. Il Presidente Chavez qui in Venezuela non vuole persone ricche, vuole dare le seconde case di proprietà a chi non ne ha, è davvero una bella cosa, ma a che prezzo? per far rimanere comunque il Paese povero, controllato, ogni mese c’è un alimento che manca come olio, farina, latte in polvere; sabato scorso mi è capitato di girare diversi supermercati senza trovare niente…
Paradossalmente un’assurda realtà, dove però poi ci si rassegna, non potendo fare altro, e ci si adatta.
Davvero tutto il mondo è Paese? Se guardiamo la nostra realtà, noi come siamo? Abbiamo anche noi delle contraddizioni? Nella nostra “democrazia” siamo davvero così liberi?
Veder volare in questo quartiere periferico una colomba di un bianco così accecante e raro, tra tonnellate di lamiere calienti, mi ha fatto riflettere quanto alle volte una cosa centri poco con l’altra, ma forse è proprio questo che la rende speciale, nel bene e nel male.
Note:
[1] Variante tipica dei nostri autobus
[2] La traduzione letterale è “quartiere”
Per approfondimenti su quello che accade a Merida di seguito il sito del giornale locale:
http://www.picobolivar.com.ve/
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