Sebbene trascorro la maggior parte del mio tempo davanti al computer in ufficio, ascolto quotidianamente le storie di persone che passano dalla Missione cercando orientamento legale o chiedendo aiuto per far fronte a qualsiasi altra necessità che possano avere dopo essere arrivati nel paese. Richieste alle quali, nella maggior parte dei casi, è impossibile rispondere a causa della mancanza di fondi che alcune organizzazioni del terzo settore stanno affrontando dallo scorso anno. Ma oltre a passare la giornata di fronte al computer, di tanto in tanto mi portano in giro per questo bellissimo paese dove si possono sperimentare 4 stagioni in 24 ore. Quello di cui davvero volevo parlare oggi è una realtà che ho visto con i miei occhi nei confini nord e sud del paese della cittadinanza universale.
Prima tappa del viaggio: confine nord
Aspetta un attimo… Cittadinanzadeque? La Costituzione dell’Ecuador (2008) nell’art. 416 del capitolo “Principi delle relazioni internazionali” sostiene “la libera mobilità di tutti gli abitanti del pianeta e la progressiva fine della condizione straniera come elemento trasformante delle relazioni iniqui tra paesi, in particolare nord-sud”.
Queste bellissime (e utopiche) parole sulla carta perdono tutto il loro valore nel momento in cui le persone attraversano il confine colombo-ecuadoriano dal ponte internazionale di Rumichaca.
Attualmente, circa 4.000 persone (la maggior parte dal Venezuela) entrano quotidianamente in Ecuador passando per il confine settentrionale. Il viaggio da quando hanno lasciato le loro case non è stato facile: hanno lasciato la famiglia e gli amici; hanno affrontato l’abuso di potere esercitato dalle autorità nel confine colombo-venezuelano che li privano dei pochi beni preziosi che portano. Per evitare ciò, molti di loro si rompono i pantaloni all’altezza della vita per riempirli con le banconote che hanno risparmiato per continuare il loro viaggio alla ricerca di condizioni di vita migliori. Hanno affrontato una lunga lista di situazioni che hanno aumentano la vulnerabilità di queste persone e minato il loro stato di salute, già precario a causa della situazione nel loro paese.
In molti casi, le persone hanno affrontato tra i 4 e i 7 giorni di viaggio, ma molti altri hanno trascorso diversi mesi di “transito” in Colombia per raccogliere il denaro che gli avrebbe permesso di proseguire verso l’Ecuador o di continuare il loro viaggio verso altri paesi più al sud come il Perù e il Cile con lavori instabili e mal retribuiti… e non sempre vengono pagati. Il risultato di questo? Le persone arrivano stanche al freddo confine di Rumichaca, dove devono aspettare fino a 12 ore in fila all’aperto, non importa se c’è il sole o la pioggia (che è la più consueta) per essere in grado di timbrare la loro uscita dalla Colombia e l’ingresso all’Ecuador.
Per gestire questa massa continua di persone, le autorità ecuadoriane hanno sviluppato un sistema “innovativo, efficiente e cordiale” in modo che nessuno perda il suo turno (ma la loro identità, quella sì), mettendo in chiaro che sono solo un altro numero tra le migliaia di casi che vedono ogni giorno.
Dall’altra parte, i “mediatori” hanno trovato un buon affare con le persone che viaggiano con la tarjeta andina e che stanchi dal lungo viaggio e abituati alla corruzione nel loro paese d’origine e con la quale si sono confrontati durante tutto il viaggio, sono disposti a pagare per ricevere i documenti più velocemente… senza essere consapevoli che sono documenti falsi e senza validità legale.
Coloro che veramente beneficiano di questa crisi umanitaria sono i servizi di trasporto: le compagnie di autobus che vanno da Tulcan (città ecuadoriana più vicina al ponte Rumichaca) a Huaquillas (città di confine con il Perù) hanno aumentato 8 volte la loro flotta di autobus; mentre i servizi di taxi, pieni di valigie, passano la loro giornata viaggiando dai posti di frontiera alle città.
Seconda tappa: l’Ecuador come paese di transito o destinazione finale
Non andiamo oltre e, prima di recarci sul confine meridionale, facciamo una breve analisi delle situazioni che devono affrontare le persone di paesi terzi che decidono di trasferirsi in Ecuador, i cittadini ecuadoriani che in passato si sono trasferiti in paesi come la Spagna e il Venezuela e che ora vogliono tornare, e le persone che sono in transito verso altre destinazioni.
In primo luogo, troviamo che sebbene la costituzione dell’Ecuador promuova i valori di uguaglianza, non discriminazione e cittadinanza universale, dopo l’entrata in vigore della nuova legge organica sulla mobilità umana del 2017 (LOMH), l’esercizio dei diritti degli stranieri è stato aggravato e il processo di regolarizzazione del loro status di immigrazione nel paese è stato ostacolato. Tra l’altro, è importante notare gli alti costi dei visti ($250 i più economici) quando il visto turistico di 180 giorni (gratuito) scade.
Questo visto turistico consente agli stranieri di spostarsi nel paese, ma non di lavorare. Se consideriamo che molte persone rimangono in “transito” (a tempo indeterminato), mentre raccolgono i soldi necessari per continuare il loro viaggio, e altrettanti decidono di rimanere in modo permanente nel paese per ricominciare a vivere una vita minimamente dignitosa, questo visto favorisce la diffusione di lavori precari ed irregolari, rendendo di conseguenza la gente estremamente vulnerabile, non assicurando nessuna soluzione a lungo termine che gli permetta stabilità e un futuro dignitoso. A questo proposito, va notato che i casi di abuso del lavoro nei confronti delle persone provenienti dal Venezuela sono aumentati in maniera significativa, così come lo sfruttamento sessuale e il traffico di persone di questa nazionalità.
L’alternativa migratoria disponibile (gratuita) sarebbe quella di richiedere lo status di rifugiato. Tuttavia, a causa delle relazioni che il precedente governo ha avuto con il governo venezuelano, il paese mantiene un atteggiamento stretto e neutrale, quasi disinteressato, verso le migliaia di domande di asilo che sono state registrate dal 2015 fino al febbraio 2018. Secondo i dati dell’UNHCR, delle 2.232 domande presentate tra quelle registrate, solo 6 sono state ricevute.
Questo ci lascia con altre alternative di migrazione, che come ho già detto sono costose e inaccessibili per molte famiglie: per un padre, una madre e due bambini sarebbe pari a $ 1.000 dollari più $ 200 per i tramiti!! Ma non solo, con l’entrata in vigore della LOMH nel 2017 che ha visto l’aumento dei requisiti per accedere ad altri visti, diventa quasi impossibile per le persone provenienti dal Venezuela soddisfare le condizioni necessarie, le quali comprendono:
• certificato dei carichi pendenti con una validità di 30 giorni (mentre il sistema giudiziario venezuelano sta gestendo i documenti con un ritardo di 9 mesi, questo significa che una volta che si riceve è già obsoleto);
• prova che certifica la capacità di generare ricorsi economici per il proprio sostentamento legale nel paese, quando il visto turistico vieta espressamente il lavoro;
• necessità di avere un’assicurazione sanitaria pubblica o privata, essendo impossibile per le persone irregolari accedere alle assicurazioni pubbliche (questa normativa non è ancora in vigore).
Per i visti professionali, si riscontra la difficoltà di avere la postilla sui titoli universitari in Venezuela, requisito senza la quale non è possibile convalidare i titoli. Dopo avere presentato tutti i titoli con la postilla, arrivano anche assurde richieste: “Ci spiace signora… effettivamente il suo titolo è valido, ma manca il documento dove si specifica se lei é andata in università di maniera presenziale o no. Non possiamo riconoscerla come avvocato”. Questo è particolarmente rilevante in quanto il profilo della popolazione venezuelana che sta arrivando in Ecuador è di giovani professionisti che sono costretti a vendere i prodotti in strada e sugli autobus per il loro sostentamento.
Quest’ultimo punto è uno dei motivi principali per cui i venezuelani decidono di continuare il loro viaggio verso altri paesi come il Perù e il Cile, dove sarà più facile convalidare i loro diplomi e accedere a mezzi di sussistenza più stabili.
Terza tappa: confine sud
E dopo questo lungo viaggio siamo arrivati a Huaquillas, una città di confine separata da Aguas Verdes (Perù) da un piccolo ponte di cemento con bancarelle di vestiti e cibo su entrambi i lati e in cui, senza rendersene conto, si passa da un paese all’altro in 10 passi.
Tuttavia su questo ponte non ci sono controlli, per poter timbrare l’entrata/uscita nel paese bisogna percorrere l’autostrada verso i Centri Binazionali di Attenzione Fronteriza (CEBAF) a un paio di chilometri dalla città.
Non so se sarà il clima (molto più caldo rispetto al confine settentrionale), le ombre e gli ampi spazi dei grandi edifici bianchi e blu abilitati a posti di frontiera, potrebbero essere i cartelli che avvertono che tutte le procedure sono libere e che spaventano gli audaci trafilatori dal tentativo di truffare le persone.
Può anche influenzare il fatto di non dover aspettare in due diversi posti di frontiera (come accade al confine con la Colombia) e quindi l’attesa è ridotta alla metà. Sicuramente anche perché le persone sono un po’ più vicine ai loro familiari e amici che li stanno aspettando in Perù, in Cile. Quando eravamo lì, l’atmosfera era molto più rilassata e la gente non sembrava essere così riluttante nell’immaginare cosa li aspettava nelle loro nuove destinazioni, sempre con un occhio sull’ormai remota possibilità di tornare nel loro paese in futuro.
Per ora, possiamo solo sperare che l’Ecuador faciliti il processo di regolarizzazione dei venezuelani che vogliono iniziare una nuova vita nel paese e contribuire al suo progresso attraverso esperienza e conoscenza professionale. Solo quando il paese comprenderà i benefici che la migrazione apporta alla sua economia e alla sua diversità sarà in grado di procedere nel rispetto di quanto stabilito dalla propria costituzione. Solo quando le persone vedranno l’altro come un proprio simile e non una minaccia, potremo ottenere un mondo più giusto ed equo.
Nonostante tutto… sarà vero che l’Ecuador ama la vida?
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