• Cb CISV, 2008

Brasile Caschi Bianchi

Viaggio nel Pantanal

La prima grande inondazione del Pantanal è avvenuta nel ’74 e da allora l’acqua non se n’è più andata. Migliaia di ettari sono tuttora sommersi e centinaia di famiglie vivono in mezzo a questo mare verde e dolce.

Scritto da Davide Marco Giachino

Siamo partiti di mattina presto. Alle sei e mezza eravamo già di fronte al rio Paraguai. Un matto stava facendo il bagno e raccontava una storia a se stesso, ma io ascoltavo di nascosto. Una donna si avvicina alla riva, si inginocchia e fa il segno della croce nell’acqua. Poi arriva la lancia a motore.

Con me viaggiano un prete di Rio Grande, un’attivista della CPT e il motorista. Si scende il rio per un’ora, poi si imbocca un affluente a nord e si viaggia sull’acqua per altre tre ore. Sulle rive gli jacaré prendono il sole con la bocca aperta. Altri fanno il bagno e scappano quando la lancia gli passa vicino. Poi il fiume si fa sempre più piccolo, pochi metri di larghezza. Ancora più piccolo. Fino a diventare un canale che contiene al massimo due lance. Tutto attorno è un mare, un mare di verde, di piante acquatiche che galleggiano o che sono ancorate al fondo. E non si vedono, ma lì sotto nuotano oltre venti specie di piranha. Nel ’74 un’inondazione ha allagato migliaia di ettari di terra, e le famiglie del Pantanal hanno perso tutto o quasi. Ora è un mare dolce.

A un certo punto bisogna spegnere il motore, ci sono troppe piante. Allora si pagaia per un altra ora, spingendo la barca con lunghi bastoni. Finalmente, la terra. Lì ci aspettano coi cavalli e si attraversano paesaggi mai visti. Acqua a perdita d’occhio. Alberi secchi con nidi di falchi. Si attraversa un piccolo tratto di foresta, dove le zanzare quando pungono fanno male, sono come un piccolo pizzicotto. Poi, in lontananza, si vede una casa, e tutto attorno una recinzione. È un paesaggio da far west, mi spiace fare un paragone che sembra non c’entrare nulla, ma la sensazione è stata quella. Poco prima di arrivare, il ragazzo che ci è venuto a prendere sulla riva lancia un razzo per avvisare che stiamo arrivando: siamo gli ospiti d’onore. Leghiamo i cavalli alla recinzione ed entriamo. Uomini col cappello di paglia giocano a carte attorno a un tavolino e scommettono semi di miglio. Altri bevono birra ascoltando un ragazzotto che suona la chitarra e canta canzoni d’amore. Alcune donne riempono la linguiça di carne di mucca e maiale, mentre altre lavano le stoviglie nel canale. Due uomini coi baffi badano alla griglia, mentre tutto intorno galline e maiali scorrazzano rumorosi. I ragazzi hanno tutti il cinturone, con proiettili e rivoltella. E il loro status symbol, sono le loro scarpe Nike. Le ragazze sono sorridenti, e verso sera si lavano al fiume e si mettono i vestiti più eleganti perché oggi è giorno di festa. Oggi la famiglia della casa ha invitato i vicini, vicini di una, due, tre ore di cavallo, ma anche di uno, due giorni di barca, a passare due giorni insieme, per festeggiare una festa religiosa dedicata alla Madonna.

Qua e là, all’interno della recinzione, si montano tende improvvisate. Poi arriva il momento del churrasco, ovvero la grigliata: per primi si servono donne e bambini. Poi si ritira ciò che è avanzato. Poco dopo si risistemano sul tavolo i diversi tipi di carne, mandioca e riso: a questo punto si servono gli uomini sposati. Solo per ultimi, si servono i solteiros, gli uomini non sposati. Nel frattempo cala il sole e arrivano le zanzare. A cena finita le donne più anziane lavano le stoviglie mentre le più giovani si preparano al ballo della notte, fino a mattina. Prima però c’è la messa, tre battesimi, poi la breve processione attorno alla casa e le preghiere nella piccola cappella fino alle undici di notte. Poi la musica.

Io non ballo, ma mi metto a parlare col figlio del padrone di casa. Ha 24 anni, sua moglie 16 ed è al settimo mese di gravidanza. Hanno costruito una piccola baracca con assi di legno, me la fa vedere, ed è lì che vivono. Senza luce. Senza acqua. Senza sapere nulla di ciò che accade oltre quel mare dolce di piante acquatiche. Non si può, quindi, parlare con loro di politica, perché lì non c’è. E non esiste la guerra in Iraq. Non esiste Berlusconi, la TAV, e nemmeno l’effetto serra.

La scuola è una tettoia, e la maestra è una donna che ha deciso di andare a studiare tre anni a Corumbà, insegnando alla comunità a leggere e scrivere. I bambini vengono da lontano, stanno da lei da lunedì a venerdì, poi tornano a cavallo fino a casa. Lei gli dà da mangiare e da dormire. Il resto del mondo si è dimenticato di loro. Loro, per tutta risposta, producono ciò che consumano, senza commercializzare nulla, o comunque senza poterlo fare, e a loro modo mettono in pratica il contrario dello sviluppo, della crescita che il resto del mondo insegue disperatamente perché qualcuno lo ha convinto che è l’unica strada.
Il mio nuovo amico mi chiede se si parla il portoghese anche in Italia. Poi mi dice che è felice, e ora sta pure nascendo sua figlia, si chiamerà Taliane. Ma vuole costruire una casa più grande, e più solida, per essere più indipendente dalla famiglia: ecco una cosa comune al nostro mondo! A gennaio verrà a Corumbà, e mi chiamerà per bere un mate insieme nella città.
Verso l’una vado a dormire nella mia tenda montata sotto la tettoia della scuola. Mi sveglio all’alba e per poter uscire sposto i pulcini che hanno dormito di fronte all’ingresso. Alle dieci facciamo colazione con carne e mandioca e, proprio quando inizia a piovere, montiamo a cavallo. Sarà sotto la pioggia quasi tutto il viaggio di ritorno: il tratto di foresta, i paesaggi mai visti, il mare dolce, i canali che si allargano sempre di più e infine il gigantesco rio Paraguai. In lontananza si vede Corumbà. Ci avviciniamo col motore al massimo. A Corumbá, la mia casa per quest’anno, questa volta non ci arrivo in aereo, ma con una piccola lancia a motore, e così sembra di arrivarci per davvero.

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