La mattina del 24 febbraio è stata un bagno di sgomento e incredulità: le tensioni fra i due Stati, cominciate nel 2014 con la guerra nel Donbass, si erano acuite molto nell’ultimo periodo ma l’ipotesi del conflitto armato sembrava tanto assurda quanto inattesa, perlomeno vista dal Cile.
La mattina del 24 febbraio siamo state sopraffatte da un groviglio di sensazioni spiacevoli, sentimenti di impotenza, angoscia e tristezza che, puntualmente, si stanno ripresentando in questi giorni. Qui a Santiago la guerra è il tema cardine delle ultime settimane, ma, nonostante l’aggiornamento costante degli accadimenti, resta qualcosa di lontano, per cui si prova dispiacere, sì, ma con distacco. Distacco dato non solo dalla distanza geografica, ma dal mancato schieramento con una delle due fazioni contrapposte, Russia e NATO e dall’imminente insediamento del nuovo governo che si presenta come portatore di un cambiamento storico da realizzare attraverso politiche sociali egualitarie.
Non è quindi semplice far convivere la vicinanza al dolore, alle preoccupazioni per le conseguenze del conflitto in Europa, con la lontananza geografica, che porta alla lontananza emotiva.
A noi, partite per il Cile come Caschi Bianchi, con la convinzione che la violenza non debba essere una risposta praticabile al conflitto, risulta impensabile dover accettare l’ennesimo tentativo di utilizzare la guerra come strumento legittimo di risoluzione delle tensioni fra nazioni. Per vincere il senso di impotenza e il senso di colpa dato dalla lontananza da casa, proviamo a rispondere alla guerra educando, ed educandoci alla pace, attivando laboratori di nonviolenza, in cui, attraverso il gioco, il teatro dell’oppresso e la riflessione, si sperimentano soluzioni nonviolente di trasformazione del conflitto, in cui si mostrano i benefici del cooperare e si impara a vedere l’altro non come un nemico ma come un compagno. Questi laboratori sono rivolti ai destinatari di alcuni dei progetti in cui stiamo operando, gli utenti della comunità terapeutica Sandra Sabatini e le famiglie coinvolte nel programa de prevención focalizada “PPF Acuarela” a Santiago del Cile.
Attività come queste non dovrebbero restare episodiche: siamo convinte che la strada per abolire la guerra passi dalla prevenzione, dall’educazione alla pace, che dovrebbe essere integrata all’interno del sistema scolastico come disciplina di studio. La guerra è la manifestazione più estrema di una maniera distruttiva di rapportarsi al conflitto. Insegnare a comunicare in maniera nonviolenta, a confrontarsi ascoltando le posizioni dell’Altro porterebbe, in maniera non utopica, a creare delle persone consapevoli del potenziale della cooperazione che, molto difficilmente, ricorrerebbero a una misura rovinosa come la guerra per fronteggiare situazioni di alta conflittualità.
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