La giornata è stata impegnativa: il caldo e le zanzare ci hanno accompagnato per tutto l’incontro. Inizialmente le operatrici locali Kelly e Zoraida hanno presentato un’introduzione del lavoro della Caritas, nostro partner nella provincia di Sucumbios. Nel pomeriggio i volontari CCP hanno fatto visita a HIAS, un altro importante partner locale per i progetti che prevedono l’impiego dei Corpi Civili di Pace in loco.. All’ora di cena ci hanno raggiunto gli altri volontari CCP da Tena (Francesca, Giada, Giacomo e Bruno), i quali operano attraverso il nostro Organismo socio Engim, il cui coordinatore in loco è Ylenia.
Marco, Simone, Silvia e Giuseppe sono stanchi: adattarsi al cambio di temperatura non è facile, ma riescono a tirar fuori le ultime energie in vista dell’arrivo dei loro colleghi. Abbiamo deciso di organizzare questo incontro inscenando dei piccoli sketch teatrali. Il sipario si sta per aprire e, dopo i cambi di abito e le ultime battute ripetute, vanno in scena i racconti dei volontari. Noi spettatori facciamo un cerchio con le sedie, tutto intorno il canto delle cicale e un ronzare di insetti attirati dalla luce artificiale della sala all’aperto.
Marco e Giuseppe si esibiscono per primi con una scenetta esilarante e con un sottile velo di comicità che racconta la loro permanenza ad HIAS, tra alti e bassi. La loro è una rappresentazione della difficile integrazione dei volontari in un paese straniero dove la lingua non è l’unico ostacolo: le differenze tra due mondi lontani non solo fisicamente ma anche culturalmente sono presenti anche in altri codici comunicativi. Non ci si capisce anche se lo spagnolo lo si è imparato bene in altre esperienze di volontariato. Le difficoltà stanno nei modi di fare, nella formalità, nel capire di non poter essere sempre diretti e totalmente sinceri, soprattutto in un contesto lavorativo. E allora a volte ci sono le incomprensioni e la frustrazione di non riuscire a decifrare facilmente condotte e comportamenti. Ma Marco e Giuseppe sono qui a raccontarcelo con un sorriso e a sublimare la frustrazione del ricordo del primo mese con l’ironia.
Come responsabile dei volontari CCP, ed ex-volontaria a mia volta, mi piace pensare l’esperienza del volontariato come un accrescimento personale più che una lista di risultati raggiunti e obiettivi centrati, come un cammino introspettivo che è capace di mettere a nudo le nostre personalità, arrivare a farci conoscere il nocciolo più duro del nostro carattere e che permette di aggiungere un pezzettino al puzzle della nostra essenza più profonda, arricchendoci o semplicemente facendoci riscoprire i nostri valori.
Nelle mie conversazioni con Marco e Giuseppe, nell’evoluzione del loro cammino, mi risulta evidente che, essendosi già misurati con un’altra esperienza di volontariato all’estero come Caschi Bianchi, partivano da una buonissima base e continuano ad accrescere il bagaglio che già possedevano: uno spirito adattabile e costruttivo che sa andare oltre le differenze e che è capace di spostarsi da una visione eurocentrica, per lasciarsi arricchire e non schiacciare dalle differenze.
Il volontariato è un modo di essere, non una professione: non è un contratto di un anno che non viene rinnovato, non si tratta di timbrare il cartellino. Certo, ci sono delle regole e si viene inseriti in un contesto fatto di orari e scadenze, ma la strada del volontario è un mettersi al servizio e a disposizione di chi ne ha bisogno, è raggiungere una migliore consapevolezza di se stessi, stimare una lista dei pro e dei contro, di quanto si riesce a dare, di quanto si è capaci di ricevere.
E questo rapporto tra quanto diamo e quanto riceviamo da volontari lo ha rappresentato bene la scenetta che ci hanno regalato Francesca, Giada, Giacomo e Bruno che stanno svolgendo il loro servizio come CCP a Tena, vestiti con gli abiti tradizionali delle comunità indigene.
Ci fanno vivere un rituale locale, servendoci prima dello spettacolo una bevanda a base di guayusa (un parente botanico della Yerba Mate), dei vermi ripassati in padella e poi trascinandoci in una danza tradizionale. È stato un bellissimo momento di condivisione all’insegna di un codice culturale diverso. L’impatto che vivono i volontari con la natura e con le popolazioni indigene in un insieme di riscoperta delle preziose piccolezze della quotidianità, dei costumi e delle tradizioni ancestrali è un’immersione completa nella diversità che con il cambio di prospettiva li ha portati a rivalutare tanti lati di loro stessi… spesso nascosti dal condizionamento culturale.
Al termine dello spettacolo, Simone e Silvia ci fanno ripercorrere la loro esperienza attraverso una dinamica di gruppo: divisi a coppie, il nostro compagno ci guida per la stanza con la sua mano sopra la testa, a sua discrezione. Poi la dinamica si rovescia e adesso siamo noi a condurre il gioco. Dopo la dinamica segue una riflessione: cosa rappresenta quella mano per noi? Da cosa ci sentiamo oppressi o guidati? Seduti a terra in un cerchio, ognuno di noi esprime la sua posizione. Silvia e Simone ci spiegano che la mano che li schiacciava erano le incomprensioni tra loro e i loro colleghi. Spezzato il legame che li frustrava, hanno trovato oggi il loro spazio e stanno vivendo un’esperienza di confronto e relazione con i rifugiati molto intensa e arricchente. “La mia mano, sono io, con i miei limiti e la mia forza” dice Francesca, “La mano non rappresenta solo qualcosa di negativo, potrebbe anche essere interpretata come una risorsa che ci sprona a vedere i particolari che spesso ci sfuggono” dice Ylenia.
Ho fiducia che questo incontro di monitoraggio di metà servizio, che ha permesso di analizzare gli spigoli, le rigidità e le bellezze dell’esperienza dei Corpi Civili di Pace in Ecuador, sia stato per i volontari la mano descritta nella sua ultima accezione: un aiuto, un sostegno. Quell’ombra confortevole di un albero dopo una corsa sotto il sole: uno spazio per fermarsi, ascoltare e ascoltarsi.
In fondo, per migliorare il mondo bisogna partire dalle piccole cose. Prima ancora di incidere sulla vita degli altri, sanare i conflitti o portare la pace, bisogna conoscersi, accettarsi ed amarsi a tal punto che il prodotto delle nostre azioni sia riflesso positivo sulla vita degli altri: se non c’è la fiducia in noi stessi non si può costruire una realtà migliore.
*: Lago Agrio (nome con cui viene chiamata la città di Nueva Loja) è situata nella parte nord-occidentale dell’Ecuador, a circa 20 km a sud del confine con la Colombia. Il nome dato all’area di Lago Agrio deriva dagli operai di origine texana che vi si insediarono per lavorare nell’azienda statunitense Texaco e che avevano chiamata così dal nome della cittadina texana Sour Lake, sede originaria dell’azienda. La scoperta del petrolio ha cambiato radicalmente i connotati della regione, la guiungla tropicale ha lasciato il posto a pozzi, cisterne e oleodotti, con conseguenze negative sull’ambiente naturale.
**: Un “Toxic tour” è una visita sul campo guidata da un esponente di una delle comunità native dell’area che ha come obiettivo quello di mostrare dal vivo i danni arrecati dalla multinazionale estrattiva Texaco all’ambiente circostante e alle comunità indigene native e accrescere la consapevolezza della necessità di operare coerentemente per supportare processi di giustizia riparatoria e contrastare il ripetersi di tali abusi. Alcuni volontari FOCSIV sia attraverso il Sevizio Civile che con i Corpi Civili di Pace stanno attivamente collaborando in questo settore di attività.
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