In brasile esiste un giorno particolare che si chiama Dia do Palhaço. È un giorno dedicato ai bambini che, però, all’ occorrenza, diventa anche giorno del Circo oltre che del pagliaccio. Ed oltre a poter cambiare il nome questo giorno può cambiare proprio giorno dell’ anno. Dunque a Coronel Fabriciano i bambini del bairro(1) Corrego Alto, dove ho vissuto, festeggiano il 13 Marzo, ma si intuisce subito, facendo una breve ricerca in internet, che in Brasile esistono diverse date che fanno onore al più classico degli amici dei bambini, il Clown. Inizialmente pensavo di voler scrivere un racconto leggero ma dettagliato su come si sarebbe svolto questo giorno tanto atteso. E soprattutto ho cominciato a chiedermi da chi era così tanto atteso, se più da me o dalle piccole pesti della scuola materna di Marli, dove ho fatto una breve ma intensa esperienza durante la mia permanenza lì. In effetti ero molto curiosa. Ho aspettato questo giorno con la curiosità di chi, non ha mai celebrato il giorno del pagliaccio. La befana, babbo Natale, i sette nani…ma il pagliaccio no. Mai. Così mi son detta che avrei descritto per filo e per segno questa giornata. In realtà le cose sono andate un po’ diversamente, più precisamente mi aspettavo qualcosa e ne ho osservato un’ altra.
Forse la premessa non è delle migliori. Fabriciano è una piccola città del Minas Gerais, definita città dormitorio. Durante la mia permanenza lì ho potuto constatare questa triste caratteristica. I ritmi sono lenti, silenziosamente le giornate scorrono, si legge nei volti delle persone che, forse, hanno trascorso molte ore senza fare nulla. Li vedi sempre nello stesso angolo di strada, o meglio le vedi, perché nella maggior parte dei casi sono donne. Gli uomini se non sono a lavorare, bivaccano tristemente nei bar, spesso già ubriachi alle otto del mattino. E questi uomini e queste donne sono i genitori dei bimbi che frequentano l’ Escolinha di Marli. Il giorno del pagliaccio è arrivato ed è andato. Ed ho avuto come la sensazione che non ci fosse mai stato. Non tanto perché si è trattato solo di truccare i bambini e costruirgli cappellini di carta alla fine delle attività (mi aspettavo almeno di vederlo il pagliaccio), ma perché anche questo momento di piacere vissuto con loro e con le insegnanti, ha lasciato in me qualcosa di incerto.
C’è il ricordo dei bambini che passivamente si lasciano truccare senza alcun entusiasmo, aspettano il loro turno sulle loro sedioline scherzando e giocando come qualsiasi altro giorno di scuola. Ti guardano perplessi e solo pochi hanno lo sguardo brillante di chi festeggia un pagliaccio. Frettolosamente ricevono il cappellino, il sacchetto di pipoca (2) e poi vanno via verso casa. Truccare un bambino da clown che ha uno sguardo triste mi ha lasciato un po’ l’ amaro in bocca. Sarà stato il trucco troppo allegro a stonare con lo sguardo triste? Saranno state le mie emozioni un po’ distorte a far si che la mia attenzione si concentrasse troppo sui loro occhi?
Non so…però tornando a casa all’ uscita della scuola, ho osservato con occhio più attento questi genitori, non per giudicarne il ruolo o puntare il dito contro, ma per dare spago alle mie riflessioni. Così non mi sono più sorpresa di quello che avevo vissuto in quelle poche ore, pensando che comunque non ci si può stupire di bimbi tristi pur nei panni di clown, perché molto probabilmente la loro tristezza è il risultato di quell’ insieme di fattori negativi di cui sono protagonisti interi nuclei familiari. Destrutturati e in balia di problemi legati alla povertà. Dunque l’ho visto con i miei occhi. Non basta dipingersi il viso di vivaci colori per dimenticare!
2. Pop corn
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