Siamo a Tarapoto, regione di San Martín, Perù, per l’ottava edizione del Forum Sociale Panamazzonico, piattaforma che si prefigge di creare spazi di incontro e di dialogo e dare voce alle comunità andine e della costa di fronte a governi nazionali e organizzazioni internazionali. Tra i tanti tavoli tematici ce ne è uno che stuzzica la mia attenzione più degli altri, “La mesa de mujeres andinas y amazònicas”. E indovinate? Proprio a questo spazio sono stata assegnata come volontaria in questi 5 giorni di lavoro!
La prima cosa che colpisce entrando in aula è la quasi totale assenza di uomini, si contano sulle dita di una mano. La seconda è la varietà di abiti tradizionali, cappelli e colori che riempiono lo spazio di allegria. Allegria che però viene subito smorzata quando si apre il dibattito. Le “defensoras de derechos humanos” infatti sono continuamente sotto attacco qui in Perù e in tutta l’America Latina: molte leader contadine e indigene sono minacciate, denunciate e portate a giudizio solo per aver preso parte a proteste il più delle volte riguardanti conflitti ambientali. Sempre a scapito delle defensoras si organizzano vere e proprie campagne di diffamazione, che oltre a rafforzare obsoleti stereotipi di genere, creano non pochi problemi alle organizzazioni e ai movimenti di cui fanno parte.
Le donne indigene e quelle che vivono in comunità contadine rurali soffrono una particolare situazione di vulnerabilità. Da una parte, mancano di una reale rappresentazione politica negli spazi decisionali; dall’altra, sono vittime di violenza di genere e familiare. In Perù infatti – secondo il Report annuale di Amnesty Internacional Perù 2017 – ogni giorno ci sono 16 casi di abuso sessuale e almeno 2 donne vengono picchiate o assassinate dal proprio compagno.
Eppure l’aria che si respira in sala quando una dopo l’altra tutte le delegate prendono la parola per condividere la propria esperienza, cantare una canzone o recitare una poesia nei dialetti o nelle lingue più disparate, non è di rassegnazione né tanto meno di sfiducia, cosa che spesso invece accade in questo paese che sta ancora cercando di superare 20 anni di terrorismo e di conflitto armato che l’hanno segnato profondamente. Quello che si vede e che soprattutto si sente qui è una grande forza e un senso di unione che va al di là delle differenze linguistiche e culturali, una energia contagiante che non può lasciarci indifferenti e che con me non l’ha fatto.
Mancano 4 mesi e mezzo alla fine di questa esperienza*, e se siete stati lontani da casa per un po’ anche voi, capirete perfettamente quella strana sensazione che ti fa sembrare da una parte che siano pochi e dall’altra che sia ancora un tempo infinito prima di tornare in Italia. Nelle ultime settimane ho avuto modo di riflettere tanto, e sono arrivata alla conclusione che voglio impegnare tutta me stessa e tutte le energie e l’entusiasmo che possiedo per continuare a vivermi questo percorso a pieno fino alla fine, per far sì che ogni giorno sia un giorno nuovo, differente, senza dare niente per scontato e continuando a farmi guidare dal ritmo di quei grandi tamburi… Bam bam bam, bam bam bam, BAM BAM BAM.
Per maggiori informazioni: Amnistía Internacional, Informe Anual 2017 – Los Derechos Humanos en Perù
*l’articolo è stato scritto il 17 maggio 2017
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