Quando sono arrivata in Albania un anno fa non conoscevo il posto dove mi stavo recando e, intenzionalmente, scelsi di non prepararmi su alcun aspetto, in modo da poter vivere la sorpresa di essere trapiantata in un paese nuovo e sconosciuto.
Il primo impatto che Tirana offre a chi arriva è quello di trovarsi a tutti gli effetti in un paese moderno e ricco, in corsa verso l’ingresso nell’Unione Europea. La città pullula di bar sempre pieni, le strade sono congestionate a tutte le ore del giorno, le gru si stagliano in ogni angolo per innalzare grattacieli dalle forme e i colori più originali. Qui ho conosciuto Laura, una giovane ragazza che si è trasferita da Korça, magnifica cittadina del sud dell’Albania. Lei ha studiato e si è laureata in psicologia, ed è poi tornata nella sua città natale per lavorare, coincidentemente, con Caritas Albania, nel campo di prima accoglienza per rifugiati. Questo è solo l’inizio del suo percorso, che però considero una storia di successo: di chi sta ancora costruendo il suo futuro, ma che sta ottenendo dei risultati.
Questa impressione di modernità e ricchezza che si vive nella capitale viene però subito disillusa quando, parlando con chi la città la vive e la conosce bene, si viene avvisati che “Tirana non è l’Albania”.
E infatti basta poco per conoscere un altro volto del paese: appena 5 chilometri fuori dal centro, nella periferia nord della città, si entra nel quartiere di Babrru e si scopre una delle prime contraddizioni di questo piccolo stato. In questo quartiere Caritas Albania opera in un centro giovanile per bambini e ragazzi della comunità Egyptian, chiamato “Dritarja e Dijes”. Qua non ci sono bar affollati, le persone prediligono piccole motociclette con carrello che usano per raccogliere la plastica dai bidoni dell’immondizia, per poi rivenderla e guadagnarci da vivere. Qua, le gru non sono in vista, ma le ruspe sì: la municipalità è infatti intenzionata a demolire le abitazioni di fortuna di tutte queste famiglie, per lasciare spazio a una strada più larga. Le famiglie dovrebbero essere spostate in un’altra zona periferica, alle pendici del monte Dajti, dove però è presente un’altra comunità Rom, in conflitto con quella Egyptian.
Inoltre i conflitti non sono solo esterni ma si possono trovare anche dentro alla comunità, all’interno delle stesse famiglie. Nel nucleo famigliare infatti si scontrano i valori tradizionale dei genitori, con le ribellioni adolescenziali dei figli. È il caso di Fatjona, che dopo essere stata trovata a scambiare delle effusioni con un suo coetaneo, è stata severamente punita: le sono stati tagliati i capelli, le è stato impedito di andare scuola, le è stato vietato di uscire nuovamente con i suoi amici e le sue amiche. Eppure Fatjona non ha smesso di lottare, e il suo spirito coraggioso e impavido è stato evidente quando con il centro Dritarja e Dijes siamo andati all’Adventure Park, fatto di zip line e percorsi aerei. Qua Fatjona, nonostante la paura dell’altezza, ha proseguito, passo dopo passo, ponte dopo ponte, corda dopo corda. E sono sicura che così farà per il resto della sua vita, volerà fuori dal suo nido, e la sua famiglia non potrà tarparle le ali.
È proprio in questa città da quasi un milione di abitanti che si concentra quasi la metà dei cittadini residenti in Albania, molti dei quali in cerca di un futuro migliore per se stessi e per le proprie famiglie, mentre l’altra metà della popolazione risiede diluita sul resto del territorio, tra le sue valli e le sue montagne. Ed è tra le montagne di Dibër, appena al di qua del confine con la Macedonia del Nord, nel villaggio di Kërçisht, che ho incontrato Michele. Come l’ospitalità albanese vuole, lui ci ha invitati nel giardino di casa sua, e ci ha offerto del caffè e della raki da bere in compagnia seduti sotto un albero di ciliegio in fiore. Qui, chiacchierando, ci ha raccontato di aver vissuto e lavorato in Italia, dove vorrebbe tornare con la moglie e i due figli, non appena avranno i documenti pronti. La moglie infatti è laureata, ma non lavora; anche Michele sa il suo mestiere, ma non ha opportunità in Albania per praticarlo. E così per questa famiglia, nemmeno l’idea di trasferirsi nella capitale è più sufficiente, loro sognano l’estero.
Dunque arrivai ignara del luogo dove mi stavo recando, ma dopo un anno ho potuto scoprirlo e riscoprirmi attraverso di esso. C’è ancora tanto da poter imparare, ma avendo osservato numerosi luoghi e avendo ascoltato le storie di diverse persone, non posso che ammettere che l’Albania è affascinante e intrigante. E io, di questi mille colori, mi sono innamorata.
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