Caschi Bianchi Nigeria
Ken Saro Wiwa e il petrolio del Delta
La lotta nonviolenta di Ken Saro Wiwa per proteggere l’ambiente del Delta del Niger e i conflitti che vedono coinvolte le grandi multinazionali del petrolio.
Scritto da Simone Ceciliani
“Se si portano via a un popolo tutte le sue risorse, gli si porta via la sua terra, se gli si avvelena l’aria, se gli si avvelenano i corsi d’acqua, gli si rende impossibile l’agricoltura e la pesca che rappresentano le attività principali della sua sopravvivenza…se tra gli Ogoni sono più i morti dei nati…allora si porta il popolo all’estinzione” (1) Ken Saro Wiwa
Mi trovo ad Onitsha, Nigeria, sulle sponde del grande fiume Niger, un centinaio di km più a nord del Delta, che con le sue mille diramazioni e infiniti meandri va a gettarsi nel Golfo di Guinea (Oceano Atlantico). Con i suoi 70.000 km² (un quarto dell’Italia) di terre umide, paludi, lagune, tributari, è una delle aree più fertili della terra, dalla biodiversità sorprendente, e soprattutto ha da sempre dato ospitalità e sostentamento ai popoli e culture che qui vivono, dediti principalmente ad agricoltura e pesca. Cosa ancor più tremendamente importante, il Delta del Niger è la regione più ricca di petrolio dell’intera Africa, con i suoi 33 miliardi di barili stimati, oltre alle riserve offshore. Dal 1956, anno di scoperta del primo pozzo da parte della Shell nel villaggio di Oloibiri, il Delta ha quindi calamitato l’attenzione di tutte le principali compagnie petrolifere occidentali, piombate immediatamente nella regione. Una triste coincidenza deve aver fin da subito reso guardinghe le popolazioni del Delta: i terminal per l’esportazione del greggio, costruiti dalle multinazionali corrispondevano esattamente ai vecchi porti schiavisti dove milioni di africani furono imbarcati alla volta dell’America durante il periodo della tratta atlantica: Forcados (Shell), Qua Ibo (Mobil), Escravos (Chevron), Brass (Agip), Pennington (Texaco).
Oggi il Delta del Niger è una delle zone più calde d’Africa: milizie etniche armate fino ai denti, traffico d’armi, rapimenti, violazioni dei diritti umani, scontri tra esercito e formazioni paramilitari, baraccopoli rase al suolo.
Qualche giorno fa circolava la notizia riguardante il risarcimento, da parte della Shell, alla famiglia di Ken Saro Wiwa, a 14 anni dalla sua morte, per un ammontare di 15 milioni e mezzo di dollari. Chi è Ken Saro Wiwa? Sconosciuto ai più, questo poeta e scrittore nigeriano, appartenente al popolo Ogoni (circa mezzo milione di persone), è stato l’uomo che più di tutti si è opposto, in modo nonviolento, all’arroganza e alla violenza delle multinazionali del petrolio, appoggiate dalla dittatura di Sani Abacha, che ha dominato la Nigeria dal novembre 1993 al giugno 1998 (terza e ultima dittatura militare dall’indipendenza fino ad oggi).
L’Ogoniland, regione del Rivers State, ospita 10 dei maggiori campi petroliferi di tutto il Delta, e la vita della sua popolazione, basata principalmente sulla pesca, venne stravolta dalla scoperta del petrolio. Il caso descritto da Sonia Shah sulla città di Okoroba fornisce un esempio pratico di ciò che è avvenuto in molti villaggi del Delta: “La Shell vi trovò il petrolio nel 1991, a mezzo km circa da un villaggio che sorgeva in una posizione delicata: tra una palude d’acqua dolce e una d’acqua salata. L’acqua dolce serviva agli abitanti per dissetarsi e lavarsi. Quella salata forniva molluschi nutrienti e facili da allevare e catturare. Per risparmiare tempo la Shell decise di scavare un canale in questa delicata rete di vie d’acqua, abbastanza ampio da farci passare le sue pesanti attrezzature. Il dragaggio del canale distrusse un ospedale non terminato, piantagioni di palme da cocco e tombe antichissime. A Okoroba 6000 agricoltori persero le coltivazioni con cui si guadagnavano da vivere. Cumuli di fango saturarono gli specchi d’acqua che garantivano loro il sostentamento. Infine l’acqua salata contaminò quella dolce, i pesci morirono. Non c’era più acqua potabile. Il petrolio filtrava nel terreno e nelle acque fangose e nauseabonde…” (2). La popolazione ha dovuto assistere impotente alla distruzione della propria terra, senza vedere alcun risarcimento, senza essere consultata, senza aver alcuna voce in capitolo, e senza vedere una goccia di petrolio, derubato sotto il loro naso dalle multinazionali occidentali. Oggi l’Ogoniland è una delle regioni più povere della Nigeria nonostante ospiti metà circa delle raffinerie di tutto il Paese.
La prima grande manifestazione pacifica contro una multinazionale (Shell) avvenne nell’ottobre 1990 a Umuechem, una comunità nella parte orientale dell’Ogoniland. La polizia, chiamata dalla Shell, uccise 8 dimostranti e distrusse senza motivo 495 case, come denunciato da Human Rights Watch (3). Fu in questo clima che andava sempre più arroventandosi che Ken Saro Wiwa decise di fondare nel 1990, il MOSOP (Movement for the Survival of the Ogoni People), per far conoscere al Mondo la causa del suo popolo e delle altre comunità del Delta. Il consenso che riuscì ad ottenere fu molto ampio anche per la popolarità delle richieste portate avanti dal MOSOP: risanamento e protezione dell’ambiente del Delta, risarcimento da parte delle multinazionali per i danni subiti (10 miliardi di dollari), e un negoziato continuo con gli Ogoni per determinare le quote e condizioni della produzione petrolifera (tutte le richieste vennero espresse nell’ “Ogoni Bill of Rights”).
Le compagnie petrolifere reagirono aumentando le misure di sicurezza, mentre il regime militare di Sani Abacha, alleato delle multinazionali (grazie alla rendita petrolifera riuscì infatti a saccheggiare 4,3 miliardi di dollari, finiti in buona parte nei conti di 19 banche svizzere) fece ricorso alla più dura repressione: stragi di civili, villaggi incendiati, torture, stupri, crearono un clima di terrore nel Delta, senza però riuscire a spegnere la protesta. Al contrario, questa raggiunse il suo apice il 3 gennaio 1993 (proclamato dall’ONU, “anno delle popolazioni indigene”) con il raduno di Bori, promosso da Ken Saro Wiwa, a cui parteciparono circa 300.000 persone. Le violenze continuarono, in particolare nell’aprile 1994 quando vennero uccisi 750 Ogoni mentre 30.000 persone si ritrovarono senza casa, fino ad arrivare alla svolta del 22 maggio 1994, quando Ken Saro Wiwa, ormai diventato il nemico principale della dittatura militare e delle multinazionali, venne arrestato insieme a Ledum Metee, altro esponente del MOSOP, con l’accusa assurda e infondata dell’uccisione di 4 leader MOSOP filogovernativi. Il processo fu assolutamente privo di parzialità e trasparenza, gli avvocati degli imputati vennero più volte minacciati, mentre la famiglia di Ken Saro Wiwa subì diverse violenze, come denunciato da Human Rights Watch (4).
Il 10 novembre 1995 si procedette all’impiccagione di Ken Saro Wiwa, dopo un periodo di isolamento e torture, insieme ad altri otto attivisti MOSOP. Fu solo allora che i mass media occidentali puntarono la loro attenzione su ciò che stava accadendo nel Delta. Oltre a manifestare il loro sdegno, Europa e Stati Uniti fecero ben poco e le sanzioni attuate, più che colpire il regime di Abacha, evidenziarono la debolezza di chi le proponeva. L’occidente non può infatti fare a meno del petrolio nigeriano, vista la cronica instabilità del Medio Oriente. Non venne appoggiato di conseguenza l’unico leader che propose l’embargo petrolifero: Nelson Mandela. Dal canto suo l’ONU disse chiaramente che “sanzioni più pesanti contro la Nigeria avrebbero avuto effetti devastanti sulle crisi dell’Africa occidentale – vedi Liberia – in cui Abuja era impegnata a riportare la pace…” (5) Vergogna!
E così siamo arrivati ai giorni nostri. La situazione del Delta non è mutata, anzi è degenerata in un escalation di violenza che ha preso il posto della protesta pacifica. Oggi le due milizie etniche più attive nel Delta sono il MEND (Movement for the Emancipation of Niger Delta) e l’IYC (Ijaw Youth Council) affiancate da molte altre. Al 16 giugno risale l’ultimo attacco, organizzato dal MEND contro un impianto della Chevron nello stato di Bayelsa, attacco che fa parte di una strategia più ampia e organizzata che mira ad arrestare la produzione di petrolio di tutte le multinazionali presenti nel Delta. Questi gruppi sulla carta combattono per liberare il Delta dalle compagnie occidentali e per ottenere più autonomia dal governo federale di Abuja, ma i loro fini reali non sono sempre così chiari.
La storia dei rapimenti degli impiegati delle multinazionali è storia recente e nota più o meno a tutti. Ma i nostri telegiornali invece di contestualizzare gli avvenimenti, parlando per esempio dei popoli del Delta e della sistematica violazione dei diritti umani, si limitano a dipingere l’Africa come il continente delle guerre, delle mille etnie in lotta fra loro, un continente dove i bianchi sono sempre in pericolo.
A proposito della “nostra” AGIP: anche lei è coinvolta, non meno della Shell e delle altre compagnie petrolifere, in questa storia. Vi racconto solo un fatto che mi ha colpito molto, avvenuto in una baraccopoli alla periferia di Port Harcourt, la città più grande nel Delta. Questo slum, situato di fronte ad un impianto dell’AGIP è stato completamente raso al suolo dai bulldozer, autorizzati dalla polizia armata, privando 5000 persone delle loro abitazioni. Il fatto è avvenuto nel febbraio 2005: “durante l’azione d’evacuazione è stata persino rasa al suolo una chiesa dove avevano trovato rifugio donne incinte e madri con i loro bambini. Secondo alcuni testimoni oculari, la polizia è intervenuta contro gli abitanti in maniera brutale; alcuni sarebbero perfino stati frustati” (6). Secondo le organizzazioni umanitarie locali la bidonville sarebbe stata distrutta per far posto a una struttura dell’AGIP. Human Rights Watch ha segnalato la frequenza notevole di incidenti nei pressi delle strutture del gigante italiano. Uno dei più gravi è avvenuto a Olugbobiri il 14 ottobre 2000, quando i soldati posti a difesa della struttura hanno aperto il fuoco su 51 giovani disarmati giunti per protestare, uccidendone nove (7). Secondo Amnesty International questo tipo di crimini e abusi non sono casi isolati e occasionali ma purtroppo sembrano essere pratica comune (8).
Ho appreso, appunto, pochi giorni fa la notizia del risarcimento della famiglia di Ken Saro Wiwa. Giustizia è fatta? Non proprio. La Shell ha infatti patteggiato, pur di evitare il processo, il primo in cui una compagnia petrolifera sarebbe stata condannata per crimini ambientali e violazioni dei diritti umani.
La storia non finisce ovviamente qui. Gli scontri e le ingiustizie proseguono mentre il petrolio continua a fluire a caro prezzo dai meandri del Delta fino ai serbatoi delle nostre macchine…
Note:
1.Citato da Marcella Emiliani, “Petrolio, forze armate e democrazia”, Roma, Carocci, 2004, p.224
2.Sonia Shah, “Oro nero”, Milano, Mondadori, 2005, p 149
3.Human Rights Watch, “The Ogoni crisis. A case study of military repression in southeastern Nigeria”, luglio 1995
4.Human Rights Watch, “The Ogoni crisis. A case study of military repression in southeastern Nigeria”, 1995
5. Marcella Emiliani, “Petrolio, forze armate e democrazia”, Roma, Carocci, 2004, p.279
6. Thomas Seifert e Klaus Werner, “Il libro nero del petrolio”, Roma, Newton Compton, 2007, p 255
7.Human Rights Watch briefing paper: update on human rights violations in the Niger Delta, 14 dicembre 2000
8.Amnesty International, “Nigeria: are human rights in the pipeline?”, novembre 2004
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