– Signorina, ha tutti i capelli bagnati.
– Sì, finalmente mi sono fatta la doccia. Non c’era acqua ieri e l’altroieri.
– Sì, qui succede spesso.
– Ma a cosa è dovuto?
– Quest’acqua la gestiscono varie imprese: a Paita, nell’Arenal, a La Bocana. A La Bocana, soprattutto, ci sono delle cisterne enormi, però a volte le chiudono, non so perché.
– Di chi sono queste cisterne?
– Mi pare si chiami Olympic.
– Ah, la compagnia petrolifera.
– Proprio quella. Sa, signorina, sono venuti qui promettendo che ci avrebbero dato gas in cambio di poter lavorare sul territorio, però qui non è mai arrivato nulla. Se lo vuoi, lo compri a 45 soles e punto.
– Capisco. Immagino che avranno promesso anche di dare lavoro alle persone del posto.
– Ovvio. E alcuni effettivamente l’hanno ottenuto, salvo poi essere licenziati non appena finiva la necessità di ‘esplorare’ il sottosuolo. E sa, qui in paese sono state fatte varie riunioni al riguardo: hanno anche invitato i responsabili della compagnia per parlare, ma non sono mai venuti.
– Chiaro, non gli importa.
– No, signorina.
Pueblo Nuevo de Colán. Una valle arida che, cionostante, lascia spazio alle cosidette chacras, campi in cui la gente coltiva prodotti di vario tipo. O meglio, coltivava. Adesso, come mi ripete la signora anziana che ci prepara da mangiare, non c’è acqua a sufficienza per irrigare tutte le chacras, così uno coltiva ciò che può: erbe, piante e ormai ben poco camote.
In questo paesino, durante la giornata, si ascoltano messaggi trasmessi da un altoparlante. Si parla di partite, celebrazioni, animali perduti e poi si fanno annunci sulla mancanza di acqua:
“In questo settore, siamo senza acqua da tre giorni.
Non è possibile, bisogna che si trovi una soluzione.
Ai privati, a quelli dell’amministrazione pubblica, a chi di dovere: per favore, dateci acqua.
Non possiamo continuare senz’acqua, non possiamo continuare così.”
Come volontaria dei Corpi Civili di Pace, come ospite accolta da questa comunità, tra i miei compiti, ci sono soprattutto tre azioni: dare una mano, ascoltare ed osservare. E venendo qui, sapevo che avrei dovuto adattarmi, anche nelle più piccole cose: farsi la doccia alla mattina anziché alla sera perché c’è più abbondanza di acqua, non sapere se l’acqua ci sarà sempre, abituarmi alla mancanza, al ritardo, all’imprevisto. Questo non mi pesa, perché appunto sono ospite in una realtà che va conosciuta e rispettata.
Ma mi sorge inevitabile una domanda: io mi adatto all’assenza – più o meno prolungata – di acqua, ma che ne è di chi con quell’assenza deve conviverci costantemente? E ancora: dov’è lo Stato, di fronte a quelle cisterne chiuse da compagnie statunitensi? Dov’è la politica chiamata a soddisfare le necessità più basilari delle persone? Che ne è di questa parte del Perù, una volta tolto l’interesse per l’oro nero?
In un mondo in cui chi avrebbe potere e mezzi per cambiare le cose se ne sta seduto a negoziare pensando unicamente al proprio tornaconto, noncurante dell’acqua negata, delle case pericolanti e della povertà dilagante, c’è una cosa che posso fare: non rispettare l’ingiustizia e trascrivere le voci di chi viene ignorato da questi poveri di spirito e umanità.
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