“Mentre vedeva l’inchiostro blu rimanere sulla carta ad annotare l’orrore di un nome da ospedale e la prosa di un arido indirizzo, si ricordò di come
qualsiasi incantesimo sia fragile oltre ogni dire, e velocissima la vita nel suo rapinare”
Mr. Gwyn – Alessandro Baricco
Il 14 giugno una diciassettenne di nome Marie e suo zio Kol sono stati assassinati mentre lavoravano la terra davanti a casa loro.
I due sono stati puniti per aver commesso un reato gravissimo: essere parenti di un uomo che due anni fa ha ucciso un altro uomo. Come se le parentele si potessero scegliere.
È passata una settimana da quel giorno e non è stata una settimana semplice.
Abbiamo cercato di condividere con la famiglia colpita dal lutto i momenti più difficili, caricandoci di un po’ del loro dolore in modo da rendere le loro spalle più leggere.
Ci siamo stati dal primo momento: la prima chiamata è arrivata mentre stavamo tranquillamente guardando la partita Italia-Croazia e venti minuti dopo eravamo di fronte all’obitorio.
Abbiamo stretto le mani degli uomini durante il funerale e abbracciato le donne.
Dal primo minuto il nostro obiettivo è stato non lasciare la famiglia sola, poiché la solitudine e l’isolamento aumentano la rabbia e la rabbia non può che far aumentare il desiderio di vendetta e così si alimenta un circolo vizioso e perverso.
Un segnale forte e deciso questa volta è arrivato, a sorpresa, anche dalla società civile.
Alcune organizzazioni di Tirana hanno deciso di organizzare una manifestazione per salutare Marie e dire “basta alla gjakmarrja”.
La manifestazione si è svolta nel centro della capitale alle 19.30 di mercoledì 20 giugno, gli appelli alla partecipazione sono stati diffusi principalmente utilizzando i canali dei social network e il passaparola.
Noi siamo arrivati puntuali ed è stata una piacevole sorpresa trovare la piazza piuttosto affollata di donne e uomini, vecchi e giovani.
La manifestazione ha avuto inizio con un discorso che ha sottolineato quanto questo omicidio sia avvenuto fuori da ogni regola sociale, morale, statale e persino al di fuori del kanun che infatti prescrive che la vendetta non possa essere commessa all’interno della “casa” e non debba colpire persone minorenni ne tantomeno donne.
Si è ricordato quanto la condizione di auto reclusione che si viene a creare a causa della gjakmarrja sia la causa della violazione di numerosi diritti umani, come la negazione del diritto all’istruzione per i bambini che vivono in una famiglia sotto vendetta.
La società civile è stata incitata a farsi sentire, ad aprire gli occhi e a protestare in modo che lo Stato non possa più continuare a far finta che questo fenomeno cosi terribile non esista.
Dopo ciò tutti i partecipanti hanno ricordato Marie accendendo una candela e regalandole un fiore.
A questo punto ho scorso nella folla dei visi conosciuti, già visti.
Erano le sorelle di Marie ed alcuni parenti, tutti visibilmente commossi.
Un pensiero di gioia mi ha attraversato la mente spazzando via per un attimo dolore e confusione: la loro presenza lì in quel momento è stato un segnale di cambiamento che non può passare inosservato e soprattutto è la speranza che questa volta non sia la vendetta ma la riconciliazione a prevalere.
Una sintesi dall’accaduto dal comunicato stampa di Operazione Colomba
Giovedì 14 giugno, nel primo pomeriggio due persone armate hanno aperto il fuoco su Kol e Marije Qukaj.
Marje di 17 anni è morta sul colpo mentre il nonno Kol di 70 anni è morto durante il trasporto in ospedale.
I due stavano lavorando in un campo nei pressi della loro abitazione nel villaggio di Kir, regione montuosa di Dukagjin, nel nord dell’Albania.
Il movente del duplice omicidio è da imputarsi a fatti di “vendetta di sangue” e legato ad un precedente omicidio.
Due anni fa, l’8 luglio 2010, nello stesso villaggio è stato ucciso con colpi di arma da fuoco il 60enne Ndoc Dedë Voci ( Prroj), padre di 4 figli.
Per questo assassinio è attualmente in carcere un suo vicino, Gj. Qukaj, familiare di Kol e Marije Qukaj.
Pare che il motivo che ha scatenato questa faida sia legato all’utilizzo dell’acqua destinata all’irrigazione.
Le vendette di sangue si “regolano” sul Kanun, che è un Codice consuetudinario risalente al Medioevo e trasmesso oralmente per secoli in Albania; originariamente regolava la vita sociale, familiare e individuale di piccoli villaggi.
Oggi, nel nord dell’Albania, sopravvive una parte di questo codice (in forma degenerata) in cui si sancisce che l’onore perduto (a causa di una lite o per l’uccisione di un parente) deve essere pagato con il sangue, dunque con un altro omicidio.
Questo avvia faide senza fine che coinvolgono intere famiglie ma soprattutto bambini e ragazzi costretti a portare avanti la vendetta o a stare segregati in casa per paura di essere vittime di vendetta.
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