Il 12 dicembre 2011 un gruppo di “strani personaggi” si è ritrovato, alle cinque di pomeriggio e sotto il diluvio universale, nel centro di Scutari per manifestare contro Le vendette di sangue, in albanese Gjakmarrja.
Per un’ora si sono messi in cerchio, in silenzio. Io ero tra queste persone.
Nei giorni precedenti alla manifestazione c’è stato un gran brusio: “prepara i cartelloni!”, “questo lo scriviamo così?” “i volantini! Li fai tu?” “ le bacheche dove le mettiamo?”.
È stato bello mettere le nostre capacità in comune, impegnarsi per la buona riuscita di qualcosa in cui crediamo ma mi chiedo se qualcuno di noi ha avuto il tempo di fermarsi a riflettere, di capire il senso profondo di quello che stavamo facendo.
Io no, io tutto questo l’ho capito stando in piedi, zitta, sottoposta agli sguardi indiscreti della gente o alla loro indifferenza, vedendo i miei compagni pensierosi.
In quel momento ho iniziato a vedere davanti a me i volti delle donne sotto vendetta, i sorrisi dei loro bambini, le loro case povere ma accoglienti.
Li ho sentiti lì.
Erano proprio accanto a noi.
Erano in silenzio perché le loro storie sembrano non interessare a nessuno, tantomeno alle istituzioni.
Noi eravamo in silenzio per rispettare il loro dolore.
Quando delle persone si sono unite al nostro cerchio ho avuto la percezione che più saremo, più, un giorno, potremo vincere questo muro di silenzio ed omertà.
Per questo ci ritroveremo il mese prossimo e quello dopo ancora, nello stesso posto e alla stessa ora.
Lo faremo perché in futuro, le famiglie oggi sotto vendetta, possano trovare le parole, raccontare della Gjakmarrja come di un brutto sogno dal quale si sono svegliati.
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