Durante le settimane di formazione che hanno preceduto la partenza per la Croazia, qualcuno mi raccontò la storia dell’incontro tra l’ultimo sovrano dei Maya, Montezuma, e colui che avrebbe definitivamente annientato la sua civiltà, oltre che il suo popolo, ovvero il conquistatore Cortez: il primo, all’arrivo dell’europeo, credette che quest’ultimo fosse una sorta di divinità, e così lo accolse con i massimi onori. Per quel che riguarda Cortez, lo spagnolo rispose alle numerose cortesie ed onorificenze con una domanda secca e ben precisa: “Dov’é l’oro?”.
Sono in Croazia, per la precisione a Vrgorac, da ormai due settimane, e fin da subito mi é stato chiaro che di oro, qui, sembra essercene davvero poco: ad una prima occhiata, l’intera Dalmazia meridionale non é altro che un’accozzaglia di pietre su pietre circondate da altre pietre, dove il numero delle abitazioni é minore persino di quello degli albini che risiedono ad Harlem. Sembra assurdo che fino a quindici anni fa c’era gente pronta ad imbracciare il fucile e a schivare le mine per la conquista di questi territori, all’interno di una guerra senza schieramenti, dove quelli che ieri erano i tuoi alleati oggi potevano esser diventati i tuoi nemici e domani chissà… E che gente, poi: persone pronte ad accogliere il nazionalismo non come una delle tante opzioni politiche, ma come un vero e proprio credo religioso, in cui la “scacchiera” biancorossa diviene oggetto degno di venerazione, spesso e volentieri affiancata da uno dei numerosi simboli dell’Hajduk, la principale squadra di calcio di Spalato di cui, però, sembra esser tifosa l’intera Dalmazia. E così, come gli slogan della Torcida, il più famoso gruppo di ultrà dell’Hajduk, riempiono i muri delle città, così le canzoni di Thompson, popolare cantante rock che infarcisce i testi delle proprie canzoni di messaggi violenti e nazionalisti, inondano le frequenze radio. E spesso, sembra quasi superfluo dirlo, le parole finiscono con l’essere intercambiabili.
Ma oltre alle note di Thompson, oltre agli ultrà che minano il decoro urbano e persino oltre alle onnipresenti pietre, la Croazia oggi ha un altro problema con cui fare i conti: dalla fine della guerra ad oggi, infatti, il consumo di droga ha avuto in tutta la nazione una diffusione a dir poco capillare: dalle “tradizionali” hashish ed eroina, fino alle recenti droghe sintetiche, pressoché tutte le sostanze hanno trovato terreno fertile dall’altro lato dell’Adriatico, lì dove migliaia di nostri connazionali decidono di passare le loro vacanze estive attirati dai prezzi a buon mercato e da un mare che definire limpido é poco. Ma, come sosteneva Anna Maria Ortese riguardo a Napoli, dopo queste due settimane sono sempre più dell’idea che, in fondo, il mare non bagni la Croazia.
Ivica, detto Ivo, ha trentasei anni. Secondo i canoni di queste parti é di altezza e corporatura media, ma in Italia non esiteremmo molto a dire che é abbastanza alto e abbastanza grosso. I capelli sono castani, completamente rasati sulle tempie e qualche millimetro più lunghi su fronte e nuca. Occhi chiari e glaciali, voce grossa e profonda. A causa di queste peculiarità, la sua sola apparizione sarebbe capace di mettere in soggezione pressoché chiunque.
Ivo parla spesso della guerra, di quella guerra che ha combattuto in prima linea nelle file della milizia croata; e poi ti parla dei suoi comandanti, dei vecchi compagni che non ci sono più e di quelli che ci sono ancora, della droga che ha conosciuto durante il conflitto, dei mesi passati a San Patrignano, di sua figlia… e quando ti parla di tutto ciò la soggezione sparisce, perché si vede lontano un kilometro che ti sta facendo un regalo, ed é un regalo che, naturalmente, accetto di buon grado. Del resto, lui ne fa tanti di regali, specie ai “suoi” ragazzi, a cui dona, in primis, se stesso. Si, perché Ivo é uno dei due responsabili della comunità di recupero per tossicodipendenti che ha sede a Orah, una frazione di Vrgorac. Ce ne sono altre due simili nell’arco di pochi kilometri, mentre un’altra struttura ancora é un po’ più lontana: tutte e quattro insieme formano una rete interamente gestita dall’Associazione Papa Giovanni XXIII.
Chi ci raccontò dell’incontro tra Cortez e Montezuma ci intimò di non comportarci come il conquistatore, perché essere un Casco Bianco in “missione di pace” implica soprattutto lo spogliarsi del ruolo di conquistatori, di “occidentali” interessati esclusivamente ai propri interessi e al proprio mondo, tributando il massimo rispetto a chi ci sta di fronte e sforzandoci di comprendere ogni suo gesto e parola. Ma, nonostante tutto, io mi sento di dire che l’oro non chiedo dov’é solamente perché l’ho già trovato: Ivica e la sua storia sono il mio oro, e con lui tutti i ragazzi che sono qui a Vrgorac. No, non lo dovrò chiedere quest’oro, perché é già qui, davanti a me. E, questo é poco ma sicuro, cercherò di guadagnarmelo giorno dopo giorno. E alla fine, ne sono sicuro, il mare bagnerà anche i miei piedi, oltre che tutta la Croazia.
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