Bolivia Caschi Bianchi

Ogni giorno

Il racconto delle giornate semplici e intense in una comunità terapeutica in Bolivia

Scritto da Sara Baldelli, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a La Paz

Apro gli occhi e dal piccolo spiraglio che rimane aperto tra la tenda e la finestra scorgo le montagne, a volte illuminate dal sole, altre volte ancora nascoste tra le nuvole e inizio ad immaginare e domandarmi che tempo farà oggi. Poi scendo in cucina, calda e inebriata dall’odore del caffè che la mia compagna più mattiniera di me mi fa sempre trovare pronto, mi preparo il mio mate (thè) con le foglie di coca e inizio a sbucciare qualche frutto esotico da mettere nel mio yogurt greco, in questa colazione a metà tra europea e boliviana.

Mi vesto al volo sapendo già che anche oggi sono in super ritardo, scendo correndo le scale ed usciamo in strada ad aspettare il minibus per arrivare in comunità, come di consueto i primi 4 o 5 sono pieni o fanno capolinea subito dopo casa nostra ma poi quando ormai la speranza è persa ne arriva sempre uno in cui in un modo o nell’altro riusciamo a salire.

Bajamos aqui, por favor” (“scendiamo qui, per favore”), 5 minuti a piedi e qualche chiacchiera mattutina e arriviamo davanti al cancello blu della Comunità Terapeutica per persone con problemi di dipendenza Sant’Aquilina, con la scritta bienvenidos in alto a fargli da cornice. Suoniamo il campanello e prima o dopo arriva sempre V. sorridente e solitamente di corsa ad accoglierci con il suo “Buen dia mamita”. Mentre camminiamo verso l’entrata piano piano sbucano tutti gli altri ragazzi a darci il loro buongiorno, chiedendoci come è andato il weekend o se abbiamo dormito bene e tra qualche veloce scambio di battute, inizio piano piano a cercarli con lo sguardo uno ad uno, per capire se ci sono tutti o se nei pochi giorni (o ore) in cui non ci siamo state qualcuno se n’è andato decidendo di abbandonare il percorso.

Entriamo dentro e mi invade l’odore della zuppa che è sul fuoco a cuocere chissà da quante ore, quella maledetta zuppa che tanto odio perché non è altro che dell’acqua con un po’ di verdure dentro, ogni giorno sempre uguale, che poi però alla fine è odore di casa, di calore, di un luogo sicuro. E’ questo quello che provo ogni mattina quando varco quella porta, mi sento a casa, dalla famiglia che mi è stata data in prestito per questi mesi, dai miei hermanos maggiori di comunità.

Mi giro per leggere la frase del giorno appesa all’ingresso, “Estamos aqui para ayudarnos unos a los otros en el trayecto de la vida” (“Siamo qui per aiutarci a vicenda nel viaggio della vita”) è quella che ha scelto oggi J.L. e mentre salgo le scale rifletto su quanto, oggi e qui più che mai, senta mie queste parole. Appoggio lo zaino sul mobile, respiro, è iniziata ufficialmente un’altra giornata. Non so cosa mi aspetterà oggi, certamente le cose da fare saranno le stesse e la routine ed i ritmi della giornata quelli di sempre ma chissà quali storie e quali racconti mi verranno donati oggi, con che cosa mi troverò a dover fare i conti, con chi riuscirò a scambiare una chiacchiera o una confidenza in più.

Ogni giorno che passo qua in comunità è una scoperta ed una crescita.

Una scoperta di un pezzo di vita in più di qualche ragazzo che non conoscevo, di una tradizione boliviana, di un piatto tipico, di qualche strumento terapeutico usato nel programma ma soprattutto di parti di me, perché camminando giorno dopo giorno insieme a questi ragazzi, condividendo con loro le giornate, da un semplice pasto o lavoro fino alle terapie di gruppo, inevitabilmente assieme a loro sto imparando a conoscermi, ad analizzarmi, a riflettere su me stessa e spesso mi accorgo di quanto sia così simile a loro, nelle mie fragilità, insicurezze e distorsioni (come le chiamano qui), perché poi alla fine, nella sua essenza ciò che ci accomuna tutti è l’essere umani, l’essere umani vulnerabili. E’ un lavoro che nasce per loro ma diventa con loro e forse è questa la vera magia della condivisione, come ha scritto anche J.L. nella frase del giorni di oggi, l’aiutarsi l’un con l’altro.

Ogni giorno che passo qua in comunità è una sfida.

Una sfida per los hermanos, nello scegliere di essere sobri e di continuare il loro percorso in comunità un giorno in più, nonostante le difficoltà, a volte legate alle diversità di ognuno, altre volte alle mancanze dell’altro, nonostante la lontananza dalla famiglia, la voglia di mollare o di scegliere nuovamente la via del consumo, per certi versi più semplice, nonostante le frustrazioni, i no, la monotonia delle giornate e la sensazione del tempo che passa e di tutte le cose che fuori continuano a scorrere senza di essi.

Ogni giorno per ciascuno di loro è una sfida a trovare la motivazione e la forza di lottare per una vita diversa perché cambiare ed imparare a lavorare su sé stessi necessita di una forza di volontà enorme, è una fatica costante, è un imparare a sapersi mettere in discussione continuamente.

Ogni giorno in comunità però è una sfida anche per me, per noi, perché per quando le giornate in apparenza sembrano tutte identiche, ogni giorno mi ritrovo a vivere qualcosa di nuovo. Ci sono momenti che sono di pura tristezza, frustrazione, impotenza, a volte il dolore delle vite e delle storie ti arriva così forte che ti disarma, perché non è facile trovare una spiegazione a delle sofferenze così grandi (e spesso determinanti) di una vita di consumo, a volte è difficile accettare che un ragazzo o un uomo decida di abbandonare così di punto in bianco, magari dopo mesi di evidenti miglioramenti, con tutte le aspettative, i progetti e le speranze future che si erano condivise e perché lasciare andare è faticoso, perché inevitabilmente ci si affeziona e come accade anche in famiglia, quando un fratello se ne va di casa perché pronto a ricominciare una nuova fase della vita, la gioia si mescola ad un senso di vuoto e di mancanza.

La maggior parte delle volte però quello che vivo sono dei momenti, più spesso dei piccoli attimi, così sfuggenti e veloci che quasi non te ne accorgi, di pura gioia e felicità. Dice una canzone che mi piace molto “Capo ricordati che la felicità sta dentro le piccole cose” ed io in questi 5 mesi qui a La Paz, se c’è una cosa che ho imparato è a godere delle piccole cose quotidiane, di un sorriso, di una battuta, di un grazie, di un confronto un po’ più profondo con qualcuno, di una canzone cantata assieme, di una dimostrazione di balli tradizionali improvvisata durante una camminata, di una partita a calcio, del tornare bambini sfidandosi a dei giochi tradizionali o ad una partita di pallamano in piscina per il gusto di stare assieme e niente più, di un cioccolatino o un biglietto fatto a mano come regalo di compleanno, della trasformazione dei ragazzi più duri e difficili quando entrano nel loro ruolo di padri, i quali si riempiono di amore e tenerezza alla vista dei figli.

Sono queste le cose che per me danno un senso a tutto, alla scelta di partire, all’essere qui oggi ed in questo momento.

A volte mi domando, alla fine forse la felicità non è proprio questo? Dei piccoli bagliori di luce che ogni tanto illuminano la nostra esistenza, più che un’emozione o uno stato d’animo costante?

E non sarà forse proprio la semplicità e l’essenzialità che ho incontrato qui, che tolto il pesante velo del superfluo, mi ha permesso di vedere e sentire con più chiarezza questi piccoli attimi di felicità?

Sono domande a cui ancora non ho saputo dare una risposta e alle quali forse non me la darò mai, nel frattempo mi godo il cammino consapevole che “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’ avere occhi nuovi”.

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