Ti ho scattato questa foto il 17 maggio, giorno del tuo compleanno.
Ti avevo cantato “tanti auguri” un numero infinito di volte, tanto da farti venire un capoccione enorme… e non so quante volte ho cercato di buttarti addosso un po’ d’acqua, fedele alla tradizione zambiana con cui si celebrano di solito i compleanni.
Sfinito, dopo una giornata costantemente a rischio gavettone e numerose canzoni stonate, verso sera ti tocca ritrovarmi sul pullman che guidavi ogni giorno, e allora mi dici esausto: “Federica… please chapwa…” che vuol dire “basta” in bemba, la lingua locale.
Non ne potevi più ma te la ridevi e già assaporavi l’odore di vendetta dal momento che il giorno dopo sarebbe stato il mio compleanno e sapevi che mi avresti reso altrettanto se non peggio.
E così è stato: ci siamo divertiti con semplicità e abbiamo condiviso momenti indimenticabili che rimarranno per sempre nel cuore e nella mente, con te e gli educatori del Cicetekelo Youth Project, il progetto per ragazzi di strada gestito a Ndola dall’Ass. Papa Giovanni XXIII con cui ho svolto il mio periodo di servizio civile.
Sono ricordi che trattengo con me e che ancora mi fanno sorridere nonostante la tristezza di questi giorni, in cui è difficile pensare che non ci sei più e che quello festeggiato insieme sia stato il tuo ultimo compleanno per davvero.
Non stavi bene… è vero, ma per quel che ne so un giorno sei semplicemente andato in ospedale per qualche complicazione e da lì non sei più uscito, così come è successo a tanti altri tuoi connazionali.
Dicono che sia comune per gli zambiani e che non ci sia troppo da stupirsi: la sanità pubblica è quel che è… ma a me rimane difficile crederlo o comunque abituarmi al pensiero.
Oltre alla tua storia sfortunata me ne vengono in mente altre, come quella di un ragazzino scomparso per una complicazione al cuore o quella di una bambina morta per malnutrizione.
Mi vengono in mente i bimbi del reparto malnutrizione stipati nei corridoi e nelle stanze dell’ospedale pediatrico di Ndola, oppure quelli disabili con malformazioni evidenti stesi sui pavimenti della casetta appositamente allestita all’interno dell’orfanotrofio Saint Anthony.
Posti in cui mi son sempre chiesta quanto il mio passare fosse inutile e privo di senso…per poi esser immediatamente sommersa di abbracci e sorrisi proprio solo perché avevo scelto di passare.
Storie che rimarranno senza nome e che semplicemente andranno ad aggiungersi a tante altre con buona noncuranza dei governi e delle persone che potrebbero cambiare il destino di questo paese, un paese dove al momento non ci si può aspettare qualcosa di diverso e dove la sanità pubblica fa quel che può. Tutte cose che dovrei sapere…
Le dovrei sapere, è vero… però poi mi capita di accendere la tv in Italia e di assistere alla pubblicità di una marca di crocchette per gatto in cui mi viene caldamente consigliato di prestare la massima attenzione nel scegliere le migliori in modo da poter assicurare lunga vita e benessere al micio. E ripeto, lo dovrei sapere… ma anche se è lungi da me fare la moralista, è inutile, in momenti come questi mi sale addosso una rabbia infinita di cui non so che farmene.
Mi arrabbio…perché penso che sullo stesso pianeta ci sono persone che possono permettersi il lusso di un’aspettativa di vita elevata e di preoccuparsi pure del bene del gatto, mentre c’è chi non sa se sopravvivrà domani.
Perché questi saranno anche dall’altra parte del mondo ma ad oggi per me non sono più “gli altri”, bensì miei fratelli, per cui mi risulta ancora più difficile accettare un divario simile in opportunità, possibilità e benessere.
Il famoso “perché io sì e loro no” pesa, e a volte è difficile starci dentro. A fronte di questo, non posso che constatare nelle nostre realtà la globalizzazione di un’indifferenza generale per il bene dell’essere umano che fa sì che da anni si stia trascinando una guerra tragica come quella in Siria con migliaia di morti innocenti (di cui per lo più bambini), o che si accettino le famose alzate di muri e barricate nel silenzio inerme di tutti.
Non capisco più da che parte stiamo andando.
Tuttavia non posso né voglio cedere a questa logica. Per quanto possa essere inutile, voglio che quelle storie abbiano un volto e un nome e che il mio passare nelle loro vite anche solo per un momento abbia avuto un senso.
Sicuramente loro hanno cambiato il mio sguardo sul mondo, mi hanno resa cosciente delle disumanità di cui siamo capaci. Mi hanno mostrato come si sta dentro la povertà e allo stesso tempo mi hanno resa consapevole delle mie povertà e della straordinaria potenza nel vivere con gioia e con fiducia, nonostante tutto.
Di risposta, non posso fare altro che “sapere di aver visto” e su questa consapevolezza costruire i miei passi. Non posso fare altro che farmi voce nel mio piccolo ed insistere nel cercare un’alternativa, anche di fronte ad un concetto di giustizia che pare ormai andato a rotoli.
Questo mi ha insegnato il servizio civile e questo mi hanno insegnato gli zambiani che ho incontrato, tra cui voglio ricordare in particolare un ragazzino di 12 anni, inserito nel Cicetekelo Youth Project. Mentre camminava al mio fianco il giorno precedente alla partenza, vedendomi preoccupata mi disse: “Federica, why are you so worried? Love can never change!”.
Love can never change: l’amore non cambia mai, non si perde… rimane.
Dedicato a “Ba Levy” e a tutti i miei piccoli e grandi maestri zambiani
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