Caschi Bianchi Italia
Studiare o lavorare… una storia siciliana
Abele, venticinque anni, sta svolgendo il servizio civile in sostituzione all’obbligo di leva. E’ un casco bianco ed ha vissuto un’esperienza di tre settimane in Sicilia, operando in una casa-famiglia, una struttura composta da due coniugi, tre figli e alcuni ragazzi con disagio familiare. Qui ha conosciuto Orazio, un adolescente accolto che proviene da un quartiere periferico di Catania. Ci racconta la sua esperienza.
Scritto da Abele Gasparini (Casco Bianco in periodo di formazione iniziale)
Orazio ha quindici anni, catanese, magro come uno spillo ma con uno sguardo vivo e penetrante. Frequenta la prima superiore dell’istituto alberghiero, ma non sa contare, ha difficoltà nel leggere e nello scrivere. I professori che lo hanno promosso l’anno scorso hanno detto che non riuscirà mai a leggere con scorrevolezza, a scrivere correttamente, tanto meno a fare una divisione. Orazio vuole fare il barista. Un barista che non sa darti il resto per un caffè. Oggi con la sua classe farà un’uscita didattica in un hotel, visiterà la cucina e tutte le sue attrezzature, probabilmente conoscerà uno chef. Orazio mi ha chiesto di svegliarlo mezz’ora prima del solito. In questo modo può lavarsi e vestirsi con più cura, sembra che sia un giorno importante per lui. “Se quest’anno mi bocciano, vado a travagghiare (lavorare in siciliano)”, “Dove?”, “Non lo so, cercherò qualcosa”. Quando torna da scuola si rifugia in camera, si mette le cuffie e accende il walk-man.
“Orazio, tira fuori il diario, facciamo i compiti”.
Non ha tanta voglia, si vede, ma appena ci sediamo intorno al tavolo e apriamo il quaderno di scienze, diventa attento e capisce che è il momento di studiare. “Io prima non facevo niente” mi dice. Quando i professori gli chiedevano se potevano interrogarlo, lui poteva rispondere si o no. Ed era sempre no. Oggi deve studiare l’atomo e gli stati della materia. La fotocopia che Orazio ha incollato sul quaderno è composta da piccoli paragrafi a cui mancano le ultime quattro o cinque lettere ad ogni riga. Probabilmente è stata una svista dell’insegnante di sostegno, o forse del bidello. Scrivo le lettere mancanti e Orazio inizia a leggere parola per parola, un paragrafo alla volta. Poi gli faccio delle domande ma si confonde, non risponde. Può darsi che pensi che non rispondendo farà “più bella figura” nei miei confronti. Gli chiedo di rileggere un’altra volta. Poi inizia a rispondere, ma confonde gli elettroni con i protoni. Dal walk-man estraggo la pila dove ci sono i simboli di carica negativa e positiva. Forse possono aiutarlo ad associare le definizioni. Va un po’ meglio, ma ho il timore che tra dieci minuti le poche cose che ha immagazzinato nel cervello, scompariranno. Sono quasi sicuro che questo avverrà, non è la prima volta che lo aiuto nei compiti. Però questo aiuto è necessario. A cosa serve un’insegnante di sostegno a scuola se poi Orazio quando torna a casa non apre libro o non c’è nessuno che gli dica di farlo? Se Orazio non crederà un po’ in se stesso e non riuscirà ad interessarsi a ciò che studia, verosimilmente non terminerà il suo percorso scolastico. In Sicilia il tasso di dispersione scolastica aumenta man mano che si passa dalla scuola elementare alla superiore, con lo 0,99% nella prima, il 7,33% alle scuole medie inferiori e il 16,11% alle superiori. I licei perdono complessivamente il 6,8 per cento dei propri studenti, rispetto al 18,9 degli istituti tecnici e al 30,7 per cento degli istituti professionali.
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