• Cb Apg23, 2008

Caschi Bianchi Cile

La rivolta dei pinguini

Gli studenti di Santiago manifestano dando seguito alla protesta del 2006, con maggior numero di partecipanti nella scuola del Cile. Con le sue politiche di privatizzazione, il Cile rappresenta un modello della sperimentalizzazione di uno Stato liberale. Questo aumenta gli squilibri e il divario qualitativo nell’offerta formativa di scuole pubbliche e private. La diseguaglianza sociale inizia dall’educazione.

Scritto da Federica Castellani

Santiago del Cile. Nell’ultimo mese la situazione a Santiago come nelle altre regioni del Cile, sta diventando sempre più critica. Il movimento studentesco, detto “moviemiento de los pingüinos” è in rivolta da più di un mese. La crisi del sistema educativo e il malcontento dei loro protagonisti è tornata a far parlare di sè: accanto agli studenti, in mobilitazione dall’inizio di maggio, il 4 giugno hanno sfilato anche i professori, uniti per chiedere l’abolizione della nuova riforma del sistema educativo.

Il Movimento dei Pinguini viene denominato tale nel maggio 2006, quando piu 100 mila studenti di più 100 scuole hanno manifestato per chiedere l’abrogazione della Legge Organica Costituzionale dell’Educazione (LOSE). Questa manifestazione, prolungata fino al luglio dello stesso anno, è stata la protesta con il maggior numero di partecipanti della storia del Cile, superando anche le manifestazioni del 1972 sotto il regime di Salvador Allende, contro il progetto di creare una Scuola Nazionale Unificata, e le rivolte del 1980 contro la politica educativa del regime militare.

Sono passati 40 anni dai primi sollevamenti degli studenti che chiedevano, tra le altre cose, una fiscalizzazione più vicina alle loro possibilità. Ancora oggi, se si vanno a guardare le richieste, il tema fiscale è tra i più importanti. Ma non è l’unica cosa che non è cambiata: come 40 anni fa, anche oggi, protagonista delle manifestazioni sono gli scontri con i carabinieri che, nella manifestazione del 4 di giugno scorso, si sono conclusi con lanci di gas lacrimogeni e 24 detenuti.

Il presidente del comitato studentesco dell’Universidad de Chile, Sebastián Lillo Aliste, spiega i motivi di malcontento e le richieste: in primo luogo il NO alla nuova riforma della Legge Generale dell’Educazione, la demunicipalizzazione e quindi la fine del lucro, la richiesta di un maggior apporto fiscale dello Stato, la fine delle disuguaglianze e, tra le altre, la proposta di una tariffa unica per gli studenti.

Il 9 aprile del 2006 la presidente Michelle Bachelet ha firmato la nuova riforma educativa che, dopo l’approvazione del parlamento, andrà a sostituire la vecchia Legge Organica Costituzionale Educativa (LOSE). Il nuovo progetto di legge ha la pretesa di eliminare la discriminazione e garantire un’equità e un certo standard di qualità nella scuola. Le recriminazioni degli studenti riguardano, in primo luogo, il fatto che nella formulazione di questo progetto di legge le proposte venute da loro non sono state ascoltate.

Per quanto riguarda il tema della demunicipalizzazione, dobbiamo fare una premessa. Il Cile, durante il decennio degli anni ’80, iniziò una politica di forti privatizzazioni del settore pubblico, a cominciare dal settore pensionistico, in cui sono le private Amministrazioni dei Fondi Pensioni ad assumere un ruolo prioritario, fino al settore del lavoro, in cui i sindacati vengono lentamente emarginati e in cui la maggioranza della produzione viene affidata a imprese private. Così anche il settore della scuola pubblica viene trasferito al municipio, e si crea un sistema di sovvenzioni per ogni alunno che frequenti scuole pubbliche o private soddisfando alcuni requisiti minimi. Nella pratica, le scuole ricevono due tipi di finanziamento: uno diretto dalle istituzioni pubbliche (come per esempio i municipi) che però copre solo una certa percentuale, e un apporto indiretto e condizionato, che dipende dalla capacità di ogni singola scuola di proporre progetti per attirare più utenti possibili e quindi ricevere più finanziamenti. Un esempio: l’Universidad de Cile riceve il 23 % degli introiti dallo Stato, il resto da apporti indiretti.

A questo è collegato l’altro tema fondamentale che rende generale il malcontento verso la politica educativa: il Cile rappresenta il modello della sperimentalizzazione di uno Stato liberale. Per aumentare la copertura il governo ha acconsentito e in certa maniera incentivato la competizione tra le varie scuole: sono state aperte scuole private che ricevono sovvenzioni dallo Stato e dai genitori. Per questo, a una scuola definita di “migliore qualità” secondo determinati criteri, come l’offerta formativa, possono accedere solo alunni che hanno un certo reddito, tale da permettere loro di pagare la tassa di frequenza. I figli di famiglie con meno risorse economiche sono costretti ad andare nella scuola pubblica, dove la qualità non è garantita, in quanto quella scuola dispone di meno risorse economiche. L’errore dello Stato è stato quello di aver permesso questo sistema di finanziamento senza aver stabilito un tetto minimo che garantisca alle scuole i finanziamenti necessari per offrire un livello di qualità adeguato.
E le scuole dal loro lato, speculando sul fatto di avere una migliore offerta formativa, alzano le tasse di frequenza, ricevono più utenti e di conseguenza hanno anche un ricavo più elevato. E il tutto a scapito dell’equità e della qualità dell’educazione.

Il Cile è uno tra i paesi dell’America Latina con il più alto tasso di disuguaglianza sociale. Una diseguaglianza che parte già dall’educazione.

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