A partire dalla legge di stabilità del 2014 si istituisce in Italia, in via sperimentale, il contingente dei Corpi Civili di Pace (CCP): una vera novità nel panorama europeo e mondiale. Tale modello ha come obiettivo la ricerca di soluzioni alternative all’uso della forza militare attraverso l’impiego di giovani volontari in azioni di pace in aree di conflitto, a rischio di conflitto o in emergenza ambientale. La sperimentazione viene suddivisa in tre annualità, con tre diversi contingenti formati da circa 150 volontari ognuno, scelti dalle diverse organizzazioni non governative (ONG) italiane titolari dei progetti approvati dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale. Come sottolineato da Marco Mascia e Antonio Papisca del Centro Diritti Umani di Padova, l’istituzione dei CCP potrebbe avere un significativo impatto nella politica estera italiana, orientando il paese verso quella che i due accademici definiscono una “neutralità attiva” nei tentativi di costruzione della pace all’estero. Infatti, attraverso il coinvolgimento diretto delle organizzazioni della società civile nei processi di trasformazione dei conflitti, il peacebuilding italiano acquisisce un nuovo significato, aprendo a una moltitudine di attori una realtà storicamente riservata alla diplomazia e alle Forze Armate.
Nel 2019, per il secondo anno di operazioni, i progetti CCP hanno mobilitato volontari diretti in Italia, America Latina, Africa ed Europa dell’Est. Tra i principali progetti approvati, per l’importanza del contesto di peacebuilding, merita considerazione quello dell’ONG “Progetto Domani: Cultura e Solidarietà” (PRO.DO.C.S.) che ha portato due giovani italiani al centro del processo di costruzione della pace in Colombia. In collaborazione con Fundación Salva Terra, ONG colombiana che si occupa principalmente di sviluppo rurale e sicurezza alimentare per comunità vulnerabili, i due volontari sono stati inseriti in una serie di progetti volti a consolidare la riconciliazione politica e la “reincorporazione” socio-economica – un tipo specifico di reintegrazione, implementata secondo l’accordo di pace colombiano* – sia delle vittime del conflitto civile che degli ex-combattenti delle Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo (FARC-EP), il principale gruppo guerrigliero del paese, attivo sin dal 1964.
In particolare, i volontari hanno partecipato a due iniziative, entrambe a carattere produttivo, ma rivolte a due categorie sociali differenti, protagoniste della ricostruzione post-conflitto. La prima ha visto la creazione di 13 orti urbani biologici, gestiti in modo comunitario, nella città di Medellín. I beneficiari di tale progetto, attivo sin dal 2013, sono più di 100 famiglie, la maggior parte delle quali riconosciute come vittime del conflitto armato colombiano per aver subito violenze fisiche o psicologiche o per essere state identificate come Internally Displaced Persons (IDPs). Scopo dell’iniziativa è garantire la sicurezza alimentare di tali famiglie, attraverso l’autoconsumo dei prodotti degli orti e la generazione di reddito tramite la loro vendita al dettaglio. La seconda iniziativa, invece, è molto più recente e si sviluppa a Llano Grande (Dabeiba, Antioquia) uno dei 24 spazi territoriali di addestramento e reincorporazione (Espacios Territoriales de Capcitación y Reincorporación, ETCR) per ex-combattenti FARC-EP. La particolarità giuridica di questi territori trova origine nell’Accordo finale per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura firmato a Cuba nell’agosto 2016 tra i leader delle FARC-EP e il governo colombiano, allora presieduto da Juan Manuel Santos. Gli ETCR nascono sì come spazi territoriali per il disarmo e la smobilitazione, ma anche come siti per favorire un’attenzione immediata agli ex-guerriglieri in materia di reinserimento pacifico nella società. Quest’ultimo obiettivo si è concretizzato attraverso diverse iniziative parallele (come assistenza psicosociale e sanitaria, accompagnamento burocratico per il passaggio alla legalità istituzionale, promozione di corsi scolastici e di formazione) e in particolare grazie all’attivazione di progetti produttivi, sotto la supervisione di vari enti – pubblici e privati – e della Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia (UN Verification Mission in Colombia, UNVMC). Queste aree si sono perciò configurate come spazi privilegiati per la riconciliazione politica e sociale, lo sviluppo economico e il rafforzamento del tessuto comunitario e territoriale del post-conflitto colombiano, nella persecuzione dell’obiettivo comune che il Governo Santos e le FARC-EP si erano prefissati: convertire questi luoghi in laboratori di pace. Gli ETCR si sono inoltre qualificati per il loro approccio innovativo, non più individuale ma collettivo.
Dal punto di vista politico-sociale il lavoro si è svolto su più fronti. Nel campo della riconciliazione, ad esempio, i leader delle FARC-EP, con il sostegno delle Nazioni Unite, hanno assunto il compito di creare spazi pubblici e privati per chiedere perdono alle comunità colpite dalla guerra, promuovendo non solo atti di riconoscimento della responsabilità collettiva, ma anche azioni concrete per contribuire alle riparazioni. Il tutto nel quadro di uno sforzo più ampio per allargare le possibilità di partecipazione, di democrazia locale e di avvicinamento alle comunità circostanti, anche attraverso la promozione di attività accademiche e culturali congiunte. Nonostante le condizioni precarie che caratterizzano la maggior parte di questi luoghi (servizi pubblici minimi, istruzione precaria, sistema sanitario quasi inesistente, scarsa edilizia urbana e mancanza di infrastrutture basilari) le analisi più recenti concordano sul fatto che la maggioranza degli abitanti degli ETCR vorrebbero rimanere a vivere in questi territori e proseguire i loro progetti produttivi e comunitari, che rappresentano oggi le loro principali forme di sostentamento. Lo scopo di tali iniziative è infatti quello di generare alternative produttive volte al consolidamento di fonti di reddito sostenibili a medio e lungo termine e nel quadro della legalità.
La chiave per il successo degli ECTR sta sia nel supporto dato dalle organizzazioni nazionali e internazionali, pubbliche e private, sia nella forte volontà degli ex-guerriglieri di reincorporarsi e di scommettere sulla pace. Le varie agenzie del sistema delle Nazioni Unite (tra cui UNHCR, FAO e UNDP) e le altre organizzazioni internazionali hanno giocato un ruolo di primo piano, ma sono stati i partenariati pubblico-privati tra il settore imprenditoriale colombiano e le istituzioni nazionali e internazionali a rafforzare il consolidamento del progetto. Gli ECTR continuano a esistere, nonostante essi abbiano perso il loro status giuridico speciale ad agosto 2019. La domanda è se il governo riuscirà a garantire continuità e, nel caso questa sia confermata, come li reintegrerà nel territorio dal punto di vista amministrativo. A questo proposito, è utile guardare più nel dettaglio al caso dell’ECTR di Llano Grande. Nell’area di Llano Grande, nel dipartimento di Antioquia, un totale di 30 famiglie, la maggior parte delle quali formate da membri delle FARC-EP, hanno abitato questa zona durante il conflitto armato. Oggi, invece, a seguito dei processi di smistamento e reintegrazione degli ex-combattenti che hanno fatto seguito all’Accordo finale, più di 200 famiglie vivono nell’ETCR.
Llano Grande rappresenta uno spazio di reinserimento sociale che ha visto l’attuazione di varie iniziative, una delle quali sarà implementata grazie al sostegno di Salva Terra e ai volontari italiani dei CCP. Questi, insieme ad altre imprese e fondazioni colombiane, hanno provveduto all’acquisto di un terreno da affidare, tramite un usufrutto di dieci anni, ai 185 ex-membri delle FARC-EP stanziati a Llano Grande al fine di strutturare un nuovo progetto produttivo per consolidare il loro reinserimento economico nella società. Il progetto si sviluppa su un sito di 270 ettari così suddiviso: il 70 per cento della proprietà sarà utilizzato per varie iniziative comunitarie di produzione agricola, con il sostegno tecnico, amministrativo e commerciale di Salva Terra e dei volontari CCP, mentre il restante 30 per cento verrà utilizzato a fini di conservazione della biodiversità. L’originalità del progetto di Salva Terra sta dunque nell’ampio quadro di reincorporazione degli ex-combattenti attraverso un modello economico che unisce il reinserimento sociale, la riconciliazione politica, la generazione di reddito e l’ecosostenibilità.
Secondo gli accordi stipulati tra Governo e FARC-EP, dopo la scadenza dello status giuridico degli ETCR nel 2019, lo stato colombiano non ha più l’obbligo investire per la promozione di progetti produttivi in tali territori. Nel caso di Llano Grande, però, è interessante notare come, oltre che dalle imprese statali colombiane (come l’Agenzia per la Reincorporazione e la Normalizzazione, che si occupa del reinserimento sociale degli ex-combattenti) e dalle agenzie internazionali, il progetto sia stato supportato tramite investimenti privati di imprese, fondazioni e ONG. In questo senso, le imprese private e le ONG non si sono limitate, come accade nella maggior parte dei casi, a implementare o co-finanziare un progetto per aderire a una politica statale (in questo caso quella della reincorporazione socioeconomica degli ex combattenti), ma si sono – almeno in parte – sostituite allo stato, assumendo il ruolo di principali finanziatori dei progetti. Data l’assenza di precedenti simili nel campo della reincorporazione di ex-combattenti, l’eventuale successo di questo progetto potrebbe configurarlo come un esempio da replicare anche in altri contesti post-conflitto.
Riprendendo una definizione già adoperata per il settore delle operazioni militari internazionali, la pace colombiana viene dunque in un certo senso “privatizzata” perché a essere privatizzato è il processo per raggiungerla e tutte quelle politiche atte a consolidarlo. La riconciliazione politica e la reincorporazione socio-economica non vengono perciò a definirsi come prerogative esclusive dello stato, ma, al contrario, vengono esternalizzate e rese maggiormente inclusive grazie alla partecipazione di enti non governativi e/o privati, non solo a livello esecutivo, ma anche progettuale e finanziario.
L’Italia, dal canto suo, si è inserita in tale processo in modo indiretto, attraverso l’invio di civili. Nonostante il suo ruolo non possa essere definito preminente, in quanto assente in ambito decisionale, la sua partecipazione si è concretizzata su altri livelli. I volontari italiani, presentati come parte del contingente dei CCP, hanno infatti avuto contatto diretto con i beneficiari del progetto, generando un impatto che può essere valutato positivamente non solo per la riuscita operativa del progetto, ma anche in più ampi termini di “soft power”. La presenza di giovani volontari italiani sul campo ha finito per destare molta curiosità tra le persone partecipanti all’iniziativa, determinando l’istaurarsi di rapporti interpersonali di confidenza e fiducia. Come affermato da Veron e Sherriff in questo numero di Human Security, è il particolare sistema di governance dell’iniziativa, in questo caso creato anche grazie alla collaborazione tra Salva Terra (l’ONG colombiana) e PRO.DO.C.S., (l’ONG italiana) che influisce positivamente sullo sforzo di sostegno alla pace italiano. L’efficacia e l’originalità di questo approccio stanno quindi non solo nel suo più ampio quadro di svolgimento, ma nella sua orizzontalità: un progetto sviluppato dal basso per il basso, tra organizzazioni della società civile appartenenti a due paesi distinti ma impegnate in un processo congiunto di costruzione della pace.
*Articolo scritto per il dodicesimo numero di Human Security, rivista trimestrale edita da T.wai : LEGGI QUI
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