• Cb Apg23, 2009

Caschi Bianchi Russia

Dentro la grande Madre Russia

…poi un bel giorno qualcuno ti interpella e ti chiede: “Ma dove sei stata tutto questo tempo, prima di venire qui?”. Lettera da Astrakhan.

Scritto da Mirella Zanon

Poco piu di un mese è passato dal mio ritorno in Terra Russa …dopo 90 giorni quasi “forzati” trascorsi in Italia a causa del visto, ha un sapore intenso essere qui, a casa. Si ritorna in famiglia, con le persone che vivono qui, che hanno aspettato questo tempo fiduciose ma anche un po’ arrabbiate con la legge russa, così assurda. Si ritorna con Angelika, sempre la solita vivace ed ostinata a non volver parlare nè sentire, e Vitja, alle prese con lo stato che vuole mandarlo a fare il militare e la scuola che vuole bocciarlo, e con tutti gli altri, alla vita familiare, con qualche movimento in più: la pronta accoglienza di Aljosha, che a suo tempo aveva già concluso il programma terapeutico, e che è stato con noi una settimana. La presenza di Alice, ex casco bianco tornata ad Astrakhan per 3 mesi, che ha dato una mano durante la mia assenza e che tra qualche giorno ripartirà per l’Italia. E poi Sveta, i bimbi, gli altri fratelli e sorelle nella vocazione e nella vita, sparsi per Volgograd ed Elista.

Si ritorna in strada, ad incontrare volti ben noti e a riscoprirne di nuovi. C’e sempre Alexandr, quel signore che se ne sta in un vagone abbandonato tra i garage, immerso nell’immondizia. Lui, senza dita dei piedi, perse per via del congelamento, ma con una dignità che colpisce subito al primo incontro. Ci sono Lena e Maxim, giovanissimi, che hanno avuto una bambina due mesi fa, Julia. Sono venuti un pomeriggio da noi per lavarsi, e mentre tenevo in braccio la piccola pensavo a quanto sarebbe bello se la loro vita cambiasse per amore di lei, per tentare di darle un futuro sereno. Lena ha già altri 2 figli, uno in affido familiare, uno in istituto, e il futuro di Julia non sarà molto diverso dalla strada. Chissà che il Signore tocchi il cuore di questi genitori, e di tanti altri…

Poi c’è Vladimir, senza mani, che se ne sta sempre nel grande mercato cittadino dei Bolshye Isadi, tutto il giorno sul ponte ad aspettare, non so bene che cosa. Aspetta noi, quelle 2-3 mattine a settimana che riusciamo a fare il giro per la città in cerca dei senza fissa dimora, ma a volte penso che la sua preoccupazione più grande non sia aspettare qualcuno o qualcosa, ma far passare il tempo. Quando te ne stai immobile su un ponte, tra gli schiamazzi del mercato, gli sputi dei poliziotti, l’indifferenza dei passanti, aspetti solo che la giornata volga al termine, perchè è meglio tornare a dormire sotto il ponte tra i propri escrementi. “Grazie che ogni volta mi salvate”, ha detto l’ultima volta che l’ho visto. Penso a quanto poco credo di fare per lui, con un po di thè caldo e un panino, e invece quelle parole mi sono entrate nel cuore, uscite dalle labbra seccate dalla febbre e dall’alcohol in un momento di lucidità.

Oppure c’è quella donna ubriaca e tutta insanguinata che un giorno ho trovato poco lontano da una chiesa ortodossa, che mentre cerco di aiutarla ad alzarsi il ragazzo che aveva parcheggiato là vicino mi dice di lasciarla stare che “tanto è solo un’alcolizzata”, oppure ci sono Ljuda e Dima, quella coppia surreale che gira in mezzo alla strada, schivando le marshrutke (1) sfreccianti, lei una donna sui 35-40, strabica e con un lieve ritardo mentale che tira un carrettino sgangherato dell’anteguerra con lui disabile seduto sopra, un uomo sui 40 forse, che parla con difficoltà di articolazione un russo colto e ricercato, e che discretamente si informa sulla provenienza del mio accento straniero. Ho lasciato loro il numero di telefono e Dima mi ha pure chiesto l’email, chissà che in uno di questi giorni non mi capitino a casa. Che coppia, visione surreale in mezzo al bailamme (2) del centro

città, come provenienti da un’altra dimensione.

A volte ho come l’impressione di non riuscire a portare

tutta la sofferenza che incontro per strada,

a volte sento il cuore che scoppia

dalla rabbia e dal dolore, a volte mi chiedo

cosa deve pensare la gente

che mi vede soffermarmi vicino ad una vecchina

malconcia o ad un barbone steso per terra.

Poi penso che ho voglia di scegliere ognuno dei personaggi che incontro,

di portare un pezzo delle loro storie con me, di soffrire con loro,

di dare loro una mano, di essere al loro fianco mentre portano quella croce

troppo pesante per essere portata da soli…Penso che non è molto,

perchè spesso magari di aiuto concreto se ne può dare poco,

però penso a quanto importante sia che in qualche modo, anche solo per un momento,

ognuna di queste persone si senta persona amata e voluta da Dio, si senta scelta per la sua unicità.

Poi arriva il 9 maggio, importantissima festa nazionale per i russi, il Giorno della Vittoria: con visite ai monumenti e ai luoghi storici, la nazione ricorda la vittoria della Seconda Guerra Mondiale. Il paese si ferma per 3 giorni per dare spazio alla memoria storica, a volte in modo patriottico e ridondante, a volte con l’umile testimonianza dell’anziano veterano sopravvissuto per miracolo ai bombardamenti del conflitto. Quel giorno mi sono trovata a Volgograd, la città-eroe per eccellenza, quella città che durante la famosa battaglia di Stalingrado del ’42 tenne testa all’aggressione tedesca. Mentre la tv trasmetteva senza sosta immagini in presa diretta dai luoghi della memoria sparsi per la città e per l’intera Federazione, mi son chiesta cosa doveva pensare Pasha, nonnino di 61 (ma è come se ne avesse 80), vecchia conoscenza della Comunità, che fino a qualche giorno prima per una sfortunata coincidenza di eventi se ne stava in strada, senza l’uso delle gambe, disteso tra i suoi escrementi e i pidocchi. Mentre Marco era in Italia, avevo chiamato l’ambulanza perchè lo venisse a prendere, avevo litigato arrabbiatissima con i dottori che di prendere barboni in ospedale non ne vogliono sapere, come ad Astrakhan e in tutta la Russia, e dopo 3 ore di permanenza in ospedale con esami miracolosamente tutti perfetti, lo hanno dimesso. E cosi per qualche giorno mi sono presa cura di lui: vestirlo, lavarlo, dargli da mangiare. Chissà come si è sentito lui il Giorno della Vittoria, quando gli ho comunicato che ero stanca di cambiare e lavare vestiti e lenzuola per la sua incontinenza e che avevo deciso di mettergli il pannolone. La condivisione con Pasha, breve ed intensa, mi ha toccato nel profondo: tra i suoi sbalzi di umore e i discorsi sclerotici, aveva dei lampi di lucidità in cui o mi mandava a quel paese, o mi ringraziava per le cure che gli davo. “Ma dov’eri tutto questo tempo, prima di venire qua??” mi ha chiesto una sera mentre gli rimboccavo le coperte. Me lo chiedo anch’io, Pasha, perchè ci ho messo così tanto tempo a scoprire la Comunità Papa Giovanni e ad arrivare in Russia …per stare con le persone come te. Ero in ricerca di un senso, cercavo di essere felice, cercavo di incontrare quel Dio che si faceva tanto desiderare, e non trovavo la quiete in nessun posto. Ed ora sono qui…e lo ringrazio di quello che mi fa vivere e delle persone che mi ha messo, mette e mi metterà a fianco e di quelle che mi fa incontrare sul mio cammino. Lo ringrazio perchè lo sento vivo e vicino a me.

E poi e arrivato il momento di partire per Mosca con Angelika, per il controllo dell’apparecchio acustico, e con Katja, che pochi giorni dopo è partita per la Croazia per terminare il programma terapeutico. Le lunghe ore di treno (ce ne abbiamo messe 31 per tornare ad Astrakhan!), l’arrivo nella frenesia della capitale, il ritrovare posti noti e riscoprirne di nuovi, affascinanti e sconvolgenti, ossimori di estrema ricchezza e povertà, incarnati nel seno della Grande Madre Russia. Mentre il treno attraversava paesaggi infiniti e una natura quasi incontaminata, ho lasciato scorrere liberi i pensieri. La domanda più ricorrente, che ancora mi sconvolge piacevolmente, è “perche la Russia??qui e ora??” Posso cercare di esprimere quello che sento nel profondo, cioè questo legame viscerale con questa Terra e i suoi abitanti, posso cercare di snocciolare come si fa con un rosario, tante volte, tutti i grani del mio rapporto con il Signore che vengono alla luce qui, ma ancora non so darmi una risposta razionale. Posso dire come mi sento fortemente attratta dai luoghi e dalle persone, dalla spiritualità che si respira qui, ma c’è qualcosa di più profondo che solo Lui sa, e allora quello che mi resta nel cuore e che posso comunicarvi è uno stupore profondo e una sensazione di gratitudine per il ‘qui ed ora’. Il resto ce la vediamo io e Lui…giorno dopo giorno, preghiera dopo preghiera, gustando a pieni polmoni la Gioia di vivere. Sfiorare il senso della vita, della gioia anche nella sofferenza, di quel mistero con cui tutti cerchiamo di fare i conti ma che continuamente ci attira proprio perchè resta Mistero, con i poveri come compagni di viaggio. E così mi fido, giorno dopo giorno, e appena mi riprendo dal lungo viaggio si ritorna alla quotidianità, alla famiglia, all’orto e al giardino da curare, ai mille volti di questa terra che scopro passo dopo passo…e di cui spero di riuscire almeno in parte a rendervi partecipi.

Note:

1. Mezzo di trasporto molto diffuso nei paesi dell’Ex Unione Sovietica;

una sorta di servizio privato di taxi collettivo svolto da mini bus.

2. Confusione

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