Bruno e Roberta hanno prestato servizio nel progetto “Sostegno alle popolazioni indigene del Perù nella gestione e prevenzione dei conflitti ambientali” con FOCSIV a Moyobamba e a Tarapoto, intervenendo nelle comunità indigene del distretto di Lamas e Chazuta.
Il contesto del conflitto
Nei distretti di Lamas e Chazuta, le comunità indigene sono minacciate da diversi attori, tanto privati (imprese estrattive, multinazionali specializzate nel settore dell’agricoltura intensiva) quanto statali. Nel secondo caso, infatti, è necessario sottolineare quanto lo stato non riconosca i territori e le autorità indigene, sia a livello di comunità che di federazione, e per questo ha creato aree di conservazione e parchi nazionali, aventi il fine di proteggere la biodiversità, senza consultare le comunità stesse (contravvenendo alla stessa legge statale peruviana della consulta previa). Come se non bastasse ha reso sempre più complicato e irrealizzabile la richiesta di “titolazione” delle terre da parte della comunità, ancora di più se con proprietà, impedendo così lo svolgimento delle attività necessarie al sostentamento, quali caccia, pesca, il taglio degli alberi necessario alle costruzione delle dimore e la raccolta di piante medicinali. Di fronte a questa situazione, le comunità indigene con il sostegno di alcune organizzazione internazionali non governative, tra cui il CAAAP (Centro Amazzonico di Antropologia e Applicazione pratica), cercano di organizzarsi da decenni per far valere il loro diritto alla terra e al rispetto delle regolamentazioni internazionali che li tutelano. La presenza dei tesori tanto agognati sia dallo stato che dai privati proprio all’interno dei territori ancestrali (quali risorse idriche, idrocarburi, legno) rende difficile alle comunità indigene l’essere rispettate e tutelate, poiché la loro ricchezza non è purtroppo compresa dal pensiero occidentale che pone al primo posto il profitto e il saccheggio, e che molto spesso, purtroppo, funge da specchietto per le allodole, portando ad una sempre maggiore perdita dell’identità e delle radici delle nuove generazioni. Dopotutto, si sa che un popolo senza radici è più facile da manipolare e controllare.
Un episodio dal campo
Callanayacu è una comunità indigena abbastanza isolata che è situata lungo il fiume Huallaga, ad alcune ore di barca dalla cittadina più vicina, Chazuta, il cui passato e presente è sempre stato caratterizzato da molta sofferenza e discriminazione. Il Bajo Huallaga di cui fa parte è un territorio che ha sofferto molto gli effetti del conflitto interno armato avvenuto tra gli anni 90-2000, e che allo stesso tempo è stato colpito duramente anche dalla costante presenza del narcotraffico. Abbandonato dallo stato, dalle ONG, i suoi abitanti sono discriminati fortemente anche dai cittadini di Chazuta. Altro fattore che ha complicato ulteriormente la situazione è stata l’istituzione nell’ultimo ventennio di due aree di conservazione (di cui una è un parco nazionale e l’altra regionale) che includono nella totalità i territori ancestrali delle comunità della zona, a cui però la commissione di gestione del parco ha vietato l’accesso e di sfruttare le risorse necessarie alla sussistenza (ad esempio di fornirsi del legname necessario, creare piccole aree agricole, cacciare). Per garantire l’esclusione delle comunità dal proprio territorio molto spesso rappresentanti della regione sono ricorsi perfino a minacce e azioni intimidatorie, come la distruzione di una canoa. Tutto ciò ha portato la comunità a riflettere effettivamente sugli svantaggi dell’essere considerati comunità indigena, invece che semplicemente “caserillo”, portando ad una spaccatura ed a un conflitto interno, caratterizzato da una parte della comunità che rinnega il proprio essere indigeno e di conseguenza non riconosce più le autorità che tradizionalmente la guidano. Facendo interviste, che avevano come finalità la comprensione dell’utilizzo da parte delle comunità del loro territorio, ci ha colpito ad esempio quanto affermato da uno degli anziani della comunità, Rafael: “ l’indio non ha diritti da parte del governo, perché perde, perde tutto. L’indio non ha diritto alla tecnologia, perché non pensa, il suo cervello non gli permette di pensare. Sono pessimi. È un mondo che è alla deriva. Uno lotta ma non riesce nulla, non si sviluppa niente”. L’autodenigrazione che emerge da queste parole è purtroppo un’agghiacciante dimostrazione del prodotto della discriminazione, delle violenze subite e della mancanza di unità e cooperazione all’interno della comunità, che è stata introiettata e rielaborata in odio contro sé stessi dagli abitanti delle comunità. Le comunità indigene, la loro cultura, la loro lingua, la loro vita è inscindibile dal territorio che abitano. Se gli viene negato, si potrà incentivare la cooperazione, i fondi, i progetti, ma ormai sarà troppo tardi e la cultura sarà immancabilmente cambiata. Vi è bisogno di azioni che li portino a valutare nuovamente la loro cultura e le loro conoscenze come ricchezza e non come fardello, vi è bisogno di azioni che gli permettano di sentire che non sono soli, ma che hanno un appoggio (seppure esterno) che li sostiene di fronte a tanto razzismo e discriminazione.
Evoluzione del conflitto
Questi processi non sono brevi come si potrebbe pensare, ed è per questo motivo che è difficile scorgere le evoluzioni e anche i piccoli risultati che avvengono a favore delle comunità. Da un lato, le comunità tendono ad essere sempre più organizzate e a collaborare sempre di più tra di loro e con altre organizzazioni rispetto al passato. Ma dell’altro lato, aumentano anche le pressioni per le risorse presenti nel loro territorio da parte dello stato e delle imprese, portando discriminazione, minacce – fisiche oltre che verbali – e meccanismi di corruzione che possono minare l’unità tra comunità tanto agognata. Guardando alle comunità si potrebbe dire che la situazione sta migliorando, essendo queste sempre più organizzate, coscienti dei rischi che corrono e della poca trasparenza da parte di imprese e stato, così come dell’importanza che ha lottare per i propri diritti. I risultati, però, dicono altro: i successi vissuti dalle comunità rispetto alla situazione potrebbero essere considerati critici per vari motivi. La perdita dell’identità culturale, il numero sempre minore di giovani che parlano le lingue indigene così come la progressiva perdita delle conoscenze legate al territorio, la presenza costante di imprese estrattive nazionali ed internazionali hanno portato a conseguenze preoccupanti, ovvero la negazione da parte di alcune comunità della propria appartenenza indigena, essendo questa vissuta come fonte di discriminazione e priva di vantaggio alcuno.
Per saperne di più:
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