Promosso da Cesc Project, “Nyeupe na nyeusi – Il bianco e il nero” è il progetto a cui hanno partecipato Giuliana Balzano e Margot Bolognani. Il progetto si è realizzato in Tanzania, nella regione di Mbeya, precisamente nella città di Mbeya e nei villaggi di Mwabwowo, Mwashiwawala, Ikhoo, Itende e Itala.
Il contesto del conflitto
In Tanzania, la popolazione con albinismo ha una scarsa consapevolezza della propria condizione e spesso non riesce a comprendere questa condizione genetica. Ancora oggi, le famiglie nelle quali è presente almeno un individuo con albinismo, sono convinte che Dio abbia dato loro questa “penalità”. Quando vengono minacciate o chiamate con termini spiacevoli, le persone con albinismo non sentono la necessità di denunciare l’accaduto alla polizia o al capo villaggio, poiché ritengono che questo non possa servire a cambiare la situazione. Le denunce effettuate in seguito a tali episodi sono infatti minori rispetto alla reale portata del problema. In Tanzania le persone con albinismo sono chiamate in swahili zeruzeru (fantasma), dili (guadagno) o mzungu (europeo, persona dalla pelle bianca). Si tratta di termini offensivi, che testimoniano come a livello di linguaggio si sia depositato nella struttura culturale tanzaniana un forte stigma verso le persone con albinismo.
Un episodio dal campo
“Mzungu” è una parola che senti pronunciare almeno una decina di volte al giorno se sei un bianco che passa un periodo, breve o lungo che sia, della tua vita in Tanzania. È un’etichetta, un modo che hanno le persone di chiamarti per farsi qualche risata e, più semplicemente, perché sei il diversivo in queste loro giornate, che passano così monotone, così l’una uguale a quella precedente, con la consapevolezza che sarà identica a quella successiva. A volte fa un po’ innervosire sentirselo ripetere per la ventesima volta, ma poi ti rendi conto che quell’innocente “Mzungu” viene pronunciato da un bambino che sta tutto il giorno per strada con gli amichetti, da una mamma che sta almeno dieci ore al giorno nella sua bancarella a vendere frutta, da un bigliettaio del pullman che passa intere giornate a raccogliere centesimi per guadagnarsi un pasto, e allora ti fai due risate anche tu e lasci che il nervosismo scorra altrove, perché alla fine, un po’ diverso lo sei, ed è giusto così.
Nel villaggio di Itala, abbiamo incontrato il padre di un ragazzo con albinismo, che ha 23 anni e che in quel momento non era presente in quanto, come ci racconta il papà, sta a casa tutto il giorno e non fa nulla, proprio perché albino. Dobbiamo raccogliere i dati anagrafici delle persone con albinismo, e chiediamo a questo signore il nome di suo figlio. “Mzungu”. Questa è stata la risposta. C’è stato un momento di silenzio, che è sembrato durare un’eternità, in cui abbiamo sentito tutta la frustrazione che quel ragazzo ogni giorno deve provare. Chiediamo chi ha scelto quel nome, se lui o la moglie, e ci viene detto che quando è nato e hanno visto che era bianco hanno iniziato a chiamarlo “Mzungu”, e così poi tutti gli abitanti del villaggio, perciò il suo nome è rimasto tale. Mzungu Laurent è un ragazzo con albinismo di 23 anni, che è tanzaniano al centro per cento, che è nato in Tanzania, da genitori tanzaniani, vivendo e crescendo con cultura, lingua, religione, usi e costumi del suo paese natale. E lui non solo subisce le prese in giro di chi per strada lo chiama “Mzungu”, ma è consapevole che quello è il suo nome, il nome che i genitori che lo hanno messo al mondo hanno scelto per lui. Come può non sentirsi estraneo o inadatto in questa società? Il nome è ciò che crea la tua identità, e un bambino che cresce sentendosi dare del diverso, non può che sentirsi sbagliato.
Questo è stato il primo episodio che ci ha messe di fronte alla realtà: moltissime persone con albinismo e le loro famiglie non sanno assolutamente nulla dell’albinismo rispetto alla propria situazione e non hanno consapevolezza di sé.
Evoluzioni del conflitto
Facendo conoscere il progetto Nyeupe na Nyeusi nella regione si potrebbero creare delle collaborazioni tra gli uffici che devono aggiornare le liste di persone con albinismo presenti sul territorio di Mbeya. Utilizzare strumenti come brochure e volantini speriamo possa facilitare la spiegazione alle persone con albinismo rispetto alla propria situazione e al prendersi cura di sé. L’idea alla base è stata quella di instaurare un rapporto di fiducia con le persone albine e non e poter così comprendere il punto di vista delle persone albine e di coloro che lavorano o vivono a contatto con persone con albinismo. Queste sono le basi da cui partire per creare, insieme alle persone, un progetto.
Approfondimenti:
L’albinismo è una condizione genetica ereditaria che si manifesta con assenza o carenza di melanina nella pelle, nei capelli e negli occhi. Causa la vulnerabilità della pelle ai raggi del sole e la vulnerabilità degli occhi ad una forte luce. È stimato che in Nord America e in Europa una persona su 20.000 abitanti abbia una forma di albinismo. La condizione è prevalente nelle zone dell’Africa Subsahariana, con in media una persona con albinismo ogni 1.400 abitanti.
In Tanzania, su una popolazione di 57 milioni di abitanti, si contano circa 17.000 persone con albinismo. Nonostante non sia ancora stato condotto un censimento su scala nazionale, si ipotizza che la percentuale delle persone con albinismo sia di circa un individuo ogni 20mila. Il tema dell’albinismo è affrontato in Tanzania come sotto ambito della disabilità, nel quadro di un programma generale di azioni di contrasto alle discriminazioni, alle violenze e allo stigma. Questo per la forte percentuale di rischio di tumori della pelle e per la correlazione dell’albinismo con ipovisione e cecità.
Per saperne di più:
- United Nations
- Under The Same Sun ONG, Children with Albinism in Africa: Murder Mutilation and Violence. A report on Tanzania 2012
- Quotidiano privato Mwananchi
- Tanzania Albino Society
- Emergenza Covid19 in Tanzania
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