Caschi Bianchi Tanzania

La stagione delle piogge

L’arrivo della pioggia nel villaggio di Msindo svela un mondo magico e rigoglioso, che permette di ritrovare il legame ancestrale con la terra.

Scritto da Sandra Gasbarri

Fuori piove è la stagione delle piogge all’improvviso dopo una mattina di sole intenso arriva un temporale fitto e la vita sembra fermarsi. Seppur malinconica e difficile questa stagione è la stagione della vita, tutto è verde, florido e fecondo in questo angolo d’Africa. Gli alberi sono verdi  e  i tronchi sembra che non possano sopportare il carico di foglie, sistemate nelle forme più impensate. Chiome globulose o a formare un ombrello, spettinate o perfettamente acconciate.  Dalla terra rossa polverosa con il sole e collosa e scivolosa con la pioggia, a soffocare i tronchi e le case crescono rigogliosi  campi di mais e manioca, i fiumi gonfi e sulle rive il riso rende il paesaggio morbido lontano dall’immagine arida dell’Africa che uno si aspetta di vedere. Tra i campi e le boscaglie a interrompere la ditesa verde, si intravedono sparse case di mattoni rossi con i tradizionali tetti di paglia o con i più innovativi e ricercati tetti di lamierino ondulato. Non c’è luce e non arriva l’acqua nelle case:  tutto si muove sulle teste delle donne africane, che con passo dondolante trasportano legna, secchi d’acqua e i raccolti dei campi. Avvolti nelle stoffe colorate i bambini dormono nella pace sulle schiene delle mame.  Le donne trasportano la vita al ritmo incostante delle piogge.

“ Nvua inacuja, inarudi” la pioggia arriva, sta tornando, esclamano fissando il cielo. Allora se guardi l’orizzonte puoi vedere come si muovono i temporali. Li vedi da lontano, tutti intorno, ascolti il vento e puoi capire quali di questi ti colpirà. Si avvicina la pioggia con il suo odore di funghi e terra bagnata, poi cade e la vita si ferma.

“Karibu sana” benvenuta esclamano gli uomini invitandoti al riparo sotto una tettoia di una casa o di un negozio. E inizia l’attesa tra i saluti e parole spesso ancora incomprensibili per me, mentre i bambini sempre presenti passano il tempo a fissare l’ospite mzungu (letteralmente bianco). In pochi minuti i rigagnoli d’acqua si gonfiano in temporanei torrenti sulle strade rosse del villaggio che la forza incontenibile dell’acqua trasforma e scava, rendendole sempre più accidentate. Le donne si apprestano a mettere dei secchi per raccogliere l’acqua che scivola dal tetto. Chi non trova riparo, cammina incurante della pioggia che scende fitta. Penso “sarebbe bello camminare coi piedi nel fango, bagnati dalla pioggia incessante!”.

In questa stagione che qui inizia a novembre e finisce a maggio con una breve pausa a gennaio,  si piantano le sementi soprattutto mais ma anche patate dolci, soya, fagioli e miglio tutto a mano. L’abbondante acqua fa crescere erbe spontanee e funghi che, cotti con olio e pomodori, rappresentano un economico  contorno all’ugali (polenta di mais), pietanza  base nei villaggi rurali della Tanzania.

A Msindo nella provincia di Namtumbo, dove sto svolgendo il mio anno di Servizio Civile, ritrovo nei gesti quotidiani degli abitanti del villaggio il mio passato. Il passato dei miei nonni, dei nonni dell’Italia intera. Contadini che vivono una vita di fatica, zappa alla mano sotto il sole e la pioggia, lavoro duro per la sussistenza. Una vita semplice e ripetitiva al ritmo delle stagioni, del sole e della famiglia numerosa.

Per la strada mentre vado all’asilo e al corso di cucito per donne, i progetti di cui mi occupo, le persone non mancano mai di un sorriso e un saluto. Nessuno cammina con gli occhi bassi. Scrutano l’orizzonte. Guardano il cielo per vedere il tempo che verrà, connessi alle nuvole, in relazione col cielo…un rapporto che noi nelle nostre comode scatole di mattoni abbiamo perso, assieme alla possibilità di vivere il tempo naturale dell’aria.

Oggi ho tardato: è notte mentre ritorno dalla città. La strada che dalla parrocchia di Msalaba Mkuu  porta a casa mia è interrotta. Devo ritornare a piedi, circa tre km al buio. Un villeggiante insiste nell’accompagnarmi, “una mzungu non può camminare al buio” pensa sotto il berretto. Ringrazio e saluto l’uomo.

Una volta di stelle antica mi protegge mentre attraverso il ponte. Tra  campi di riso, volano le lucciole, tante. Non so più dove è il confine tra terra e cielo, dove sono le stelle e le lucciole. Un concerto di rane dal suono di campanellini mi accompagnano. Un emozione che solo la natura nella sua perfetta melodia e architettura può trasmettere.

Nella stagione delle piogge anche di  notte, il bosco non si riposa e ci si sente felici di poter essere accolti tra queste capanne e i campi di mais.

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