Albania Caschi Bianchi

Informazione dal basso come strumento per la trasformazione del conflitto

L’intervento di Angelo Carlo Valsesia.

Scritto da Angelo Carlo Valsesia, Casco Bianco Oltre le vendette

La traccia dell’intervento

Introduzione – Conflitto ed Informazione

Il principale ruolo ricoperto all’interno del contesto conflittuale albanese è stato quello di prevenzione e trasformazione dei micro-conflitti. Infatti, se competizione ed aggressività sono innate nell’uomo così non si può dire di guerra e risoluzione violenta dei conflitti, che sono figlie della realtà storica e culturale di cui si nutrono. Come ci suggerisce la Dichiarazione di Siviglia sulla Violenza [UNESCO, 1991], “Nessuno dei nostri comportamenti è così determinato da non poter essere modificato dall’apprendimento”. Parzialmente consapevoli delle caratteristiche peculiari del fenomeno, ma consci delle potenzialità insite nei rapporti personali, dell’utilizzo dell’arte come strumento di liberazione e della chiusura dei media (e dell’informazione in generale) nei confronti delle vendette – abbiamo impostato una doppia-azione che, da un lato, permetteva alle famiglie (soprattutto nei suoi componenti più giovani) di accrescere la consapevolezza della propria condizione (non statica, bensì dinamica e modificabile) e, dall’altro, permetteva a noi volontari di accrescere la nostra conoscenza del fenomeno in maniera diretta e non mediata.

Infatti, la principale importanza dell’informazione, soprattutto in momenti storici critici quale può essere un conflitto od una severa crisi economica, si svolge e si concretizza nell’influenza sul pubblico e dunque sul ruolo dei media come fonte di conoscenza. Appunto, media – ovvero conoscenza indiretta e mediata da altri mezzi – che determinano spesso non solo ciò che conosciamo del mondo (agenda-setting), ma anche il come lo conosciamo [vedi ‘il business dei rosari’]. Essi forniscono cornici interpretative secondo cui il pubblico può risalire ad una spiegazione di precisi eventi o situazioni. Così, guardando nello specifico ai media albanesi per farsi un’idea del conflitto, abbiamo letto che è una realtà estremamente limitata, che il fenomeno è prossimo allo zero e che riguarda ancora poche famiglie ignoranti e con il grilletto facile: nessuna vittima, e tutti perpetratori. Più in generale, si pensi all’uso e al senso flessibile, se non spregiudicato, di alcuni termini (ad esempio, umanitarismo e prevenzione) nella giustificazione dell’uso della forza militare. In una situazione di conflitto, il processo di costruzione delle notizie è ancora più difficile perché esiste il problema di sicurezza e di verifica delle fonti. [si veda l’obbrobrio del giornalismo ‘embedded’].

Cambiamento e Trasformazione dal basso: Contesto Personale e Contesto Geografico

La prevenzione e la trasformazione dei conflitti nasce da una volontà politica che trova linfa soprattutto dal basso (definita spesso società civile) con l’obiettivo di aprire nuovi spazi di comunic-azione affinché le parti possano risolvere il conflitto in maniera nonviolenta. Attraverso la nostra azione di informazione, abbiamo cercato di agire su due livelli paralleli ed intersecanti: il contesto personale e diretto ed il contesto geografico ed indiretto.

Sotto il primo punto di vista, è solo parlando con le persone che si possono individuare ed esplicitare i bisogni in maniera tale da poterne ‘ri-conoscere’ le sofferenze. E’ dunque soprattutto attraverso l’esperienza diretta della nonviolenza e dei corpi civili di pace che questa ri-conoscenza viene fatta propria dall’operatore o dal volontario. Così, nei conflitti determinati dalle vendette di sangue, l’iniziale immagine di gruppi sociali dediti alla violenza si è ribaltata in quella di ‘nessun perpetratore, tutti vittime’. Anche il più ‘ostico’ dei capi-famiglia di fronte ai dubbi posti riguardanti la perpetuazione del conflitto e delle influenze negative di questo sulla vita dei propri figli, non aveva altra risposta che ‘Nuk e di‘ (‘non lo so’). Segno che anche lui, come tanti altri, perpetuava una situazione le cui informazioni erano esogene, senza una reale cognizione di sé e delle proprie potenzialità, ma anche della stessa situazione in cui si ritrovava a vivere (se non inquadrata all’interno di quello che una volta era un canone di comportamento, ma che oggi è solo giustificazione del sopruso del più forte sul più debole).

La costruzione della pace non è un atto creato in un singolo momento, ma – soprattutto grazie all’approccio di gruppo e al conseguente scambio di informazioni non da “uno a molti” ma da “molti a molti” – è un processo che va sostenuto in diversi ambiti: dal fornire informazioni all’aiutare le persone nel processo informativo; dal miglioramento delle capacità decisionali alla riduzione delle carenze, dal sostenere le relazioni ad aiutare le persone a comprendersi maggiormente.

E’ così che, attraverso le attività già descritte dai miei compagni (teatro, flash mob, e futuro Gruppo Studio), abbiamo creato dei percorsi di crescita in primis individuale: così, le prove dello spettacolo teatrale facevano da sfondo ad uno scambio di informazioni e conoscenza non solo tra pari (adolescenti albanesi), ma anche con noi volontari. Ci si confrontava, si discuteva e si apprendeva l’utilizzo della parola per manifestare le singole necessità. E’ stato evidente come il processo innescato dalle prove teatrali sia maturato in una più profonda capacità di auto-analisi, di conoscenza di sé e di manifestazione delle proprie situazioni, idee, problematiche e dubbi.

Attraverso l’uso delle arti, abbiamo tutti effettuato un percorso individuale e di gruppo, orizzontale e partecipativo, “loro con noi” e “noi con loro”, volto al riconoscimento della propria condizione, alla capacità di volerlo descrivere e alla manifestazione (creando così informazione diretta) della propria situazione – con l’obiettivo finale di cambiarla. A seguito delle speranze lasciate dall’attività teatrale, abbiamo deciso di non fermarci e gli AdP hanno impostato un lungo lavoro di preparazione ed esecuzione del flash mob contro le vendette di sangue che – al di là del successo di ‘pubblico’ (share) ottenuto – ha permesso ai ragazzi, sotto-vendetta e non, di maturare ulteriormente la loro ingiusta condizione e di manifestarla in diverse città albanesi.

Dal primo livello (quello inter-personale), siamo passati poi al secondo più ampio e generale: il livello geografico, con riferimento sia all’Albania (in particolare nell’area settentrionale) sia all’Italia. Una volta ri-conosciuti i particolari desideri e necessità delle famiglie, ci siamo posti in una posizione che permettesse di fare da tramite tra loro e le istituzioni locali ed internazionali, esplicitandone i bisogni, collegandone i bisogni con le istituzioni locali, ed individuando i bisogni condivisi. Com’è tipico di chi vive della condizione di vittima, i sentimenti predominanti sono quello dell’esclusione e dell’isolamento. Parte importante dell’attività di ricerca-azione in loco era costituita dal ribaltamento di questa condizione attraverso la condivisione con l’esterno, nel rispetto della privacy e della fiducia guadagnata, delle realtà che vivono le famiglie. Le modalità di trasmissione, come precedentemente descritte, è andata dall’impostazione di una tavola rotonda con le associazioni locali impegnate sul tema all’organizzazione di impegni fissi quali manifestazioni e momenti di sensibilizzazione. Con esse, abbiamo avuto modo di informare un numero sempre più alto di persone sulla reale condizione delle famiglie e l’insensatezza di un fenomeno che non va a detrimento delle sole persone direttamente coinvolte nelle faide, ma del paese intero. Allo stesso modo, in Italia (consapevoli che le notizie provenienti dall’Italia e riguardanti l’Albania, hanno una eco molto forte oltremare), abbiamo incontrato istituzioni, giornalisti, altri volontari, albanesi e persone semplicemente interessate all’esperienza ed abbiamo scritto articoli che descrivevano la nostra esperienza e ospitati dal sito ‘Antenne di Pace’. Ma il grande lavoro che ci tengo a sottolineare è quello di ricerca sul fenomeno presentato al Comitato Scientifico del ‘Centro Pace Diritti Umani’ dell’Università di Padova. Una parte importante della nostra capacità di informare e di essere informati si concretizzerà nel rapporto che verrà pubblicato e poi diffuso, speriamo non solo in Italia, ma anche in Albania ed in ogni contesto si voglia avere conoscenza sia del fenomeno della vendetta sia dello strumento dei corpi civili di pace.

Conclusioni: Pace ed Informazione

La nonviolenza attiva si pone come obiettivo concreto quello di trasformazione della società, persuadendo alla convivenza pacifica. Per fare questo ci vuole una grande dose di condivisione e di trasparenza, di essere sé stessi, di apertura, e di messa a disposizione delle proprie capacità. Non è un attività mono-direzionale (da operatore a beneficiario), ma anzi ribalta il classico flusso di conoscenza, portando l’operatore, mettendosi nei panni altrui ed accompagnando il beneficiario nei processi di scelta, ad imparare ed apprendere la realtà ed il contesto in cui sta vivendo.

 E’ un programma molto lungo di ristrutturazione dei confini sociali, ma i cui risultati sono già in parte verificabili attraverso le differenze che si denotano tra le famiglie il cui rapporto con noi è più o meno lungo o se il rapporto di fiducia è più o meno alto. Vedere dopo solo 10 mesi di permanenza che una donna sotto-vendetta esce di casa per andare a manifestare e a protestare sulle politiche di assegnazione delle case popolari, che prende parola nell’ambiente domestico (non lasciando il palcoscenico solo al marito), e vedere uno dei suoi figli che, senza alcuna remora o vergogna, decide di rilasciare un’intervista ad una giornalista in cui spiega le difficoltà determinate dalla condizione di auto-reclusione sono tutti aspetti di questa percorso di presa di coscienza, di manifestazione, di informazione e – soprattutto – di lotta.

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