Ciao,
chiunque tu sia, sappi che esattamente un anno fa ero nella tua stessa posizione: era appena uscito il Bando nazionale per il Servizio Civile, e con le tue medesime emozioni (ovvero quel misto di eccitazione, curiosità, incoscienza e soprattutto paura) cercavo di capire tra le righe piene di burocratese cosa significasse davvero l’espressione “Servizio Civile”. Chi aveva redatto quel documento stava cercando qualcosa, anche se non necessariamente da me: in ogni caso, qualcosa dentro mi diceva che era mio preciso compito capire cosa.
Eppure mi ero appena conquistato la laurea, avevo appena trovato un buon lavoro, esattamente nel campo in cui l’avevo cercato, ma man mano che scorrevo quelle righe, iniziate senza un motivo preciso, quella che era sembrata un’audacia si trasformava sempre più in un progetto. E poi, quasi senza accorgermene, divenne un desiderio.
Lessi tutto di nuovo, e poi un’altra volta ancora, sempre con maggiore attenzione; poi compilai tutto il compilabile, feci incontri e selezioni con viaggi infiniti, spesso di notte e ancor più spesso pieni di speranza. Alla fine, il mio nome comparve sulla lista dei prescelti. Ero stato selezionato: un’avventura che credevo fosse mia, e che invece viveva quasi autonomamente fuori da me, stava per cominciare. Per un anno sarei stato un “Casco Bianco” all’interno del Servizio Civile.
Da marzo sono in Croazia, in una comunità per il recupero di ex-tossicodipendenti. Ci sono arrivato dopo due distinti periodi di formazione “teorica” e quasi un mese di “visita” in una struttura simile in Italia. Insomma, chi dirige la baracca ha pensato bene di preparami al meglio per i nove mesi che sarebbero seguiti. E io prima di partire, sfiancato dalle interminabili lezioni, dalle sistematiche riunioni, dai noiosi incontri, e persino dalle notti passate a ciarlare su divani pieni di altri incoscienti come me, pensavo di essere preparato eccome. Per fortuna, non potevo pensare nulla di più sbagliato.
Non è esagerato dire che in quasi sette mesi ho fatto di tutto, spesso di fianco ai ragazzi della Comunità in cui presto servizio: ho fatto il muratore, abbattendo muri con un trapano più grande di me e costruendo solai che manco immaginavo si facessero a quel modo; ho fatto il giardiniere; ho fatto il contadino, scoprendo che un campo di pochi metri quadrati può regalare patate per un intero reggimento di fanteria; ho fatto l’autista, percorrendo più chilometri di quanti ne avessi percorsi nei precedenti sette anni di guida; ho fatto il baby sitter a bambini che spesso avrebbero avuto bisogno dell’esorcista; ho scritto articoli su quello che mi succedeva intorno; ho redatto documenti che sarebbero stati inviati alla Comunità Europea… e poi ho visto adulti piangere in preda ai loro ricordi e alle loro paure; ho visto il sudore invisibile che calca le loro fronti nelle lunghe giornate in comunità; ho visto animali che nemmeno credevo esistessero (tu sai com’è fatta una “kuna”?); ho visto luoghi talmente isolati da farmi rimpiangere il baccano di Roma e Napoli, a me che da quella confusione c’ero quasi scappato… e poi ho parlato, parlato e ancora parlato: nella maggioranza dei casi in italiano, ma talvolta anche in inglese e persino in croato, sebbene le mie scarse capacità d’apprendimento mi abbiano portato ad imparare non più di un centinaio di parole e un paio di frasi fatte. Ho utilizzato anche gesti e disegni, perchè il desiderio e l’urgenza di comunicare mi spingevano a farlo, e sono contento di averlo fatto. Ecco, proprio questo è il punto, questo è ciò che cerco di dirti in questa lettera che forse starai leggendo svogliatamente, come probabilmente avrei fatto io un anno fa, e che probabilmente ti ha già annoiato: io sono contento di aver fatto, visto e detto tutto ciò.
Ma, e con questo concludo, lo giuro, c’è una cosa di cui sono ancora più contento: sto parlando del fatto che, per i prossimi tre mesi, potrò fare ancora tutto ciò. Ecco, penso che questo ti basti per capire che quelle righe piene di burocratese nascondono alle loro spalle un tesoro immenso: non lasciarti impaurire da esse e soprattutto dalla paura dell’ignoto. Perchè il Servizio Civile è, prima di tutto, un servizio che fai a te stesso.
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