Le giornate trascorrono scandite dal ritmo della pioggia nel villaggio di Matembwe. Di solito la stagione delle piogge dura fino ad aprile ed arricchisce il paesaggio con una folta vegetazione. Chi si immagina l’Africa con vasti deserti e clima arido, infatti, sbaglia: l’Altopiano di Matembwe è una distesa di foreste di pini e coltivazioni di tè con foglie verde smeraldo. Ogni mattina percorro le strade rosse e polverose per andare in ufficio. Spero sempre che nessuna ruota si buchi sulle vie sterrate e impervie mentre sono da sola: non ho ancora imparato bene a cambiarle! Lungo la strada incontro uomini e donne che vanno nei campi e i bambini che vanno a scuola. Spesso devono fare molti chilometri a piedi per arrivarci e le condizioni meteo non sono le migliori. Nonostante sia qui da 5 mesi, la gente mi guarda ancora con stupore: sono l’unica bianca del villaggio e probabilmente anche dei villaggi limitrofi. Gli adulti mi salutano con grandi sorrisi, mentre i bambini mi guardano divertiti urlando “mzungu, mzungu!” che in swahili significa “bianco”.
Qui la gente si sposta poco e non è abituata ad approcciarsi ad etnie diverse. I bambini più piccoli – che non hanno mai avuto occasione di vedere un europeo – a volte vedendomi scappano straniti, oppure si avvicinano incuriositi toccandomi la pelle. Comunque, vedere una donna, bianca, che guida una macchina, crea sempre scalpore e divertimento.
Spesso mi capita di passeggiare per le vie del villaggio e scambiare qualche parola in swahili. Le persone ci sono molto riconoscenti: tutti conoscono CEFA perchè ha portato la luce, la speranza dove prima c’era il buio. Alcune sere ci sono dei temporali molto forti e capita che salti la corrente in tutto il vilaggio, anche fino al mattino dopo. Il senso di disorientamento è molto forte. Le strade non sono illuminate e nelle case non arriva nemmeno un minimo spiraglio. Avete mai sperimentato il buio vero? Quello in cui non sai dove ti trovi? Anche le minime azioni – come spostarsi da una stanza all’altra – diventano un’impresa. Mi chiedo spesso come la gente facesse a vivere prima dell’arrivo della corrente. È incredibile come cose che altrove diamo per scontate – come accendere un interruttore – qui abbiano scatenato una grande rivoluzione.
Un tempo Matembwe era considerato un posto isolato, quasi selvaggio: ora invece è un paese vivo, allegro. Il vociare della gente e la musica colorano le strade e le bancarelle fino a tardi. L’arrivo della corrente ha creato innumerevoli benefici. I bambini – che la sera ritornano dai campi dopo aver aiutato i genitori – riescono a studiare fino a tardi e a superare gli esami, le donne che prima erano casalinghe hanno messo in piedi la propria attività e i dispensari – che fungono da veri e propri ospedali – garantiscono il servizio 24 h su 24.
Capita ogni tanto che le persone mi chiedano come possa resistere da sola alla vita di villaggio. È vero, non ci sono molti svaghi. La sera spesso il rumore dei pensieri si fa assordante. Eppure, quando scorgo il vento che culla i rami tra le piante di eucalipto al tramonto, trovo un senso di pace che non ho mai trovato da nessuna altra parte. Stare davanti al camino acceso mi riporta ad un senso di calore e familiarità. In fin dei conti, tutto diventa un piccolo sacrificio di fronte a qualcosa di ben più grande. Pensare di poter dare il mio piccolissimo contributo ad un progetto che ha migliorato la vita di cosÍ tante persone non puó che essere per me un grande privilegio, oltre ad una fonte di insegnamento che mi accompagnerà per tutta la vita.
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