Caschi Bianchi Russia

VISTA SULLA RUSSIA, DAL CREMLINO DI ASTRACHAN

Dopo i primi mesi come Casco Bianco Valentino compone una carrellata sulla Russia incontrata fino ad ora. L’esperienza fatta sui libri si misura con le complessità del quotidiano.

Scritto da Valentino Prudentino, Casco Bianco con Apg23 ad Astrachan

“Русский ленивый”, me lo ha detto questo pomeriggio la mia prof di russo. Professoressa universitaria.
“Pof, mi dica, qual è la cosa che più le sta a cuore? Non è forse il futuro di sua figlia?”

Lei: “Sì”.
Io: “allora non è il caso di non esser pigri e cercare di far qualcosa per un Paese più democratico?”
Lei: “Oh, Valentino, questo Paese non è fatto per la democrazia, quella è una cosa per voi europei. I russi hanno un’altra mentalità. Non posso decidere io il futuro, né Putin o il popolo. Dio decide il destino”.
Ancora. Parlando con un’altra persona, seppur ben più giovane, ci si confrontava sull’Eurovision Song Contest e di tale Conchita Wurst.
“Ah, questa non è l’Europa che permette certe cose”. Tali parole, quasi letteralmente saranno riprese da un alto rappresentante della politica nazionale: “Il futuro dell’Europa è una donna con la barba”.

“Lena, quando si fermava, appoggiava una mano su una bara, una sull’altra e sorreggendosi sulle gambe, lasciava cadere la testa tra le due casse e rimaneva così, come un uccellino con le ali spiegate, o uno ferito che tenta con tutte le sue forze di rimettersi in piedi”. A proposito della guerra in Cecenia. Anna Politkovskaja in “Proibito parlare”.

Tre storie di vita quotidiana. Niente di più.
Poi c’è la Storia, quella con la “S” maiuscola che a grandi linee tutti noi conosciamo.

La Russia, meglio, l’Impero russo degli zar e delle conquiste; della resistenza a Napoleone al costo di dar fuoco alla propria patria. Quella della rivoluzione d’ottobre. Quella dell’URSS e di Stalin. E Chruščëv, Breznev. Gorbachev, El’stin. E Putin.
E qui arriviamo alla storia dei giorni nostri. La Cecenia (I, II e III guerra). La guerra di Georgia. I giochi di Sochi 2014. L’Ucraina. Ancora oggi. E gli omicidi politici degli ultimi due decenni. Spie, ex spie, giornalisti, persone scomode, oligarchi fastidiosi.
Il Paese più grande al mondo. Kapuscinski lo chiamava “l’ultimo impero a crollare nella storia”. Eppure appena 170 milioni di abitanti popolano questa immensa distesa di terra. E la Russia non è etnicamente omogenea e solida come a molti può sembrare; non solo russi, ma tanti gruppi etnici e nazionalità diverse vivono qui da secoli o decenni ormai.
Il Volga, il lago Bajkal. La steppa. Lo sguardo che non ha soddisfazione, non trova un limite su cui misurare le distanze. L’imponenza della natura estrema. “Сколько лет, сколько зим”, quanti anni, quanti inverni, a ricordare che sono gli inverni a pesare, a contare i passi, segnare il cammino, decidere la sorte.

Tolstoj, Dostoevskij, Gogol, Majakovskj, Stravinsky. Pushkin.
La patria della vodka. Dei Cremlini, le vecchie città “entro le mura” del medioevo, Mosca e San Pietroburgo. La Siberia. Il Caucaso, martoriato.
Il gas. Proprio in questi giorni Gazprom ha chiuso i rubinetti all’ Ucraina, sempre e ancora per i debiti insoluti di Kiev.
La patria degli oligarchi che arrivano in Europa e con i loro fondi accaparrano le squadre di calcio – Chelsea e Monaco ad esempio – , ma non solo.

Il KGB, ora FSB. La milizia, ora polizia. Putin, I e II. Medvedev, sostenuto dal “nuovo” premier Putin. Putin III.
Continuando così ci si riempirebbero manuali di storia, geografia, sociologia, politica. Non è il mio dovere né il mio scopo, ma soprattutto non ne sarei all’altezza. Allora, perché sottolineare, per quanto superficialmente, tutto ciò? Semplice, cercare di dar soltanto l’idea dell’immensità di “Madre Patria Russia”. Quello che un po’ si prova guardando negli occhi la statua chiamata appunto “Madre Patria”, situata a Volgograd, l’ex Stalingrado; un monumento “più grande di quello americano”, si vantano i russi (dove per America, con un errore lessico e geopolitico comune si intendono gli Stati Uniti).

Tornando alla mia professoressa, forse è proprio questa immensità , forse una storia particolarmente poco libera per il popolo, forse gli inverni dai -20° ai -40° a rendere “ленивый” i russi; pigri, ecco cosa significa “ленивый”.

La Russia fa parte, a ragione, dei cosiddetti “BRICS”: Brasile, Russia, India, Cina e SudAfrica, Paesi a forte crescita economica degli ultimi decenni.
La crescita della Russia, come noto, è dovuta perlopiù alle esportazioni di fonti energetiche: petrolio, ma sopratutto gas. Da questo mercato insieme a quello parallelo ma più geopolitico dei gasdotti, con Europa e sempre più Cina come terminali d’uso e consumo di quel gas.
Senza voler approfondire in maniera impropria e impreparata l’analisi dei giochi sullo scacchiere geopolitico caucasico ed est europeo, un appunto sulla situazione ucraina mi sembra doveroso: a questa situazione dove solo i combattenti sono locali, ma i protagonisti sono esterni – Europa, USA e Russia -, si è arrivato innanzitutto per le forzate e avventate pretese atlantiche, di appoggiare l’ingresso di Kiev nel patto militare della NATO, così come fu per la Georgia nel non lontano 2008.
Non è l’ipotetico ingresso nell’UE a creare grossi contrasti poichè l’Unione Europea non è un’unione militare.

Avvicinandosi al mondo russo una domanda è inevitabile: in quali profonde tasche si perdono i proventi del commercio del gas e dei ricavi delle industrie sovietiche, privatizzare in tutta fretta al crollo dell’URSS?
Potremmo chiederlo a Leonid e Julia, o a Liuba o alla mia insegnante. L’ho fatto: “nelle mani di pochi, si sa”. Una risposta che in ogni Paese si otterrebbe. Era il suo tono della voce, pacato e sommesso, arrendevole, senza neanche una traccia di rabbia o delusione, ad aver destato in me scalpore. Nulla, come se avesse constatato che la terra gira intorno al sole, non ci si può mica far nulla!

Nella seconda parte del suo articolo Valentino prosegue il suo primo sguardo sul paese che lo vede impegnato come Casco Bianco, con la consapevolezza che, dopo due mesi di servizio, ancora “nessuno sa niente”.

Dopo i primi incontri di questi mesi e cominciando a conoscere il paese giri per strada e ti guardi intorno con curiosità e circospezione.

Ti rendi conto presto che esiste un problema con l’acqua potabile: per fortuna siamo in una zona dove di acqua dolce ce n’è in abbondanza. Sono famose le sorgenti sparse nel territorio caucasico, soprattutto minerali in Georgia. Ma nelle case della gente non scorre acqua potabile. Perché non investire in depuratori che permettano alla popolazione di avere acqua potabile in casa? E non quella satura di sabbia che a berla sarebbe molto dannosa per i reni.
Così come nel caso della potabilizzazione mancata dell’ “oro blu”, un’altra grande assente nelle politiche russe è una seria politica ambientale. Una natura imponente, immensa, sfruttata al massimo, ma senza una politica che ne salvaguardi il benessere. Dagli scarti dei lavori industriali – guardando il Volga è chiaro che ve ne vengono sversati di ogni tipo senza troppi controlli – al problema dello smaltimento dei rifiuti; dall’anacronismo nell’uso dei carburanti non raffinati, con veicoli e i motori di ogni tipo che vanno perlopiù a benzina col piombo, al problema dell’amianto onnipresente in città.

Lastre di amianto ricoprono i tetti delle singole abitazioni, ne costituiscono le recinzioni; ricoprono i tetti di condomini, negozi, scuole e ospedali; in periferia tanto quanto in centro; lo ritrovi frantumato lungo le strade non asfaltate. Solo negli ultimi anni le case, per chi può permetterselo vengono fatte in mattoni e non in legno, con tetti di metallo e non con lastre di eternit.
Da poco invece la produzione e il commercio di questo materiale sono stati vietati dalla legge. Per la consapevolezza della dannosità per la nostra salute di questo elemento da parte dei cittadini la strada è ancora lunghissima.
Certo, anche le strade non sono mica messe bene, come in fondo gran parte di ospedali, scuole e strutture pubbliche sembrano tutti grossi casermoni.
Nelle scuole, bambini dalla prima alla decima classe, tutti insieme corrono in quei corridori dove l’immagine del Presidente e dei suoi fedeli servitori locali campeggia imponente a ricordare di far piano. Far piano con i pensieri e le idee.
Manca una politica di edilizia popolare consona ad una popolazione che, come nella maggioranza dei Paesi in via di sviluppo, si sposta sempre più dalle campagne al miraggio delle città. In Russia la popolazione preferisce ormai le città, dimenticando un passato prettamente contadino e fatto di villaggi.
C’è bisogno di una politica abitativa che faccia fronte al ripetersi costante di incendi: case di legno, condutture del gas a cielo aperto – scelta dovuta all’impossibilità, altrimenti, di eseguire riparazioni durante gli inverni -, cosicché nei periodi del freddo, paradossalmente, il fuoco diventa un grosso pericolo. Pochi mesi fa è scomparsa in questo modo parte di uno dei quartieri più poveri della città di Astrachan.
Una politica abitativa dovrebbe togliere dalla strada chi non ha una casa, qualsiasi sia il motivo che ha portato quella persona a vivere per strada. Anche se il punto è che in tantissimi finiscono per strada a causa dell’abuso di alcool. Quasi il 50% degli uomini adulti, in molte zone della Russia, soffre di problemi legati all’alcolismo.

Certo, si possono ancora venire a conoscere storie di persone che si portano dietro le conseguenze della caduta del Muro di Berlino, 1989, e dell’URSS, 1991. Ma resta l’alcool il nemico principale dei russi, anche di molte donne.

Altri due ultimi aspetti, in questi due mesi di vita russa, mi sono sembrati interessanti.
Il primo è una sorta di “atomizzazione individualistica”. Non sembra esserci in questa parte del mondo molta attenzione “all’esperienza di gruppo”, alla socialità più allargata, all’associazionismo.
“I russi” – mi dicevano tre ragazze italiane che hanno speso un anno dei loro studi liceali qui ad Astrachan- “non hanno molti amici, si magari si esce in gruppo, nelle festività, ma ogni russo ha in fondo un amico e basta”.

Per la strada sembra davvero esser così. Del resto, la socialità del popolo russo non è famosa, sarà forse per la rissosità che esplode anche nei matrimoni; pare essere la regola di un buon matrimonio, non l’eccezione.
Legato a stretto giro al fattore “socialità”, credo si possa riportare una brevissima analisi dei rapporti con l’idea di Patria e della vecchia Unione Sovietica.
” Мамаев Курган”, la collina sulla quale è situata la statua di “Madre Russia” e il monumento per i caduti della Seconda Guerra Mondiale, torna ancora utile come termine di paragone. I russi provano un fortissimo sentimento patriottico. Un sentimento molto “festeggiato”, messo in mostra e un po’ ostentato nelle innumerevoli “giornate” e festività che si rincorrono durante l’anno: dal ricordo della battaglia di Stalingrado a febbraio, al 9 maggio per la vittoria sui nazisti, al 12 giugno, “Giorno della Russia” per celebrare l’indipendenza dall’Unione delle repubbliche sovietiche; si proprio così.

La Russia, va detto, grazie a Putin, ormai al suo terzo mandato presidenziale, ha ridato splendore alla Gloria dei tempi che furono. Una gloria rispolverata dopo gli anni ’90 di confusione e assenza di punti di riferimento. Gli anni della caduta libera.
Una gloria che non rinnega il passato socialista, ripudiato solo come sistema di potere e di ideologia, ma non per la gloria di cui ha ricoperto il popolo russo a livello internazionale.

Ci sarebbero ancora da analizzare i sentimenti popolari verso alcuni temi centrali: l’Europa, gli Stati Uniti, il Caucaso, i diritti Lgbt, i diritti politici negati, lo strapotere di Putin. In parte sono temi che ho cercato perlomeno di sfiorare.
Per ora, basti ricordare che le parole della professoressa non paiono infondate e che, se Putin ha reso nuovamente gloriosa la Russia agli occhi del suo popolo, questo non può che essergli grato, un aggettivo che rende poco quella che sembra quasi una venerazione del presidente.

Concludo la prima parte di questo resoconto sottolineando che quanto qui lungamente detto non sono altro che le considerazioni di un Casco Bianco in servizio da pochissimi mesi, in un Paese perlopiù conosciuto attraverso i libri occidentali; sono quindi considerazioni da prendersi con le pinze.
In due mesi, del resto, “никто ничего не знает”, ossia “nessuno sa niente”.

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