Gjergj è un personaggio strano. E’ il nostro mediatore, una vecchia conoscenza Kosovara dell’Operazione Colomba. Allegro dal sorriso facile e spontaneo, generoso, ma anche pungente, a volte duro e perentorio. Il passaggio dal sorriso alla durezza è immediato, così come la successiva risata fragorosa, motivo per cui non si capisce mai se stia scherzando o sia serio. In ogni caso… meglio non ridere!
I suoi occhi appaiono sereni, ma criptici. La sua spontanea allegria contrasta con una quasi impercettibile riservatezza: con lui la sensazione di non aver capito un niente è sempre presente.
Gjergj parla una lingua tutta sua, un creativo mix di albanese, italiano e inglese con frequenti e bizzarri neologismi e un fortissimo accento slavo. La lingua che parla è lo specchio della sua personalità culturale: kosovaro, giovanissimo profugo in Albania, cresciuto con folli visionari italiani, da adulto emigrato in Albania e attualmente residente a Scutari. Parla albanese, serbo, inglese, italiano e croato. Un’inesauribile fonte di energia, allegria e positività.
Si sente albanese, o almeno così si direbbe sentendolo parlare. Quando racconta degli albanesi e dell’Albania è solito dire che “noi siamo così”, quasi come un lapsus più che freudiano, perché quasi conscio. Poi però dice che i kosovari – e quindi anche lui – sono più europei degli albanesi. Ero un po’ confusa, non riuscivo a seguire bene le radici del suo essere. E allora gliel’ho chiesto, esplicitamente: “ma tu ti senti albanese o kosovaro?”. E lui, con ancora più chiara confusione dice “Kosovaro”, ma poi aggiunge “in realtà non so più di dove sono”. Sembrerebbe molto triste pensare che nel suo peregrinare abbia perso le radici, ma è proprio questo che mi colpisce, perché non è così. Le sue radici sono più forti delle mie, più forti della maggior parte delle persone che conosco. Le sue radici sono ben piantate a terra, a profondità imprevedibili. La sua terra sono i Balcani. Gli stessi Balcani che hanno disegnato un velo di tristezza nei suoi pensieri, nei suoi ricordi. Gli stessi Balcani delle guerre fratricide, gli stessi Balcani dal nazionalismo sfrenato. Serbi contro croati, serbi-croati contro bosniaci; bosniaci contro serbi e serbi contro albanesi. Albanesi contro serbi e pro-kosovari. Kosovari albanesi indipendenti dall’Albania e indipendenti albanesi orgogliosi e nazionalisti. Insomma, la solita vecchia storia della polveriera balcanica. Ma quanto è bella questa terra! La sua terra, quella di Gjergj, quella dei balcanici. Quella di differenze e contraddizioni, amore e appartenenza.
La storia di Gjergj – la storia di un uomo vittima e figlio della guerra – ritorna spesso nascosta nelle sue parole. Non la conosco, non gliela chiedo. Non riesco ancora a capire se sia ancora una ferita aperta per lui e quindi mi metto in ascolto, cogliendo sporadici riferimenti e saltuari sottintesi, ricostruendo il puzzle, la vita di un uomo e la sua umanità. Questo probabilmente contribuisce ad avere una visione parziale e alterata, a vedere un po’ quello che voglio vederci, a mitizzare Gjergj. Ma preferisco sia così, un po’ perché ho bisogno di vedere e respirare positività, un po’ perché in realtà Gjergj è un tale “buffone” che non lo si può di certo considerare un mito!!! E’ tra una cazzata e l’altra, infatti, che la sua vita prende forma e parola, e l’esperienza si fa saggezza. “Pacifista può essere solo chi ha vissuto un conflitto” – dice – “un conflitto di qualsiasi genere, anche personale”. Rimango colpita. Ammetto che non me lo aspettavo. “Ma come può aver detto una perla simile? Proprio lui?” – ho pensato. Lo avevo sottovalutato. Quanto è puntuale la sua affermazione, quanto coglie nel segno seppur apparentemente contraddittoria. Solo chi vive un conflitto può essere pacifista – nonviolento direi io. Perché solo lui può scegliere tra violenza e nonviolenza, pace e guerra, vendetta o perdono. Tutti gli altri non vivono l’emergenza e la necessità di difendersi, vendicarsi, rispondere al fuoco con il fuoco. Tutti gli altri non sono nonviolenti per scelta, lo sono per fortuna, sorte, privilegio, condizione. E non ci avevo mai pensato, eppure è così semplice…
Mi perdo nei miei pensieri, continuando a pensare alle sue parole. Quando ritorno alla realtà Gjergj mi accoglie con una affermazione:
– “Io sarò il Mandela dei Balcani”.
– …“Ecco la cazzata!” – penso senza alcun ritegno.
Ma di nuovo mi devo ricredere. “Perché we have to be ambitious” – aggiunge Gjergj.
Immediatamente mi sembra di leggere i suoi pensieri e con timidezza continuo la sua frase: “per continuare a camminare”. Lui guarda dritto davanti a sé e annuisce. Non so se sia davvero ciò che lui volesse dire, ma di nuovo una perla di saggezza sorge all’ombra delle cazzate. Perché bisogna saper immaginare un mondo perfetto per poterlo migliorare, bisogna saper sognare per continuare a sperare, bisogna crederci per essere portatori di cambiamento.
E allora capisco che devo attingere alla sua pungente e inaspettata saggezza, che le sue parole continueranno a stupirmi. E io sarò pronta a registrarle per continuare a credere in quello che faccio, in quello che sogno. Lui è la prova vivente che la Colomba funziona, non solo per alleviare le sofferenze delle persone che incontriamo, ma perché ha il potere di cambiare la vita. Perché rende più forti, accende il fuoco di chi sa credere in un mondo migliore, di chi ha la forza per costruirlo.
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