Caschi Bianchi Ecuador

Siamo tutti un po’ disabili

Guardando da fuori sembriamo tutti un po’ disabili, un po’ incapaci di capire, di comprendere, di sapere. E allora chi è disabile e chi no? Dove sono i criteri di distinzione? Cosa ci rende realmente sani o un po’ disabili? Cosa manca? Come aiutare queste persone …

Scritto da Chiara Chiostergi, Casco Bianco a Ambato

Eccomi qui a scrivervi dall’Ecuador per raccontare quello che succede qua, ma soprattutto perchè confrontarsi con una realtà molto diversa dalla nostra è un buon punto di partenza per riflettere su come siamo noi, cosa tenere e cosa buttare. Il confronto spesso è utile, ma dovrebbe essere fatto con intelligenza altrimenti ne scaturisce solo competizione e senso di frustrazione dove si ha un perdente e un vincitore. E l’Italia, vista da qui, rappresenta un’Europa “vincitrice”, dove tu sei il forte e chi sta qui è già un individuo di seconda categoria. Come è difficile a volte restituire un po’ di dignità nelle semplici conversazioni quotidiane.
Il settore della disabilità, settore nel quale sono maggiormente coinvolta con il progetto di SCV, presenta molti problemi dovuti a disinformazione, scarse risorse economiche, diffuse e persistenti credenze popolari, negligenza professionale, mancanza di un censimento adeguato e molto più.
L’Ecuador ha cominciato ad interessarsi al problema della disabilità solo a partire dagli anni ’50, perchè prima questo settore era sostenuto solo da principi di carità e beneficenza, senza una reale strutturazione degli interventi. Fu negli anni ’70 che gli organismi pubblici si assunsero la responsabilità di fornire assistenza specializzata ai disabili consentendo la nascita, nel 1979, del Unidad de Educacion Especial (Unità di Educazione Speciale), fino ad arrivare alla creazione del CONADIS (Consejo Nacional de Discapactados dell’Ecuador – Consiglio Nazionale dei Disabili dell’Ecuador), che cominciò la sua attività nel 1993.
Negli ultimi 20 anni molte organizzazioni nazionali ed internazionali hanno fatto molti sforzi per quantificare la popolazione dei disabili, i servizi e le risorse economiche disponibili. Dall’ultimo studio statistico, che presenta risultati ufficiali, effettuato dalla “Encuesta Nacional de Discapacitados Ecuador – 2004” (Sondaggio Nazionale dei Disabili Ecuador – 2004) e dal CONADIS e del INEC (Instituto Nacional de Estadistica y Censo – Istituto Nazionale di Statistica e Censimento), risultò che su un totale di 12 milioni di abitanti, esistono 1.700.000 persone affette da diverse forme di disabilità, rappresentando il 12,4% delle popolazione totale. Di questi il 37% presenta disabilità fisica, il 27% disabilità cognitiva e psicologica, il 22,7% sono ipovedenti e il 13,3% presentano ipoacusia e sordità profonda.
Del totale dei disabili 830.000 sono donne (51%), mentre il numero degli uomini è pari a 778.594 (48,4%).
Rispetto alle cause di disabilità nell’80% dei bambini con età compresa tra 0 e 5 anni la causa principale è dovuta a scarse condizioni igienico-sanitarie, alle malattie ereditarie, complicazioni da parto (non infrequente la morte da parto soprattutto per le donne indigene delle aree rurali che partoriscono in casa) e malasanità. Nelle aree rurali le cattive condizioni sanitarie rappresentano il 91% delle cause rispetto al 73% delle aree urbane.
Altre cause sono gli incidenti stradali e nel luogo di lavoro, queste colpiscono la popolazione maschile tra i 20 e 64 anni (19%); mentre la violenza domestica è la causa che colpisce maggiormente le donne appartenenti alla stessa fascia d’età (53%).
La disabiltà è, inoltre, legata alla povertà: il 50% dei disabili ha una entrata media mensile che non supera i 30 dollari americani (USD). Il 75% delle persone con disabilità motorie non può permettersi di comprare ausili ortopedici adeguati e nelle zone rurali questa percentuale sale all’80%. Inoltre il 79% dei disabili risulta non essere associato al IESS (Instituto Ecuadoriano de Securidad Social – Istituto Nazionale di Sicurezza Sociale), non avendo perciò accesso a nessun tipo di assicurazione; infatti in Ecuador per poter accedere a cure sanitarie è necessario possedere una polizza assicurativa altrimenti nessuno presta soccorso.
Il 67% dei bambini con disabilità grave ha ottenuto uno o più servizi medici e di questi il 90% ha ricevuto solo la diagnosi e il trattamento medico-farmacologico. Mentre il restante 33% ha ricevuto riabilitazione motoria.
Attualmente la situazione della riabilitazione in Ecuador è caratterizzata da una suddivisione dei servizi offerti in funzione della patologia corrispondente alla diagnosi, perciò, ad esempio, i bambini affetti da Paralisi Cerebrale Infantile ricevono esclusive attenzioni nell’area motoria, considerando questo come il problema principale escludendo la possibilità di una riabilitazione cognitiva e eludendo così il principio fondamentale della riabilitazione che è quello di migliorare la qualità della vita anche per i casi molto gravi. Ma qui le problematiche sono talmente tante che permettersi di migliorare la qualità della vita di un disabile diventa quasi un lusso. Prima vengono gli adulti disoccupati, la diffusa povertà, il lavoro minorile, la violenza domestica e l’alcolismo, l’analfabetismo, la migrazione e molti altri problemi. Il disabile è l’ultimo in questa scala sociale.
Le politiche sociali, in tale settore, sono piuttosto inadeguate e non consentono alle persone più vulnerabili di poter accedere a qualsiasi tentativo di inserimento sociale. L’emarginazione, l’indifferenza, la mancanza di infrastrutture e di un sistema educativo adeguato hanno indotto, negli ultimi anni, decine di istituzioni e organizzazioni a dirigere i loro sforzi verso questo ambito, tanto che attualmente in Ecuador il 15% delle organizzazioni (nazionali e internazionali), attive a livello sociale, si dedicano al settore della disabilità.

Nonostante ciò il problema resta comunque particolarmente evidente nelle zone rurali dove i bambini e i giovani con disabilità vivono in molti casi situazioni di abbandono, lasciati dai genitori nella macchina, in casa o aspettando che questi terminino di lavorare la terra. Questo è il caso di Tisaleo, una comunità di contadini del Canton Ambato dove attualmente presto servizio come volontaria italiana.
Il canton Tisalo si trova a circa 3.200 metri di altitudine ed è costituito da una popolazione di poco più di 10.000 abitanti, dei quali il 92% sono indios e di questi il 59,8% si dedica all’agricoltura di sopravvivenza. I restanti sono meticci che si dedicano a differenti lavori tra cui braccianti, muratori o lavori giornalieri nel settore calzaturiero.
Diversi fattori, tra cui la mancanza di istruzione (con una media di 5,2 anni di studio), l’analfabetismo (18,8%) molto più in alto rispetto alla media nazionale e, in ultimo, la forte migrazione nella vicina città di Ambato, compromettono l’alto livello di povertà del Cantone. La situazione si aggrava a causa delle anormali e frequenti siccità invernali che danneggiano principalmente la produzione agricola locale e gli allevamenti. L’82,6% della popolazione risulta essere sotto la soglia di povertà e la denutrizione cronica dei bambini che hanno meno di 6 anni è del 47,9%.
I dati dell’ultimo Plan de Desarrollo (Piano di Sviluppo) del Canton Tisaleo del 2004, rilevano che la popolazione è molto più giovane della media nazionale e che la forza lavoro è assai sfruttata e sottopagata; in questo contesto chi soffre di più sono le donne che devono accettare qualsiasi tipo di lavoro o restare in casa, vittime della cultura maschilista diffusa nel Paese. La mancanza cronica di infrastrutture sanitarie adeguate peggiora la situazione di disagio e abbandono sociale della popolazione: solo l’8% ottiene un’assistenza sanitaria completa. Inoltre, a causa dell’alto tasso di povertà, il 92,5% delle donne non può permettersi una assicurazione sanitaria contro il 78% degli uomini.
Tra le strategie di sopravvivenza adottate dalla popolazione per affrontare la crisi economica, dovuta anche e soprattutto dal recente cambio di moneta dal sucre al dollaro americano (sucretizacion) che ha aggravato la già critica situazione economica, ci sono: l’aumento della partecipazione delle donne al mercato del lavoro, il lavoro infantile (soprattutto calleteros, bambini che lavorano per strada vendendo caramelle e betuneros, bambini che puliscono le scarpe), l’uso della famiglia allargata, modificazioni nell’uso del tempo, il lavoro infantile in casa, l’estensione della giornata di lavoro (arrivando talvolta a 16-18 ore di lavoro giornaliero), la migrazione internazionale (soprattutto verso l’Europa ed in particolare in Spagna) e le reti di appoggio informale per l’attenzione all’infanzia. Tuttavia nonostante le famiglie abbiano adottato una o più delle strategie precedentemente indicate, la situazione economica si è risolta solo in parte e con una alto costo sociale che colpisce soprattutto la popolazione più vulnerabile: i bambini, gli adolescenti e i disabili.
In questo contesto, tra i campi della comunità di Tisaleo, è nato un Centro di Recupero Integrale, dove presto servizio civile internazionale.
La sua superficie è di 60 km2, sebbene l’area di copertura a cui arriva ad offrire servizio è, al momento, di 100 km2. Oltre alla distanza, le strade per raggiungere il Centro sono piuttosto disagiate, con pietre e con una scarsa qualità del manto stradale. Ciò rende assai difficoltosa e impegnativa l’affluenza di nuovi bambini al Centro, tanto che ad oggi vengono quelli più facilitati perché vicini a mezzi di trasporto pubblico o perché accompagnati dai genitori che per qualche ora lasciano il lavoro nel campo. Infatti mediamente per raggiungere il Centro il bambino più vicino necessita di circa 30 minuti mentre i più lontani possono avere bisogno anche di un’ora e mezza.
Va comunque tenuto presente che molte altre persone con tali deficienze fisiche e/o mentali sono presenti in questa stessa zona ma non afferiscono al Centro perchè i genitori o familiari non lo ritengono necessario, lo considerano una perdita di tempo o pensano che non abbiano diritto a questo tipo di attenzioni o, come più spesso accade, che siano un castigo divino
L’attenzione ai bambini disabili iniziò nel Cantone Tisaleo a partire da Novembre 1998. Prima di questa data si conoscevano solo rari casi e apparentemente sporadici per mezzo delle persone del paese che li definivano con termini quali “innocenti”, “tonti”, “muti” o “loquaci”. L’idiosincrasia della gente faceva sì che questi casi venissero nascosti nella parte posteriore della casa o , non raramente, tra gli animali (come maiali) o dentro armadi, dato che sono considerati come persone incapaci di generare bene economico nel campo oltre che un limite alla sopravvivenza della famiglia.

Attualmente non è ancora stata stimata, né censita, la quantità di disabili presenti nel territorio. Attraverso le promotoras sociales del FODI (Fondo de Desarrollo Infantil del Ministerio del Bienestar Social – Fondo di Sviluppo Infantile del Ministero del Benestare Sociale), sono stati scoperti nuovi casi di disabilità che restavano nell’anonimato. Questo gruppo di donne va nelle case più isolate della Sierra a dare terapie di stimolazione a bambini tra 0 e 5 anni nati sani, dato che non sono infrequenti casi di disabilità conseguente ad ipostimolazione, in queste visite hanno identificato circa 100 bambini disabili, stimando che possa esistere un bambino disabile ogni dieci nati vivi.
Nelle conversazioni avute con le promotoras è emersa una diffusa problematica sia a livello informativo sia a livello culturale. Le persistenti e diffuse credenze popolari non consentono uno sviluppo adeguato poiché limitano notevolmente le possibilità di miglioramento. Spesso mi è capitato di incontrare famiglie spaventate anche dalle più semplici tecniche riabilitative che sostituiscono le attuali cure prestate tra cui, ad esempio, l’utilizzo dell’ortica per ridurre la spasticità muscolare. Chiaramente nessuno esclude la possibilità dell’utilizzo dei bagni di ortica che sicuramente hanno una loro efficacia, ma tale atteggiamento tradizionale e popolare va considerato come comportamento diffuso che incide notevolmente sulle possibilità di introdurre nuovi elementi riabilitativi.
Tra le problematiche principali in tale contesto emergono: scarsi criteri per la valutazione della disabilità tanto che semplici disturbi comportamentali (bambini pigri o dal carattere più impegnativo) vengono considerati disabili e perciò inseriti in scuole speciali e perciò marchiati a vita come disabili, con tutto quello che comporta a livello dello sviluppo personale e di quello sociale; inoltre le credenze popolari diffusissime anche in alcuni ceti con un più alto livello culturale, limitano di fatto la possibilità di inserire elementi più efficaci sia nell’ambito della diagnosi sia nella riabilitazione, non è rara la “diagnosi popolare” secondo la quale la maggior parte dei disturbi per cui non si è trovata una causa fisicamente evidente (un colpo, una ferita, la rottura di una parte del corpo) sia quella di “ira”, la rabbia. Anche alcuni professionisti ritengono l’”ira” la causa più diffusa di disabilità. Ma come è possibile che qui si arrabbino tanto da diventare disabili? Qualcosa non va, leggendo tra le righe si è portati a pensare che effettivamente lo stress,o l’ “ira”, possa essere un’importante causa di disturbi di differente genere, ma considerare che tutte le persone con gli occhi rossi (da stanchezza o stress) sono già in fase avanzata di “ira” e perciò soggetti vulnerabili a disabilità quali emiparesi, tetraparesi o paralisi varie, con sintomatologia ben differente dalle paralisi da ictus o infarto cardiaco, è abbastanza limitante.
E gli stessi professionisti lasciano molto a desiderare visti gli alti tassi di disabilità dovuti a negligenza clinica: “se ti manca l’assicurazione non ti curo … se ne hai una scarsa ti curo così-così” … Ed è stato per negligenza che a Gabi non hanno fatto l’insulina per il suo diabete e a 20 anni è diventata emiparetica in seguito ad un coma diabetico. “ira”? Per molti questa è la risposta. Poi le situazioni si peggiorano ed ecco che Gabi va in autobus e siccome è disabile, e questo da fastidio, l’autista non si ferma, lei cade e con lei tutti suoi denti: e chi paga?
Questa è solo una delle mille storie!
In tale contesto l’Ecuador o le singole Province, non effettuano nessun tipo di indagine sulle cause più diffuse di disabilità acquisita, lasciando nell’immaginario popolare che forse siamo tutti un po’ disabili o che comunque prima o poi lo diventeremo, perché siamo tutti un po’ stressati. E allora chi è disabile e chi no? Dove sono i criteri di distinzione? Cosa ci rende realmente sani o un po’ disabili? Cosa manca? Come aiutare queste persone a rendersi capaci di non farsi prendere in giro dai “professionisti”?
Tutto questo mi fa riflettere e nasce questo mio pensiero, guardando da fuori sembriamo tutti un po’ disabili, un po’ incapaci di capire, di comprendere, di sapere. In questo Ecuador che mi accoglie con infinita semplicità e con numerose complicazioni non posso non guardare lontano, alla mia Italia e apprezzarne, nonostante non manchino problemi, la cultura!!! Tanti problemi nascono perché manca cultura, manca il sapere, il conoscere, il capire! Avere cultura difende, e non parlo solo di studiare, parlo di uno Stato che si preoccupa di avere individui pensanti ed informati. Nonostante le mille problematiche che possono affliggere l’Italia mi accorgo di come siamo fortunati e di come questo ci renda forse un po’ meno disabili.
Difendete la cultura perché è l’unica via che ci sostiene nell’ipocrisia e nell’ignoranza.
È un faro che da luce!

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