Trascorsi cinque mesi dal mio arrivo a Santiago, posso affermare che la storia di ogni singola persona incontrata all’interno dei progetti meriterebbe di essere raccontata e conosciuta come esempio di resilienza, forza, ma anche sofferenza e impotenza di fronte alle istituzioni.
In particolare mi riferisco ai quaranta bambini che frequentano il progetto Escuelita; progetto che da molti anni è un importante punto di riferimento per la comunità della Comuna di Peñalolen e che si occupa di accogliere bambini e ragazzi nel pomeriggio, seguirli nei compiti e nella loro crescita attraverso il gioco e lo stare insieme.
Ognuno di loro porta con sé un rilevante trascorso segnato da violazioni e mancanza di diritti per l’infanzia, a partire dal diritto a vivere in un ambiente sicuro e arrivando al diritto di beneficiare della sicurezza sociale; passando però per l’importante punto del diritto ad un’istruzione adeguata.
In Chile il sistema scolastico è elitario e fortemente diseguale: le scuole migliori sono private e molto costose, mentre gli scarsi investimenti nel sistema pubblico si traducono in un’educazione spesso scadente e che non garantisce un’adeguata formazione. Inoltre le scuole municipali che frequentano i bambini e ragazzi del progetto non sono adatte a ricevere le problematiche del singolo, a trattare i disturbi dell’apprendimento, dividendo e relegando chi ne è affetto in “scuole speciali” dove le mamme sono costrette a stare in classe con i figli perché altrimenti non potrebbero presenziare a scuola. È questo il caso di Jhorman, sei anni, con problemi di linguaggio e apprendimento, la cui mamma è costretta a rinunciare a lavorare per restare a scuola con il figlio, diventando così, per certi versi, quella che noi in Italia chiamiamo la maestra di sostegno.
Questa ai miei occhi appare un’istruzione talmente tanto distante dalla nostra che mi chiedo se sia giusto e opportuno il paragone: risulta spesso assurdo pensare che ragazzi di undici o dodici anni non conoscano le tabelline o non sappiano leggere le parole più complesse, ma d’altronde chi ci conferma che la nostra metodologia, le nostre tempistiche siano quelle giuste? Certamente l’impegno nell’ora dei compiti e lo sforzo nell’affiancarli nel loro percorso di crescita e formazione è massimo, ma non è facile capire quanto sia giusto pretendere da loro.
In Italia ho sempre lavorato o avuto a che fare con bambini e ragazzi e so che non è mai banale rapportarsi con la crescita di qualcuno; ma qui in Chile, forse per la prima volta, mi sento davvero a pieno responsabile e coinvolta nello sviluppo di questi quasi quaranta bambini che ogni giorno, dopo la scuola, raggiungono il progetto. Forse perché non si tratta solo di un semplice doposcuola o centro ricreativo, ma perché per molti di loro l’Escuelita rappresenta forse l’unico luogo veramente sicuro in cui si sentono e vedono ascoltate le loro esigenze e diritti.
Ognuno di loro porta con sé una storia che meriterebbe di avere il privilegio di essere conosciuta perché piena di difficoltà, ingiustizie, a volte violazioni e mancanze che un bambino non dovrebbe vivere. Penso a Briana che soffre la lontananza del padre emigrato per lavorare, allo sguardo impaurito di Valentina al solo pensiero della possibile reazione della madre ad un piccolo errore, a Leon e Dominique che arrivano nel pomeriggio senza aver pranzato, a Andrea, alle porte dell’adolescenza, alla quale manca un esempio educativo consono, adatto, capace di far riconoscere i suoi sentimenti e le tappe dello sviluppo.
Tutte queste situazioni mi fanno vivere ogni giorno sensazioni di rabbia, indignazione e tanta tanta impotenza. Mi sento di dover essere e di essere un importante esempio, anche se probabilmente il mio unico vantaggio è quello di essere cresciuta nella parte agiata del mondo. In questi mesi ho capito che ascoltarli, comprendere come si sentono, cercare di dare loro delle spiegazioni a eventi che il più delle volte sono davvero troppo grandi per loro e dedicargli tempo, sono gli unici comportamenti che forse possono lasciare un segno positivo, rafforzando non tanto le nozioni ma i comportamenti costruttivi. L’Escuelita rappresenta infatti, sia visivamente sia concettualmente, un vero faro per la crescita e il futuro dei bambini che la frequentano. Un luogo sicuro dove imparare a relazionarsi con l’altro, a condividere non solo i giochi ma ogni singola esperienza, dove apprendere i valori dello stare in gruppo, del compartire e del rispetto verso gli altri e se stessi. E in questo periodo storico così particolare e complesso, in cui la guerra si sente così vicina, credo che lavorare con i bambini e ragazzi si dimostri un importante strumento di nonviolenza, poiché la realtà è che la pace si insegna a partire dai bambini, rafforzando la capacità dello stare insieme, del condividere e la bellezza del conoscere e apprendere dagli altri.
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