Caschi Bianchi Cile

Essere machi, Mapuche e donna

Le machi, nella cultura Mapuche, sono coloro che intermediano tra il popolo mapuche e gli spiriti della salute, del benessere e della tranquillità. Essere machi è una grande responsabilità e, attraverso Mariya Magdalena, Sandra racconta la sua storia di donna, machi e Mapuche

Scritto da Mariya Magdalena Predyova, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a Valdivia

Vivendo in una società maschilista e patriarcale, facilmente ci si dimentica che nelle guerre, nelle lotte e nelle dittature, come quella di Pinochet in Cile, di fianco agli uomini ci sono sempre state, e tutt’ora sono presenti, molte Donne. Nella storia e nella quotidianità viene completamente negato il riconoscimento della presenza femminile, relegandola in continuazione a ruoli secondari, o spesso nel ruolo di vittime. Tutt’oggi continuo a non capire perché la donna non venga presa in considerazione e valorizzata in quanto tale, quando sappiamo che nella storia, nella scienza e nelle lotte più significative la protagonista è stata spesso lei, e continua ad esserlo.

Nella cultura mapuche si ha una cosmo-visione senza disparità di genere, basata su principi di uguaglianza e dualità. Sia uomini che donne partecipano in vari ambiti e con diversi ruoli intercambiabili: ad esempio le/i machi (coloro che intermediano tra il popolo mapuche e gli spiriti della salute, del benessere e della tranquillità) o le/i longko (le/i leader delle singole comunità). Nonostante questo, l’influenza del colonialismo si percepisce. Si è creata nel tempo una spaccatura più netta tra i ruoli considerati “femminili”, riguardanti il preservare la cultura e la conservazione delle pratiche della medicina mapuche, e quelli “maschili”, di guide della comunità, soprattutto dal punto di vista politico e di rappresentanza. I mapuche sono spesso discriminati dalla società civile, dallo Stato cileno, e non sono riconosciuti nella Costituzione del Paese, ma lottano quotidianamente per il riconoscimento  delle proprie terre ed identità culturale in quanto popolo nativo. In questa cornice le donne subiscono ulteriori discriminazioni, in quanto Donne, povere ed indigene. Sono loro, però, quelle che combattono giorno dopo giorno per l’educazione dei propri figli, per la cultura, la lingua, le terre e per preservare i doni della natura.

Ho avuto l’opportunità e la fortuna di conoscere una machi, Sandra, in una piccola comunità dell’Araucanía, da secoli zona di conflitto in Cile tra il popolo nativo e lo Stato. Sedute sotto al suo rewe (totem sacro mapuche che simbolizza la connessione con il cosmo, e sul quale sono appese bandiere di vari colori che rappresentano i sogni della machi) mi ha raccontato cosa significa essere machi, quali sacrifici comporta, e come viene considerata la sua presenza nella comunità stessa.

Il percorso di Sandra è stato lungo e doloroso. Quando una persona è predestinata a diventare machi si ammala da giovane, e così è successo anche a Sandra: a 12 anni ha cominciato ad avere forti attacchi che la sua famiglia considerava “epilettici”, uniti a dolori intensi alle ossa e a cadute in trance dove lo spirito del wenu mapu (del cielo) entra in chi possiede questo dono. In seguito ad un episodio in cui ha perso completamente la coscienza in un fiume “lottando e dominando un animale”, racconta Sandra, un machi le ha detto che tutto ciò le stava capitando perché il suo ruolo sarebbe stato quello di diventare, appunto, machi. Se non si accetta questa responsabilità si può anche morire. Così, a 18 anni, decise di accettare il motivo per cui era al mondo, e di farlo nella terra a cui il suo spirito machi è sempre appartenuto, l’Araucanía. La scelta non è stata facile: il ruolo che ha una machi nella comunità richiede costante presenza, responsabilità, ed assume un ruolo di guida che dà sicurezza e aiuta a guarire le persone. Il percorso prevede anni di studio di rimedi, di piante, della lingua mapudungun, dei principi, valori, e dei compiti fisici e spirituali che una machi deve incorporare.

Il processo si conclude con una cerimonia chiamata machitún, necessaria per separare tutte le energie maligne dal proprio corpo e dal corpo di chi assiste all’evento. Il giorno del machitún lo spirito della machi, guidato dalla musica della pifüllka (strumento a fiato utilizzato nella cultura mapuche) e del kultrun (tamburo mapuche, presente anche nella bandiera) viene sulla terra, nella ruka (tipica casa mapuche in cui la machi crea i rimedi e riceve i pazienti) per unirsi alla persona fisica che diventerà machi. Quest’ultima, quindi, incorporerà due “personalità”: quella mortale e fisica, e quella spirituale, eletta centinaia di anni addietro.

Questo può spesso risultare difficile da accettare da parte delle persone più vicine, che notano continui cambi di umore nella machi, che in realtà deve rispettare delle regole ben strutturate, e richiedere rispetto da coloro che la circondano. Ciò porta, a volte, all’allontanamento da parte di alcune persone e comunità, come nel caso di Sandra che ha trovato delle difficoltà nel farsi accettare. “Ma a me piace far vedere con i fatti che sono una buona machi e che svolgo bene il mio lavoro”, dice Sandra, motivo per cui vengono da lei pazienti anche da città lontane. Ci racconta, poi, che secondo lei il mondo mapuche rischia di scomparire e perdere i propri valori, ma che forse la sua missione come machi è proprio questa: far capire quanto sia importante che l’amore per la terra non si perda nel tempo, e che tutto possiede una vita e di conseguenza deve essere rispettato. Il wingka (lo straniero) fatica a vederla in questa maniera, e per questo crea “forestali” (immense piantagioni di pini ed eucalipti che necessitano di molta acqua, e che di conseguenza prosciugano i fiumi, i laghi, le lagune circostanti, fondamentali per le comunità) distruggendo i boschi nativi, la natura e le piante necessarie per i rimedi e le cure, con uno sguardo proiettato unicamente verso l’aspetto economico. Senza la materia prima fondamentale per le terapie e gli antidoti, una machi non può aiutare né i paziente né se stessa (il dolore che cerca di alleviare nelle altre persone lo assorbe lei stessa, e per questo ha bisogno di essere a sua volta curata). Non potrebbe far guarire le persone se non in maniera totalmente naturale. L’errore della medicina occidentale è, infatti, quello di non provare a curare in questa maniera, ma solo tramite medicinali e farmaci senza il sostegno ed aiuto ai pazienti in maniera più “spirituale”. “Per questo la gente spesso muore sola e depressa”, dice Sandra.

Oltre alla lotta per la preservazione delle cure, della cultura, della terra e della lingua mapudungun, si aggiunge anche quella per la riaffermazione dell’essere machi, mapuche e Donna. Come tutte le figure femminili, anche quella della machi è rappresentata come qualcosa di puro, la madre spirituale di tutti e, di conseguenza, con molte responsabilità. Questo, però, non elimina la discriminazione che nel tempo è stata assimilata da parte della comunità e, su più larga scala, da tutta la società. Vi è spesso uno sguardo negativo e discriminativo verso la donna mapuche, considerata povera su più dimensioni, come quella economica, educativa e sociale. Sandra, in quanto mapuche, machi e giovane Donna sente di avere la responsabilità di rompere questi schemi machisti e di dover continuare a lottare per farsi rispettare e far sentire la propria voce.

L’appello finale che fa Sandra è quello di vivere la vita, conoscerla, avvalorare ciò che si ha perché tutto esiste per un motivo. Forse noi occidentali dobbiamo imparare a prendere il positivo da queste culture, così lontane, perché possono aiutarci a dare più senso alle cose e insegnarci molto. Una delle cose più importanti che ho imparato da molti mapuche è che “il ieri è un ricordo, l’oggi è un momento, e il domani non esiste”. È un appello ad apprezzare ciò che succede a noi e ciò che ci circonda, e continuare a lottare per le cose che ci sembrano giuste, per i propri diritti, non perché uomini o donne, ma perché persone.

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