Dopo 82 giorni di sciopero della fame, e più di 12 ore di incontri, dopo le distanze e le rotture, venerdì 1 ottobre, è stato raggiunto un accordo tra il Governo e i 34 prigionieri mapuche in sciopero nelle carceri di Concepición, Valdivia e Lebu. I prigionieri del carcere di Angol continuano in sciopero.
La gigantesca ondata di solidarietà nazionale e pressione internazionale ha contribuito a far sì che il governo ascoltasse il grido dei prigionieri politici mapuche e la loro richiesta di giustizia.
Alcune ore prima dell’inizio di una nuova apertura delle negoziazioni, il Segretario delle Nazioni Unite aveva sollecitato il Governo Cileno a riprendere un dialogo costruttivo per poter raggiungere un accordo[1]. Dopo 82 giorni di un drammatico sciopero della fame, apparentemente senza uscita, i comuneros mapuche incarcerati sono riusciti a far sì che il Governo riconoscesse che gli atti di protesta sociale per i quali sono imputati non possono essere qualificati come atti di “terrorismo”. La cosa rappresenta un precedente assoluto e importante per una reale ed effettiva applicazione dei diritti dei popoli originari, e getta le basi per la sfida di un nuovo modo di leggere il conflitto con il popolo Mapuche.
L’accordo è stato raggiunto in nome del diritto internazionale e dei diritti umani, dell’Accordo169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (uno strumento giuridico internazionale vincolate per i paesi che lo firmano e che tratta in specifico i diritti dei popli originari e dei nativi), della ragione di stato e del bene comune. La soddisfazione per il raggiunguimento di questo accordo è unanime, anche se un gruppo di Mapuche (imprigionati nel carcere di Angol) non ha deposto lo sciopero e ha dichiarato che solo oggi – sabato 2 Ottobre – farà conoscere la sua decisione in merito.
Natividad lanquileo, portavoce dei Mapuche in sciopero di Concepción ha dichiarato: “Questo sciopero è solo un passo in più nel riconoscimento dei diritti del popolo mapuche, il cammino è ancora lungo e questa è la ragione per cui i prigionieri devono rimanere in vita: per continuare a lottare a fianco del loro popolo”.
In un’intervista pubblicata nel giornale La Segunda, il procuratore nazionale Sabas Chahuán ha affermato rispetto al possibile ritiro delle accuse verso i comuneros attuate in base alla legge antiterrorista, che questo sarebbe reso possibile solo grazie alle modifiche che devono essere approvate dal Governo rispetto all’applicazione della suddetta legge, e che “non si possono ritirare le accuse a persone che sono state coinvolte in attacchi dove erano presenti procuratori, carabinieri o rappresentanti della polizia investigativa.
Ora non resta che aspettare la decisione dei Mapuche che stanno proseguendo lo sciopero, e se da un lato la speranza è che si possa dichiarare terminato questo sciopero che ha tenuto 34 persone in rischio di vita per più di 80 giorni, dall’altro la speranza è che le parole dell’accordo si trasformino in azioni concrete, e che l’esperienza di queste settimane possa rappresentare un passo verso il riconoscimento che da centinaia di anni il popolo mapuche chiede a gran voce, per poter continuare a vivere nelle sue terre, con le sue tradizioni, la sua spiritualità, la sua visione della natura che così poco ha in comune con la visione neoliberalista che il Cile ha sposato, firmando uno dopo l’altro i trattati di libero commercio e aprendo le porte alle multinazionali, le stesse che nel sud del paese continuano a sfruttare le terre da sempre abitate dal popolo mapuche. Santiago del Cile, bandiera mapuche.
Note:
[1] Fonte: http://www.emol.com/noticias/nacional/detalle/detallenoticias.asp?idnoticia=439040
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!