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Caschi Bianchi Zambia

Uno stare ancor prima che un fare

La testimonianza di Rosa sul suo anno di Servizio Civile in Zambia: un’esperienza che rende più consapevoli.

Scritto da Rosa Spalatro, CB Apg23 a Ndola

Prima di sedermi e dare il via ai racconti ho girato un po’ per casa, titubante, un po’ agitata. “Ed ora da dove parto? Riuscirò a rendere l’idea di cosa vuol dire scegliere, per un anno, il servizio civile? Riuscirò a trasmettere, anche solo in parte, il bagaglio esperienziale che sta qua, sulle mie spalle e dentro la mia coscienza!?”

Il servizio civile è un’esperienza, prima di tutto per te stesso!

È questo che leggevo, che mi sentivo dire prima di partire ma non è stato così facile e immediato rendermi conto di quanto fosse vero. Arrivo in Zambia e mi trovo immersa nella realtà della casa famiglia, nella quale avrei vissuto per poco meno di 10 mesi. Nei giorni a seguire il nostro arrivo i referenti della Comunità Papa Giovanni XXIII, l’associazione a cui decisi di fare richiesta, ci mostrarono tutti i progetti della comunità in loco e dopo qualche giorno ecco che mi ritrovo immersa nelle realtà che avrebbero interessato il mio servizio.

Supporto alle attività scolastiche, didattiche e ludiche delle “special unit”, unità speciali (nel senso più profondo) frequentate da bambini e ragazzi di età e disabilità diverse che frequentano classi separate poiché impensabile l’integrazione in classi già di per se super affollate.

“Ed Emmanuel cosa ci fa qui?”

Un ragazzino di 15 anni inserito in questo contesto a causa del suo deficit nell’attenzione che però non poteva essere gestito da una maestra di una classe “normale” impegnata già nella gestione di 40, 50 e a volte anche 60 bambini.

“Ma Frederick perché non è mai andato a scuola e lo fa per la prima volta ora, a 18 anni?”

Raccolta delle informazioni e scrittura dei report per i bambini adottati a distanza. Dietro a questa riga ci sono persone, ragazzi, bambini, famiglie supportate a distanza, ci sono difficoltà, progetti, sogni, a volte rinunce scolastiche, ci sono bambini ancora in pancia o legati dietro la schiena, ci sono volti, sorrisi (e anche no), ci sono case, odori, ci sono persone che ti regalano un pezzo di loro!

I primi mesi li passi a farti mille domande senza neanche una risposta “Ma cosa ci faccio qui? Non cambierò certo le cose e allora ha senso vivere tutte queste contraddizioni (spesso davvero frustanti)? Ritrovarsi in un contesto fisico e culturale che forse non basterebbe una vita per comprendere?

È proprio qui che comprendo la frase che all’inizio mi sentivo ripetere dai volontari rientrati, il servizio civile è in primis un’esperienza per te!

Si è vero che fai la scelta di essere al servizio dell’Altro per un anno ma questo non presuppone solo un fare ma soprattutto uno stare, uno stare in contesti ai quali magari non ti saresti mai avvicinato o comunque non lo avresti scelto per così tanto tempo, uno stare con un Altro che in quanto Altro ha esperienze, sogni e aspirazioni  forse diversi dai tuoi e allora perché non ascoltarlo? Uno stare in silenzio, semplicemente a guardare, uno stare sospendendo il giudizio, uno stare che porta consapevolezza ed in una società in cui se sei ignorante è più comodo io vi dico:

SIATE CONSAPEVOLI!

Rosa,
una ragazza che si sente un po’ più consapevole
e quindi molto fortunata

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