Bolivia Caschi Bianchi

Bolivia, despierta!

A La Paz, la Giornata dei Diritti Umani non si celebra ma si ricorda. Attraverso gli occhi e la voce di Manuela possiamo incontrare la gente di strada, il “pueblo sufrido” che ha urgenza di esprimersi, anche a rischio di finire in prigione.

Scritto da Manuela De Gaspari, Casco Bianco a La Paz

“Nel giorno dei diritti umani non c’è nulla da festeggiare, bensì molto da denunciare”. Questo il titolo del volantino che oggi, 9 dicembre 2005, si distribuisce per la Calle Commercio a La Paz. L’Assemblea Permanente dei Diritti Umani della Bolivia (APDHB) ha infatti organizzato una manifestazione per ricordare (NON celebrare) la giornata dei diritti umani.
Il ricordo è il grande protagonista dell’evento, un ricordo rabbioso che, dai numerosi cartelli sparsi per strada, esorta a non dimenticare il massacro avvenuto nell’ ottobre 2003 (la cosiddetta “guerra del gas”). Il responsabile di quei fatti, l’ex presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, si è da tempo rifugiato negli Stati Uniti. “L’impunità è una vergogna, una piaga de eliminare” scandisce chiaramente un esponente dell’APDHB, rivolto ai passanti. Lo ripete anche la donna che traduce gli interventi in aymara (idioma indio, ndr). Una vera e propria donna degli altipiani, bombetta nera, scialle multicolore e volto indecifrabile. I partecipanti si dispongono in cerchio. Al centro, una composizione di oggetti concreti che, spiega un’attivista dell’Assemblea, simboleggiano la povertà: scarpe scrostate, indumenti a pezzi e vecchie lattine di Coca-Cola, per non lasciare da parte le multinazionali. Il circolo della gente, i passanti che guardano, il terzo livello è la polizia schierata poco distante, munita di lacrimogeni e mitra, nonostante la manifestazione sia stata legalmente autorizzata. Alle persone inizia a sciogliersi la lingua.

Il Signor Pastór Limachi Loza si trova gomito a gomito con un gruppetto di stranieri e, spontaneamente, racconta con parole incisive: “Arrivano milioni di dollari di aiuti umanitari, ma finiscono sempre nelle tasche sbagliate: vengono spartiti tra poliziotti corrotti e politici!”. E’ il pueblo, il “pueblo sufrido”, che non riceve nessun appoggio. Forse queste non sono soltanto parole di sfogo, visto che più dell’82% della popolazione rurale (e un 46% della popolazione urbana, percentuale di tutto rispetto…) vive in condizioni di estrema povertà(1). “E, se qualcuno prova a creare una piccola impresa, un’attività di sussistenza, il tasso d’interesse dei prestiti è talmente alto da scoraggiare ogni iniziativa”. Una signora di passaggio è visibilmente incuriosita dal capannello di gente che si è venuto a creare attorno al Sig. Loza. Non si ferma, però rallenta e lancia la sua: “Non bisogna permetter loro di continuare, usiamo il nostro voto!”. Già, il voto. A nove giorni dalle elezioni che porteranno alla scelta del presidente e dei prefetti delle città, l’espressione che oggi si sente rimbalzare con maggior frequenza è “cambio total”. Adolfo Mamami Callisaya, uno studente universitario intento ad ascoltare il Sig. Loza, coglie l’occasione per accusare i mezzi di comunicazione: “Nessun mezzo di comunicazione è indipendente, sembrano tutti tesi al raggiungimento di un unico obiettivo: confondere la gente”. Inadeguatezza dei mezzi di comunicazione, vecchia storia. “Durante i giorni del massacro d’ottobre, alla televisione trasmettevano solo programmi di diversione e frivoli, per imbonire i cittadini”. In Europa non se ne è saputo nulla. “Per quanto riguarda i giornali, i quotidiani si sono occupati dell’evento, ma ognuno secondo i propri interessi. Nessuno ha fornito una versione limpida e chiara dei fatti”. Alla domanda esplicita sulla sua preferenza elettorale però Adolfo si sposta sulla difensiva e allarga la critica: “La stampa straniera, americana soprattutto, ma anche europea, manipola le informazioni che si raccolgono per la strada”. Alcuni annuiscono, ma il Sig. Loza riprende imperterrito il filo della sua invettiva: “Il mio stato è solo capace di chiedere l’elemosina agli Stati Uniti, non esiste un’economia. È uno stato MENDIGO.

Una bella sfida, per chi vincerà le elezioni, provare a trasformare lo stato mendicante in uno stato davvero sovrano e indipendente. Tra il modesto pubblico raggruppato vicino a lui non c’è nessun esponente di prestigiose organizzazioni internazionali (almeno, non dichiarato) ma, nonostante questo, il Sig. Loza ringrazia per aver avuto l’opportunità di parlare: “Sento il bisogno di riferire la mia opinione, però si rischia di essere imprigionati. Grazie per l’ascolto”.
Ma grazie a lei, rappresentante casuale di un pueblo sfrido che rischia di dover tacere troppo spesso. Grazie, anche se ci lascia con una sottile inquietudine, quel sospetto di prigione legato all’ esprimere la propria opinione. Non importa, poi, che nell’autobus, di fianco all’autista, saltelli un “arbre magique” a stelle e strisce, come una bandiera americana. Né che, svoltato l’angolo, si ammiri un Babbo Natale che vende Coca-Cola ai passanti (promozione natalizia). Sul muro di fronte campeggia pur sempre uno slogan diverso: “Bolivia, se U.S.A. tus hidrocarburos”. Una voce diversa.

Note:(1) fonte: “Dignidad”, mensile edito dall’APDHB, dicembre 2005.

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