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Bolivia Caschi Bianchi

Incontrandosi

“Esco serena, nel tumulto di La Paz, dove pensavo non esistesse una vera pace. Eppure oggi l’ho trovata, per un pomeriggio, in un “cuartito” in un angolo di Pasankeri”. Con queste parole Sara, Casco Bianco in Bolivia, ci racconta un pomeriggio passato insieme ad Alejandra.

Scritto da Sara Tencheni, Casco Bianco Apg23 a La Paz

Due occhi vivaci su una tela, faccia caffè, mani sottili, tremolanti ma allo stesso tempo decise.

“Dovresti venirmi a trovare señorita qualche volta, eh?”
“Quando sei libera Alejandra?”
“Io sono libera tutti i giorni”
“Che ne dici di questo giovedì?”
“Sì señorita, però vieni davvero, no ve?”
“Claro

Mi sorride, le fossette attorno alla bocca. Claro. Chiaro come il cielo di La Paz durante un giovedì pomeriggio di maggio. Claro. Come un impegno. Un patto, che forse può sembrare banale, un’aspettativa-aspettarsi. Con la speranza che precede l’incontro e la gioia del momento. Claro. Come il semplice bussare ad una porta.

“Qué macana! Attenta al cane! No stai indietro, phhh! Vieni señorita, qui dietro di me, attenta, ti può mordere. Per di qua, per di qua, vieni, veloce dai”.
Dal cortile entro direttamente nella sua stanza. Alejandra mi raggiunge con calma, tremolante, passo dopo passo, aiutandosi con le sue stampelle… mi appare così fragile e così forte allo stesso tempo.

Un corpo anziano, affetto da osteoporosi, pieno di tremori che le causano dei dolori fortissimi e limitano molto i suoi movimenti e la sua capacità di spostarsi, confinandola a volte a letto per intere giornate. Un sorriso sincero, trasparente. Una fede forte che funge da colonna vertebrale e le dà stabilità. Una testardaggine ed una tenacia a continuare a fare tutte le piccole cose quotidiane, nel limite delle sue possibilità, per mantenere un minimo di indipendenza. Un cuore accogliente.

A volte penso che dovrei smetterla di sorprendermi di tutte le contraddizioni o cose apparentemente contraddittorie che poi ad uno sguardo più profondo appaiono come complementari che la Bolivia mi ha mostrato finora. Eppure no, ogni volta ed anche oggi scelgo di farmi sorprendere.

Ci sediamo, lei su una sedia ed io sul letto lì vicino, lei si scusa per la stanza sporca. Metto a scaldare su un fornellino a gas dell’acqua, pulisco alla bell’e meglio le due tazze che possiede e ci prepariamo un “tesito” – te- con dei crackers. Scherziamo, parliamo di noi, delle nostre case, di cosa ci piace cucinare ma soprattutto mangiare. Poi la conversazione si sposta… lei mi racconta che il giorno prima era caduta per l’ennesima volta, peggiorando ulteriormente la sua situazione fisica, e per questa ragione non aveva potuto cucinare il pollo che aveva comprato apposta per questo pomeriggio.

“Ma figurati Alejandra non c’è problema, un te con cracker a quest’ora è più che sufficiente, ma piuttosto tu sei andata da un dottore a farti vedere?”
“No, e chi paga il taxi, la prima visita, gli esami, le visite successive? E chi mi porta poi? I miei figli lavorano tutto il giorno e riescono appena a mantenere le rispettive famiglie, non posso chiedergli dei soldi in prestito”
“Ahhh”
Bella risposta del cavolo la mia, ma sinceramente non so cosa dire, lascio cadere il discorso… il tempo passa, il sole comincia a tramontare, il cortile di terra e sassi fuori dalla porta si tinge di ombre, la stanza diventa molto fredda. L’aiuto a sdraiarsi nel letto e la copro con molte coperte perché nella stanza non c’è nessuna fonte di calore.
Alejandra mi consiglia di tornare a casa, la strada non è sicura la sera. Ci salutiamo, io scappo fuori in cerca del bagno in cortile prima che il cane abbia il tempo di rincorrermi. Esco…

Esco sorpresa dalle mie stesse emozioni… è quel: “ho poco ma quel poco lo condivido con te”, è quell’insieme di piccoli gesti che ti fanno sentire accolta, è quella dignità, la dignità di chi ti guarda dritto negli occhi, di chi non usa inutili formalità, di chi non ha veli perché non ha niente da nascondere, ti si pone difronte così com’è, con pregi e difetti, punti di forza e debolezze e ti dice: “Io esisto!”, che ti piaccia o meno “Io esisto, così come sono!”.

Ed io, che non so chi sono né dove sto andando, che ad ogni caduta faccio una fatica bestia a rialzarmi, figuriamoci a rialzarmi a testa alta. Io che mi preoccupo molto dell’opinione altrui, che mi vergogno del mio più piccolo errore… Io che ho tutto, che sono piena di opportunità e non so apprezzarlo.
Io che sono circondata da mille e più cose, impegni e mi perdo nel fragore, nel trambusto e nella frenesia della mia vita, che non sono in grado di fare questo scatto identitario.

Esco leggera, come se, grazie ad un effetto quasi catartico, mi fossi liberata di alcune inutili preoccupazioni puramente superficiali. Perché sì, qui in Bolivia ho sperimentato tanta gentilezza e spontaneità ma anche tanta bontà di facciata, tanto bisogno di focalizzarsi su dettagli formali. Questo tipo di atteggiamento di primo acchito ha il potere di farti sentire un po’ più accolto e in uno stato di apparente stabilità ma più avanti se degenera in una forte pudicizia e ipocrisia ti può far sentire “quasi tradito”.

Esco serena, nel tumulto di La Paz, dove pensavo non esistesse una vera pace. Eppure oggi l’ho trovata, per un pomeriggio, in un “cuartito” – stanzetta – in un angolo di Pasankeri, il quartiere della città, tra le mani un te bollente, nel cuore le contraddizioni di questa città.

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