Servizio Civile Universale: sarà davvero per tutti?
C’è attesa per il decreto legislativo, che dovrà sciogliere i nodi applicativi che riguardano il “nuovo” servizio civile. La riforma del terzo settore ha posto le condizioni per valorizzare l’istituto. Ma ora si attendono scelte operative all’altezza. E fondi conseguenti…
Il decreto legislativo che il governo si appresta a emanare in materia di servizio civile a seguito della recente approvazione della legge 106, che ha riformato il terzo settore, dovrà costituire l’occasione per riplasmare un istituto che da quando fu istituito, 15 anni fa, accanto ai traguardi positivi raggiunti ha mostrato anche alcuni limiti. Com’è noto, il legislatore ha inteso ribattezzare il servizio civile nazionale con l’aggettivo “universale”, anche se ha omesso di esplicitarne il significato. L’obiettivo dichiarato dal governo è sempre stato garantire a tutti giovani la possibilità di svolgere il servizio civile. Non che l’attuale sia precluso ad alcuno. È solo che, negli ultimi anni, il numero di giovani che hanno chiesto di prestarlo si è rivelato di molto superiore ai posti disponibili finanziati. Dunque, l’attuale servizio civile potrebbe già definirsi universale e soddisfare tutte le richieste, a patto che vengano stanziati più fondi. Si riuscirà magicamente a farlo grazie al nuovo aggettivo? Lo sperano tutti, soprattutto i giovani. Al di là delle risorse economiche, resta il problema di come riuscire a conciliare il diritto a svolgere il servizio civile con l’offerta che gli enti riusciranno a garantire, considerando i meccanismi della selezione (l’accesso oggi è organizzato come un concorso pubblico), nonché la necessità di far combaciare doti e capacità del giovane con il tipo di attività offerte.
Superare le duplicazioni
Altri temi importanti che l’atteso decreto legislativo dovrà affrontare sono relativi alle finalità del “nuovo” servizio civile e della governance del sistema. Il testo della legge permette di distinguere tra finalità del servizio (rappresentata dalla difesa non armata della Patria e dei valori fondanti della repubblica) e interventi nei vari settori che ne permettono la realizzazione. La legge del 2001 non prevedeva tale distinzione, il che è stato fonte non solo di conflitti sulle competenze, ma anche del proliferare delle risposte alla domanda sul senso da attribuire al servizio civile.
Il tema della governance è forse il più urgente e spinoso. È indubitabile che la macchina organizzativa di un servizio civile per centomila giovani all’anno deve poter funzionare con agilità ed efficacia. In altri paesi (Stati Uniti e Francia, ad esempio) si è scelta la via dell’agenzia nazionale, che il legislatore italiano aveva individuato sin dagli inizi degli anni 2000, salvo poi abbandonarla. Occorre comunque che il centro nevralgico dell’organizzazione (oggi il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale della presidenza del consiglio) possa governare non solo “al centro”, ma anche “in periferia”. Negli ultimi dieci anni la moltiplicazione di compiti e funzioni si è rivelata una duplicazione inutile e inefficace: un albo regionale per ciascuna regione e provincia autonoma, la valutazione dei progetti operata (spesso in ritardo) con criteri aggiuntivi autonomi, il quasi totale mancato controllo dei piccoli enti nei territori hanno portato a una situazione ingovernabile, che dovrà essere risolta superando, ad esempio, l’attuale sistema degli albi nazionale e regionali.
Inoltre sarà importante diversificare i soggetti capaci di assicurare, con risorse umane dedicate, continuità e qualità all’intero sistema. Occorrerà anche disegnare processi chiari, con tempi certi, tra stato, regioni, enti locali ed enti del terzo settore, costruendo la programmazione prevista dalla nuova legge. Non sarebbe male, infine, che venisse rivisto anche il ruolo degli enti locali: siamo proprio sicuri che la scelta di un comune di accreditarsi direttamente per il servizio civile sia la più giusta e opportuna? All’istituzione pubblica locale non spetterebbe piuttosto il ruolo di promozione del servizio civile nel territorio
e di stimolo della sussidiarietà con gli enti del terzo settore?
Collegato a quello della governance, è il tema dell’accreditamento, cioè del sistema tramite il quale i vari soggetti (pubblici e del privato-sociale) entrano e operano nel settore. L’intenzione iniziale era ridurre il numero delle migliaia di enti che, in tutta Italia, un tempo erano convenzionati con il ministero della difesa per impiegare gli obiettori di coscienza. Obiettivo di fatto mancato, visto che a tutt’oggi (secondo i dati ufficiali del dipartimento) esistono 3.862 “enti titolari di accreditamento”, cui fanno capo 15.536 “enti accreditati” con circa 50 mila sedi: un sistema quantomeno frammentato.
All’estero, non per turismo
Un’altra novità introdotta dalla nuova legge è quella del “meccanismo di programmazione, di norma triennale, dei contingenti” e del passaggio dai “progetti” ai “programmi”, cosa che dovrebbe cercare di evitare il notevole dispendio di energie e tempo che oggi vede gli enti impegnati a presentare annualmente migliaia di progetti e lo stato a valutarli. Parimenti, il legislatore ha voluto prevedere sia la definizione dello status giuridico del volontario (ma ha ancora senso chiamarlo così, alimentando la confusione tra servizio civile e volontariato?), sia la valorizzazione delle competenze dei giovani che effettuano l’esperienza. Anche su questo il decreto legislativo servirà a fare chiarezza, per rafforzare un’identità che oggi appare offuscata. In tal senso, occorrerà ripensare all’immagine del servizio civile e di quanti lo svolgono, attraverso messaggi istituzionali forti e percorsi che rendano visibile e riconoscibile l’apporto che, attraverso questa esperienza, i giovani danno nel «servire la res publica», per usare le parole di Carlo Azeglio Ciampi, recentemente scomparso.
Infine, novità sono attese in quella che sembra essere la “cenerentola” del servizio civile, il servizio all’estero. La legge intende ampliare la dimensione “esterna” del servizio civile, prevedendo, per chi lo svolge in Italia, di fare un’esperienza di qualche mese all’estero. Posto che questa possibilità andrà ben organizzata, evitando che si trasformi in una mera esperienza “turistica”, occorrerà non dimenticarsi del servizio civile che normalmente si volge all’estero, che attende di essere rivisto, potenziato e valorizzato.
Insomma, grandi sono le attese attorno a un comparto che, se ben valorizzato, può contribuire concretamente a far “crescere l’Italia”: in una giusta direzione, con l’aiuto dei giovani”
Diego Cipriani è il Responsabile Promozione Umana e Servizio Civile di Caritas Italiana. L’articolo riportato è pubblicato sul numero di ottobre di “Italia Caritas”
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