Come sbianchettare una situazione nera
In quest’ultimo periodo molte province dell’Argentina stanno vivendo un periodo piuttosto insolito per una persona abituata a vivere nel cosiddetto primo mondo. Questi ultimi quattro/cinque mesi sono trascorsi accompagnati da una lunga serie di proteste negli ambiti probabilmente tra i più delicati per una nazione. Buona parte del personale di scuole e ospedali pubblici di Puerto Madryn sta aderendo a scioperi, che se in un primo momento duravano giusto un paio di giorni, in poco tempo hanno assunto la forma di scioperi a tempo indeterminato. Stiamo vivendo in una comunità terapeutica in cui convive anche la famiglia dei due responsabili e, ad oggi, i bambini non stanno frequentando la scuola da più di due mesi di fila. Problemi analoghi si stanno avendo anche negli ospedali, in cui sembra funzionare relativamente bene solo il pronto soccorso.
L’ultima volta che abbiamo accompagnato un ragazzo della comunità da uno dei pochi medici che non aderivano allo sciopero, abbiamo trovato un ospedale spaventoso, con corridoi incredibilmente vuoti. Questo è anche a causa del fatto che allo sciopero non solo stanno aderendo medici, insegnanti, presidi e personale amministrativo, ma anche i bidelli e il personale delle pulizie e, di conseguenza, talvolta il fatto che anche solo una di queste categorie non presti servizio, rende comunque la struttura inagibile. Da tempo la scuola di musica di uno dei ragazzi della comunità, per esempio, non sta più offrendo lezioni a causa del fatto che non viene pulita da troppo tempo.
Le rivendicazioni di tali proteste sono svariate, principalmente si lamenta il fatto che gli stipendi dei dipendenti statali, con l’importante aumento dell’inflazione, non sono più proporzionati al costo della vita. In teoria ogni anno sindacati e governo dovrebbero sedersi attorno al tavolo delle negoziazioni per adeguare gli stipendi, ma ciò non sta avvenendo da due anni. Si consideri che quando siamo arrivati in Argentina a novembre 2017, il cambio Euro – Peso argentino era a 1:20 circa, mentre oggi è a 1:33,5. Un’altra tra le ragioni delle proteste è che, se in teoria tali stipendi dovrebbero essere erogati in una specifica data uguale per tutti, in pratica lo stato ha prorogato di due settimane o di un mese (in base alla categoria dei lavoratori) tale data.
In un contesto così critico, noi come comunità abbiamo sentito l’esigenza di provare ad attenuare per quanto possibile le conseguenze di questa situazione, offrendo durante la settimana uno spazio in cui quei bambini che rimarrebbero molto probabilmente a casa, possano ritrovarsi in mezzo ad altri coetanei in un clima piacevole che al tempo stesso tenta di non dimenticare uno dei diritti più importanti del bambino, ovvero quello all’istruzione.
Un salone vuoto e un po’ di buona volontà
Come dice Don Oreste “Le cose belle prima si fanno e poi si pensano”, e per noi è stato proprio così perché tutto è iniziato senza pensarci due volte, un po’ inaspettatamente. Da un giorno all’altro abbiamo chiamato Padre Andrés per chiedergli le chiavi del salone della Caritas. L’idea era quella di coinvolgere i bambini del barrio Pujol, un quartiere poco distante da dove viviamo, in quella finestra di tempo in cui normalmente sarebbero dovuti essere a scuola, dedicando una parte della mattinata allo svolgimento dei compiti e un’altra ad attività più piacevoli come merenda e giochi. Il Padre si è dimostrato entusiasta e disponibile a pubblicizzarlo nella messa della domenica.
Il giorno successivo belli carichi di buone intenzioni ci siamo presentati in otto alla mattina presto per preparare la colazione e il possibile per una buona accoglienza di chissà quanti bambini. Indovinate un po’ quanti bambini c’erano? ZERO!
“Mannaggia!”, “Il progetto non è stato pubblicizzato sufficientemente”, “Abbiamo avuto aspettative troppo alte”, “Non l’abbiamo pensato e organizzato abbastanza”, “CI SIAMO MONTATI LA TESTA”, “ALE, non sai neanche le tabelline!”, “Diego, avevi 10 in matematica e non sai nemmeno da cosa iniziare per risolvere una divisione?!?”, “Cioè… Vuoi dirmi che alla fine Alan, che pensava che i dinosauri fossero ancora vivi, è l’unico che verrebbe promosso??!”.
Insomma, dobbiamo ammettere che il primo giorno ci aveva un po’ buttati giù, però, sebbene un po’ demoralizzati, il giorno dopo eravamo ancora lì e il terzo giorno finalmente vediamo entrare Alex dalla porta d’ingresso, seguito da altri quattro bambini. E così, giorno dopo giorno le nostre preoccupazioni cambiarono e oggi il problema sembra essere l’opposto.
Barattare gioia
Quello che più ci entusiasma di questa attività è l’impegno da parte di tutti e la voglia di mettersi in gioco, ciascuno con i propri limiti. È importante che partecipino anche i ragazzi della comunità terapeutica in quanto per loro è un’opportunità per sperimentarsi nell’aiuto ai più piccoli, per riscoprire ciò che si ha da donare, specialmente in questo periodo in cui sono loro a ricevere o ad essere aiutati. In più i sorrisi dei bambini ti conquistano e ti fanno ritornare al ritmo quotidiano con un po’ più di gioia nel cuore.
Luis, per esempio, un ragazzo della comunità terapeutica in una fase intermedia del programma e padre di una bambina di 8 anni che ora vive a Buenos Aires con la madre, si affeziona all’istante a Samuel, Liz, Alvaro e Dylan, trova il modo di affascinarli e di rendere un poco più interessanti quei compiti tanto noiosi. In questo modo riesce a riscoprirsi di nuovo padre e a dar loro un amore e un’attenzione speciale.
Per Diego e Alejandro che nel loro cammino in comunità stanno lavorando sulla capacità di ammettere i propri limiti e chiedere aiuto, le ore dedicate a fare i compiti con i bimbi sono come una palestra in questo perché talvolta si trovano a dover fare i conti con nozioni scolastiche ormai da lungo tempo dimenticate. Ciò li obbliga a mettersi in discussione e a chiedere aiuto, riconoscendo così il proprio limite.
Rimaniamo colpiti, quindi, dal fatto che ogni giorno è uno scambio: doni gratuitamente e inaspettatamente ricevi altrettanto gratuitamente da quei piccoli volti un po’ furbetti e molto ingenui, magari gli stessi che ritrovi il giorno successivo nello stesso salone per ricevere la merenda, per alcuni l’unico pasto della giornata.
Ci sorprende come presto sia diventato uno spazio per tutti e di tutti, c’è chi si può permettere di avere zaino, quaderno e materiale scolastico e chi no, chi prima di arrivare ha potuto fare colazione e chi no e infine chi come Karol ha un’abilità speciale, un po’ diversa dalle nostre e ha bisogno di un’attenzione in più.
A Karol piace colorare e la affascina ciò che brilla, infatti grazie all’aiuto delle sue due sorelline minori che sempre la accompagnano in tutti i suoi disegni, incolla stelline colorate o polverina glitterata. Karol ha 12 anni e non può camminare e nemmeno parlare, ma in realtà già solo guardando come prontamente sceglie i colori che le piacciono di più per disegnare, si può osservare che ha una certa autonomia e “sa il fatto suo”. Vederla ridere, strisciare felice sul pavimento insieme alle sorelline e giocare insieme agli altri bambini nell’ora della pausa ci fa pensare che sebbene questo progetto all’inizio non era stato ideato per una come Karol, la sua presenza è bella e importante, ciascuno trova il suo posto e ciascuno dà il suo contributo.
E così forse la situazione ci è un po’ sfuggita di mano quando un giorno un poco per volta abbiamo visto entrare dalla porta del salone venti ragazzi!
Domani ci aspetta un’altra giornata senza sapere bene quanti bambini verranno, se 10, 20 o 30 e probabilmente termineremo la giornata per l’ennesima volta con la sensazione di poter fare meglio. Ogni giorno finito l’apoyo escolar, a mente fredda e sulla via del ritorno verso la comunità, ci ripromettiamo di trovare un momento da dedicare all’organizzazione, alla scelta dei compiti da stampare, alla divisione delle fasce d’età in base alle nostre competenze e a prepararci per poterli aiutare con più sicurezza. Questo tuttavia non è sempre così facile date le molteplici attività della vita comunitaria che riempiono le giornate. Però ci rendiamo conto che a poco a poco questi bambini si affezionano a noi e noi a loro e che, anche se non siamo dei professionisti dell’insegnamento, tornano a casa sempre con qualcosa di nuovo. Vorrebbero venire anche nei giorni in cui il centro è chiuso e ci propongono di organizzare attività extra-orario assieme e questo ci riempie di gioia e ci fa capire che nonostante si potrebbe fare di più e meglio, la direzione che abbiamo preso è giusta, molto bella e piena di soddisfazioni.
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