Per chi ha voglia di scoprire e di scoprirsi, per chi necessita di dedicare e dedicarsi del tempo, per chi è imprigionato da giudizi, pregiudizi e dai “non posso perché devo”. Per chi si trova in una strada che non è la sua o per chi da troppo tempo è appiattito da una via fin troppo sicura, per chi ha rinunciato ad un sogno, non è mai troppo tardi per rimettersi in discussione, per esplorare ed arricchire con nuovi sapori la propria strada. Quest’articolo vuole solo essere una testimonianza, la testimonianza di un viaggio, un incentivo per intraprendere nuove esperienze, un appello a non avere paura di saltare, conoscere e rispettare ciò che arricchisce il mondo, la differenza. Spesso mi sento dire che questa società necessità di un cambiamento radicale, di una bella rivoluzione, e perché allora non cominciamo dalle più piccole ma in fondo più grandi rivoluzioni, ovvero quelle dentro noi stessi?
Ci sono molti modi per partire, il semplice volontariato è uno di questi.
Sono passati esattamente sei mesi dal mio ritorno in Italia, eppure ancora oggi non riesco a non sentire vive sulla pelle le emozioni che mi hanno attraversata per tutta la mia intensa e straordinaria esperienza in Ecuador. Ancora oggi non riesco a non pensare ai suoni, ai profumi, ai colori che caratterizzano questo paese meraviglioso. Sono partita per un semplice volontariato di sette mesi in Sud America ma quello che ho vissuto è stato molto, molto di più. Un vero e proprio viaggio alla riscoperta di tradizioni, culture, luoghi e soprattutto alla riscoperta di me stessa. Perché proprio quando sei tu il diverso in casa di altri, quando cominci a spogliarti del superfluo che ritenevi necessario, quando vivi la natura per come è stata creata, davvero, sei poi di fronte a questioni inevitabili e le lenti con cui guardi gli altri e te stesso mutano senza nemmeno rendertene conto.
Dietro ad una selezione mancata può nascondersi un’opportunità inaspettata, mi piace pensare che: “Il caso non esiste, il caso siamo noi!”. Sognavo il Servizio Civile, ma per me il momento non era ancora arrivato, così il desiderio di partire mi ha portata a Tena, provincia del Napo alle porte dell’Amazzonia ecuadoriana. Avrei potuto attendere un altro anno e ritentare il concorso, avrei potuto finire il mio percorso da psicologa, ma dopo anni di pressante studio e appassionanti tirocini, mi vedevo segnare attiva la mia strada in un modo del tutto nuovo. Volevo sorprendermi, conoscere cose, persone, culture che poco hanno a che vedere con i libri e in generale con la nostra realtà, volevo tirare fuori parti di me assopite dal lungo percorso accademico, parti intorpidite dai ruoli che ogni giorno rivestiamo, necessitavo di rallentare i ritmi che quotidianamente inseguiamo.
Un po’ inconsapevole rispetto a cosa mi aspettasse, sono partita così per prendere servizio al “Centro Preventivo Ubaldo Bonucelli”, centro di accoglienza per bambini e adolescenti in situazioni di rischio provenienti da famiglie povere, disorganizzate, in qualche caso vittime di maltrattamenti. Ogni giorno con altri volontari italiani e assieme ad operatori locali, ci occupavamo di molteplici mansioni in differenti campi. Dall’area pedagogica che prevedeva un’attività di monitoraggio delle situazioni familiari dei ragazzini e laboratori pomeridiani di musica, teatro, manualità, cucina, computer, espressioni culturali del mondo, miti e leggende locali, all’area produttiva che ha promosso varie attività culturali e agricole.
I motti in tutti quei mesi sono stati: “impara l’arte ed usala” e “il vero volontario è colui che possiede l’arte dell’improvvisazione”. Nulla è organizzato e impacchettato come nel nostro paese, gli imprevisti sono all’ordine del giorno e la sfida è riuscire con le poche risorse a disposizione. Qualsiasi cosa appresa negli anni precedenti lì è una risorsa utile, un’opportunità per qualcun altro, l’impegno e la forza di volontà vengono premiati sempre. In ogni caso mi è bastato davvero poco per capire ancora una volta che non ero andata ad insegnare niente, se non ad imparare qualcosa. Gli occhi di quei bambini, i loro sorrisi, il loro silenzio, il loro affetto inaspettato e talvolta la loro indifferenza nascondeva sempre una domanda e tutto ciò mi ha lasciato qualcosa di inestimabile. Visitare le loro case, conoscere la storia di ognuno, i genitori, la loro cultura, collaborare con le scuole, offrire altre forme di gioco, di relazione, di apprendimento e per la prima volta dar loro la parola e ascoltare ciò che avevano da dire, ha realizzato nel corso dei mesi diversi obiettivi. In primo luogo quello di dare a questi bambini un’alternativa di vita, un futuro diverso dalla strada, per porre le basi per la costruzione di sogni e in secondo luogo quello di attivare un processo che possa portarli a prendere consapevolezza del loro stesso patrimonio culturale e naturale unico al mondo, per imparare così a preservare e difendere quest’ultimo.
Il centro accoglieva i ragazzini subito dopo l’orario scolastico, preparavamo il pranzo, per alcuni di quei bambini l’unico pasto della giornata e poi ci si suddivideva nei laboratori. Svolgevamo con loro anche i compiti e il pomeriggio assieme terminava con una merenda. Il momento tanto atteso da tutti era il venerdì, il giorno speciale della settimana. In quell’occasione i bambini di tutti i corsi si riunivano per passare qualche ora assieme e dai giochi al campo sportivo, ai tuffi al fiume vestiti, il divertimento era assicurato! Ricordo diversi momenti speciali e tra questi c’è indubbiamente il Natale. Per loro la “gita scolastica”, la recita a teatro, sono state tutte straordinarie eccezioni e grazie alle donazioni è stato possibile ricavare per ognuno un piccolo regalo rigorosamente consegnato da Babbo Natale! L’euforia, la gioia di quel momento condiviso con le famiglie ha reso il mio Natale speciale.
Il centro giorno dopo giorno è diventato e sta diventando sempre più conosciuto ed apprezzato dalla comunità, questo grazie anche all’importante lavoro di orticoltura, ai corsi di vario tipo proposti agli adulti ma soprattutto grazie al teatro per la prima volta proposto nella città. Ebbene si, il Centro Bonucelli ha portato il teatro a Tena, un’innovazione! Ogni venerdì sera era una festa, artisti da tutto l’Ecuador e da vari stati del Sud America si sono susseguiti portando colori nuovi. Tra attori, viaggiatori, le cene e gli scambi multiculturali erano all’ordine della settimana e ogni giorno è stata vita al 100%, ogni giorno lasciare da parte giudizi e lenti etnocentriche con le quali ognuno di noi filtra inesorabilmente la realtà è stata una sfida, ogni giorno una felice sorpresa conoscere le diversità e le somiglianze che ci contraddistinguono come essere umani.
Alla fine di quest’esperienza mi è stato chiesto cosa rappresentasse per me il Centro Bonucelli: indubbiamente casa! Noi volontari e tutti i viaggiatori che sono passati per di qui l’abbiamo ribattezzata “La familia Bombocheli” dove, come in tutte le famiglie, si sorride, si litiga, ci si diverte, si discute, ci si confronta, si condivide e si cresce assieme consapevoli di avere le spalle coperte, perché quando un giorno sei stanco o qualcosa non va sai che il tuo compagno c’è! Eravamo una squadra, una piccola comunità e non è stato semplice vivere dove si lavorava, ma proprio questo ha dato forza, creatività ed ha reso speciale un progetto sociale davvero unico nel suo genere. Un progetto in continua evoluzione che spero continuerà a dare molto e molto a lungo a tutti coloro che incontreranno “la famiglia”.
In generale fin da subito in Ecuador mi sono sentita a casa, come se avessi camminato sempre in quelle terre, come se l’altra parte del mondo non fosse poi cosa “dell’altro mondo”. La timida accoglienza della sua gente, i volti delle persone che pur avendo meno sorridono nell’animo, il suo disordine e quello stato più naturale delle cose, la sua musica, la sua immensa natura, la sua cultura originaria, in generale la straordinaria biodiversità che uno stato così piccolo custodisce generano un contatto umano difficile da non amare. In Ecuador per lo più è ancora possibile vivere un equilibrio tra uomo e natura difficile solo da immaginare per noi. La necessità di mantenere tutto questo dovrebbe essere davvero un dovere morale.
Oggi sono tornata lentamente alla mia vita, ai miei tirocini e ai miei studi. Io sempre uguale ma non più la stessa, sono partita realizzando un sogno e ne sono tornata con molti di più. Dovunque in Ecuador ho letto la scritta “Ecuador ama la vida”, ora so che l’Ecuador ti riempie di vita. Perché viaggiare, lavorare con gli altri e per gli altri, vivere culture diverse, mettersi in gioco, apre il cuore e la mente alla differenza, prima di tutto alla diversità che c’è dentro noi stessi. Prendere il coraggio di partire e di aprirsi al mondo è stato il regalo più bello!
Un ringraziamento e un abbraccio speciale ai miei compagni di viaggio Valeria, Carola, Gennaro, Ylenia, Bianca e Claudia.
Un pensiero con affetto a tutti gli amici conosciuti in quest’esperienza. Un ringraziamento ad ENGIM.
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