Si tratta del percorso di dodici donne albanesi e serbe riunite nella Cooperativa agricola “Eva” e diventate protagoniste dello sviluppo economico della propria comunità nel villaggio di Videja (Municipalità di Klina).
La cooperativa è frutto degli sforzi di “Indira”, un’associazione di donne che si è adoperata per l’aggregazione sociale e la riconciliazione inter-etnica tra serbi, albanesi e rom in questa zona rurale particolarmente colpita dalla guerra del 1999. Il lavoro svolto è stato fondamentale per aiutare a rimarginare, almeno in parte, le ferite ancora fresche del conflitto armato, dando un supporto concreto alla reintegrazione delle famiglie di ritorno dopo il periodo trascorso da rifugiati lontano da Klina. Grazie al supporto di RTM e dell’Unione Europea, “Eva” ha progressivamente sviluppato una filiera produttiva completa partendo dalla tradizionale mansione femminile della cura dei suini in ambito familiare. Il risultato in termini economici è una produzione di carni suine fresche e affumicate di qualità controllata e di fattura artigianale, basata su dodici piccoli allevamenti a gestione familiare ed un impianto di macellazione e lavorazione. “Eva”, esempio dinamico e potenzialmente ripetibile di imprenditoria sociale al femminile, ha permesso di ridurre la marginalizzazione economica delle donne in questa zona rurale e di dare uno sbocco di mercato stabile e garantito ai piccoli allevatori dell’area.
A testimonianza della non facile condizione della donna in Kosovo, un aspetto del lavoro della Cooperativa risulta particolarmente significativo e rappresenta una delle sfide più importanti che le lavoratrici si sono trovate di fronte: dimostrare che anche una donna può essere attore credibile e legittimo in un mercato considerato sola prerogativa degli uomini. Dopo quasi due anni dall’inizio della produzione, “Eva”, infatti, si trova a competere con altri operatori del settore, tutti uomini, che hanno spesso molta più esperienza e contatti a disposizione.
Proprio durante il mio servizio, ho potuto assistere in prima persona ad una delle declinazioni di questo fenomeno. Infatti, ci si è trovati nella situazione di dover dar man forte alle donne di “Eva” in una congiuntura non facile, frutto della volatilità del mercato del suino in Kosovo, a causa della predominante informalità e della forte dipendenza e concorrenza dall’estero che caratterizzano il settore. Siccome in precedenza il fabbisogno di materia prima veniva coperto senza grossi sforzi, le signore di Eva non erano dovute ricorrere ad una ricerca di capi tra i venditori ai mercati di bestiame locali. Di fronte alla nuova situazione, però, ci è stato chiesto di dar loro una mano anche accompagnandole in regolari visite ai mercati di bestiame della zona e del Kosovo per negoziare accordi di fornitura e/o acquisti immediati.
Le prime visite si sono rivelate dei veri e propri fiaschi: nessuno dei presenti dava particolare attenzione alla rappresentante di “Eva”, cercando spesso il contatto con me o con il collega locale che ci accompagnava in alcune occasioni, in quanto uomini. Nonostante si facesse capire che la conduzione della trattativa era solamente facoltà della donna, il venditore si dimostrava scettico, spesso alzando il prezzo e mentendo palesemente sulle qualità del capo in questione, puntando su una presunta, per lui scontata, incompetenza femminile sul tema.
Ciò si è ripetuto svariate volte, rendendo spesso futili i tentativi di soddisfare l’accresciuta domanda produttiva. I vari ‘muro contro muro’ e le visite di scarso successo non hanno però fatto demordere le lavoratrici della cooperativa. Durante i mesi in questione ho così assistito alla lenta ma stabile crescita della fiducia nelle proprie capacità delle lavoratrici. Infatti, nonostante momenti di sconforto profondo e la sensazione di essere spesso impotenti davanti ad un pregiudizio così radicato, le donne di “Eva” sono riuscite a tener duro e sono state capaci di imparare dai propri errori. Sviluppare e applicare una strategia di trattativa puntando sul potere contrattuale derivato dalla gestione di un moderno impianto di lavorazione, le ha aiutate a scalfire il timore reverenziale a cui le costringeva il contesto e ha permesso alla più intraprendente tra le lavoratrici di gestire le trattative al mercato assolutamente alla pari con gli uomini. Dopo alcuni mesi, dunque, la presenza di “Eva” ai mercati di bestiame è forse ancora un po’ strana per alcuni, ma sono pochi i dubbi sul fatto che la Cooperativa rappresenti un attore rilevante del settore.
Occorre sottolineare che poter contare sull’appoggio di un’organizzazione e di personale ‘straniero’ è stato spesso determinante per ammorbidire la rigidità degli uomini nei mercati di bestiame e ha assicurato che le donne di “Eva” potessero commettere qualche errore che non avrebbero potuto altrimenti concedersi. Si tratta dunque di un piccolo ma concreto esempio di empowerment, grazie ad un supporto che mette in moto un processo di accrescimento del ruolo della donna e che vede questa come protagonista.
Ad ogni modo, le sfide che “Eva” si trova ad affrontare per essere vista con piena legittimità in un settore dominato dagli uomini e in una società in cui la posizione pubblica della donna è spesso subordinata, sono ancora molte. Col giusto supporto e con una grande dose di determinazione, l’impresa non è però impossibile. L’episodio che ho raccontato rappresenta solamente un piccolo ma significativo successo in questo ancor lungo e tortuoso percorso.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!