Vorrei raccontare una storia che parla di alcuni bambini e delle loro famiglie che vivono nel profondo verde nel sud della Thailandia. Racconto tutto ciò che ho ascoltato e visto in questi giorni, perché non voglio scordare nulla.
Sono arrivata a Takuapa cinque mesi fa, per seguire un progetto incentrato sull’insegnamento dell’inglese nelle scuole elementari, con un giorno alla settimana dedicato alle attività in un centro dei Padri Camilliani per bambini disabili e in un doposcuola per i bambini della comunità Moken (zingari del mare). Entrando in contatto con la Caritas della zona (Disac Surat Thani), ho ben presto scoperto che la maggior parte dei loro progetti è rivolta alla minoranza birmana, giunta in queste zone non lontane dal confine per motivazioni economiche e politiche, nella maggioranza dei casi da non più di una generazione. Fondato in seguito allo tsunami del 2004, che devastò le coste sud-occidentali della Thailandia (e non solo), il Disac rivolse in seguito l’attenzione alla comunità birmana, bisognosa di aiuto economico ma anche di supporto legale e difesa dallo sfruttamento lavorativo.
In questi mesi, ho potuto verificare che quasi un terzo dei miei piccoli studenti era in effetti di origine birmana. Questi bambini spesso seguivano lezioni extra di grammatica e scrittura birmana, accanto a quelle di Thai, ma in molti casi avevano uno o due anni in più rispetto ai loro compagni di classe. Complici le divise scolastiche e i tagli di capelli regolamentari, non mi era possibile notare particolari casi di povertà o disagio che distinguesse gli studenti thailandesi da quelli birmani. Allegri e vivaci, qualche pianto, qualche spintone…. Insomma, tutti bambini.
Al momento, le scuole sono chiuse per le vacanze “estive”, poiché marzo, aprile e maggio sono i mesi più caldi dell’anno. Grazie a questo tempo a disposizione, ho potuto accompagnare la signora Pi Win nel giro delle famiglie (45 in totale) beneficiarie di una borsa di studio di 600 Baht mensili (poco più di 15 euro). Pi Win collabora con il Disac e ha contatti con organizzazioni francesi e canadesi. Le ho chiesto di spiegarmi esattamente il perché di queste borse di studio, a chi fossero rivolte e da dove provenissero i fondi.
All’inizio, i membri del Disac che promuovevano il progetto fecero un giro delle scuole, parlando con le maestre e chiedendo loro chi potessero essere i bambini bisognosi di un aiuto economico per garantirne la frequenza scolastica. Il denaro era infatti pensato per coprire, almeno parzialmente, alcune delle spese che possono rendere anche impossibile ad un bambino recarsi fisicamente a scuola, come quelle dei trasporti. In seguito, i membri dello staff andarono a visitare le famiglie, parlarono con loro per conoscerle, fecero delle fotografie e stilarono dei resoconti dettagliati. Infine, i profili delle famiglie furono sottoposti a degli “sponsor” francesi, che scelsero quali bambini aiutare.
Ogni mese, Pi Win si reca nelle varie scuole e consegna il denaro ai bambini, che in cambio le danno una breve lettera per lo sponsor e si prestano ad essere fotografati con la busta in mano. Con la chiusura delle scuole, Pi Win è però costretta ad andare nelle case di tutte le 45 famiglie a portare le borse di studio. Mi ha assicurato che anche un certo numero di bambini thailandesi beneficia di questa borsa, mentre solo un paio appartengono alla comunità Moken. Fatto sta che delle quindici famiglie che ho visitato assieme a lei dodici sono birmane e vivono in zone rurali spesso estremamente difficili da raggiungere, se non remote.
Genitori e fratelli più grandi lavorano essenzialmente come braccianti agricoli, moltissimi nei boschi di alberi della gomma e altri nei campi di ananas o nelle coltivazioni di funghi. Le famiglie vivono in abitazioni piccole e spoglie presenti nella proprietà, date loro in affitto dagli stessi proprietari dei terreni su cui lavorano. I padroni, sempre thailandesi, vivono nei pressi delle coltivazioni in abitazioni più accoglienti oppure affidano totalmente le terre ai propri braccianti e risiedono in città (dove per città si parla di Phuket, a circa 150 km). Le condizioni economiche offerte non sono particolarmente vantaggiose, per questi lavoratori. Un padre ci ha spiegato che a lui e alla sua famiglia spetta il 40% del ricavato della vendita della gomma grezza, mentre il rimanente 60% va al proprietario.
Sono diverse le motivazioni per cui i bambini birmani, in queste zone, hanno particolarmente bisogno di un aiuto economico. In primo luogo, le loro famiglie sono arrivate in Thailandia in condizioni di estrema povertà e hanno trovato nel lavoro agricolo per i proprietari terrieri thailandesi l’unica fonte di reddito possibile. Anche sopravvivere in questo Paese è però estremamente difficile. Ci sono i passaporti, i permessi di soggiorno e i visti da pagare, nonché i numerosi viaggi per richiedere i documenti necessari. In mancanza dei soldi per essere in regola o per pagare l’affitto, i proprietari di casa si offrono di fare dei prestiti ai loro lavoratori, legandoli così ulteriormente a sé. Anche a causa dei limiti linguistici della prima generazione, è difficile uscire dal legame vincolante con la terra di altri, soprattutto se non si combatte l’abbandono scolastico della seconda generazione.
Qui arrivo alla seconda motivazione per cui le borse di studio sono indispensabili: le distanze. Nelle famiglie che vivono in fondo a strade sterrate e fangose o in cima a colline difficili da raggiungere i bambini devono cambiare anche due autobus per arrivare a scuola, oppure sono costretti a farsi accompagnare dai familiari per lunghi tratti. Il problema però è che i trasporti costano parecchio. Invece altre volte le scuole nelle vicinanze ci sarebbero, ma semplicemente non vogliono i birmani. Ho chiesto a Pi Win come mai solo alcune istituzioni li accettino e come sia possibile una simile distinzione in strutture pubbliche, ma lei mi ha semplicemente detto che “alcune maestre non se la sentono di gestire bambini più grandi, oppure non parlano il birmano o l’inglese”. Spiegazione che non mi ha pienamente soddisfatto, dato che tutti i bambini che ho incontrato finora parlano correntemente il Thai.
Molti dei bambini e ragazzini che ho conosciuto in questi giorni sta approfittando delle vacanze scolastiche per aiutare la famiglia, andando a lavorare anche per poche ore al giorno. Una bambina di 10 anni, che vive con la madre ammalata di AIDS e il fratellino, aiuta in un ristorantino di noodles. Un’altra ragazzina non era in casa, perché stava facendo le pulizie nella casa dei “padroni”. Altri danno una mano nelle coltivazioni. Mi ha colpito una mamma, che ci ha detto: “Tengo mio figlio lontano dagli alberi di gomma, deve andare a scuola a tutti i costi”. Alberi di gomma che cura assieme alla figlia, dato che il marito fatica a lavorare a causa di un ictus. Un’altra signora ospitava per le vacanze il nipote di 8 anni, che invece non ci va proprio a scuola, perché dall’abitazione dove vive con il padre è impossibile raggiungerla. Un ragazzino era all’ospedale a prendersi cura di un parente. L’ultima bambina che ho conosciuto vive con la madre in una baracca sul limitare di un immenso campo da golf, dove i fratelli maggiori tengono il prato inglese perfettamente curato. Ho visto la sua pagella e aveva il massimo dei voti in quasi tutte le materie.
600 Baht mensili mi sono sembrati una cifra irrisoria, perché corrispondono a 50 centesimi di euro al giorno. Forse però possono rappresentare quell’aiutino, quella spinta che fa la differenza tra un bambino che impara a leggere e scrivere in tre alfabeti diversi e uno costretto a restare a casa. E i genitori birmani mi sono sembrati estremamente motivati a mandare a scuola i propri figli, anche a costo di fargli percorrere decine di chilometri al giorno e di accettare denaro da sponsor lontani e invisibili.
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