Toribìo è un municipio rurale della Cordillera Centrale, costituito da tre resguardos indigenas (territori indigeni con un sistema normativo proprio, riconosciuto dallo Stato) dove più del 90% della popolazione appartiene al popolo Nasa. È in mezzo a queste montagne che, fino a poche settimane fa, abbiamo svolto il nostro servizio come Corpi Civili di Pace, prima che l’emergenza Covid-19 ci costringesse a rimpatriare.
Subito dopo l’esplosione della crisi, mentre il virus si stava già diffondendo rapidamente in Italia ed eravamo bombardate dai racconti allarmanti di parenti e amici in isolamento, tutto questo sembrava lontanissimo da Toribìo. Poi, nel giro di qualche giorno, il panorama è cambiato: i primi contagi a Bogotà, poi a Cali e sempre più vicini, la chiusura delle frontiere nazionali, i nostri voli più volte cancellati e, infine, la dichiarazione ufficiale dello stato d’emergenza nazionale. Così, dopo la nostra breve esperienza interrotta da una pandemia globale, abbiamo deciso di raccontare, anche se ormai da lontano, come la comunità Nasa sta affrontando l’emergenza Coronavirus.
Il 17 marzo il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca (CRIC) ha pubblicato una risoluzione in cui si elencavano le prime direttive per la prevenzione e la gestione del virus. Oltre alle misure attive su tutto il territorio nazionale rispetto alla limitazione degli spostamenti fuori casa e il protocollo sanitario da seguire per i casi di sospetto contagio, le autorità indigene hanno stabilito la chiusura di tutte le vie di entrata ai territori ancestrali, costituendo 387 punti di controllo in cui la Guardia Indigena impedisce l’entrata di chiunque sia esterno al territorio.
Inoltre si stanno svolgendo attività di prevenzione in collaborazione con operatori del sistema sanitario, indicando alla popolazione i corretti comportamenti da seguire, disinfettando l’aria e gli stessi comuneros con piante medicinali e compiendo rituali di “armonizzazione” con l’accompagnamento dei The wala (guide spirituali che attraverso la conoscenza degli spiriti della natura mantengono l’equilibrio corpo-spirito e l’armonia comunitaria).
L’autonomia nel controllo territoriale di cui dispongono le comunità ha evitato, attraverso la Guardia Indigena, la militarizzazione del loro territorio da parte dell’esercito nazionale – di cui invece si fa uso nel resto del Paese per la gestione dell’emergenza. Purtroppo, l’incremento dei posti di blocco da parte della Guardia Indigena, che da sempre si occupa di contrastare l’azione degli attori armati e il narcotraffico legato ai cultivos ilicitos (coltivazioni illegali) di coca e marijuana, ha scatenato reazioni ancora più violente da parte dei gruppi armati: questi, approfittando della situazione, nelle ultime settimane hanno perpetrato gli hostigamientos (attacchi armati) contro la polizia e hanno attentato alla vita del coordinatore della Guardia Indigena del Nord del Cauca.
Per affrontare i cambiamenti e le problematiche legate all’isolamento e prevenire la diffusione del virus, tutta la comunità si è orientata verso il rafforzamento e il recupero delle pratiche culturali ancestrali.
Al fine di sopperire alla chiusura degli istituti educativi – vista anche l’impossibilità di proseguire virtualmente con i piani didattici a causa della mancanza di mezzi idonei – si è invitata la comunità a potenziare il ruolo pedagogico tradizionale della famiglia, della tulpa (luogo in cui famiglia e comunità, intorno al fuoco, dialogano, prendono decisioni e costruiscono il sapere) e dell’orto familiare per la trasmissione del sapere legato alla natura, alla spiritualità e alla cultura propria.
Il sistema di sanità pubblica, il sistema di salute autonomo indigeno e i medici tradizionali stanno lavorando insieme e capillarmente sul territorio, sfruttando tutti i mezzi di comunicazione a disposizione. Per fortificare le difese immunitarie dei comuneros, i medici tradizionali di tutte le comunità indigene appartenenti al CRIC (Consiglio regionale del Cauca) si sono riuniti per decidere come guidarle e proteggerle, dando informazioni sulle piante medicinali ed effettuando rituali di armonizzazione e protezione collettivi.
Per sopperire alle restrizioni sull’entrata di alimenti di importazione, si è cercato di orientare la comunità verso il consolidamento dell’autonomia alimentare grazie al tul (sistema di produzione agro-ecologica familiare basato sui principi di autosufficienza e cooperazione comunitaria) e al baratto di prodotti tra le famiglie, recuperando così il mercato locale e le forme di mutualismo tradizionali.
A differenza delle città, in cui si stanno riscontrando problemi legati alla scarsità di acqua e alimenti, le zone rurali come Toribìo sono avvantaggiate dall’attività agricola già presente nel territorio. Tuttavia anche lì inizia a pesare l’innalzamento dei prezzi, soprattutto dei prodotti industriali e di quelli necessari all’agricoltura.
Molti, soprattutto gli anziani, ritengono che la perdita dell’autonomia alimentare, delle pratiche culturali legate all’alimentazione con prodotti nativi, della conoscenza della medicina tradizionale e della spiritualità abbiano reso la comunità più vulnerabile al virus.
Inoltre, si sta fortemente criticando la gestione della crisi a livello nazionale: le misure preventive adottate dimostrano un totale disconoscimento della concreta realtà di milioni di colombiani che non possono permettersi il lusso dell’isolamento. Un esempio lampante sono le zone rurali come Toribìo, dove non sono mai arrivati gli aiuti promessi dal governo nazionale per far fronte alla scarsità e all’aumento dei prezzi di alcuni beni.
Al contrario, lo stato d’emergenza è stato sfruttato dal governo per scavalcare il diritto delle comunità indigene alla consultazione previa e si è attinto alle risorse del fondo pensioni, ai prestiti internazionali e al bilancio nazionale per finanziare aiuti che, ancora dopo settimane, non arrivano.
Il sistema di salute non è pronto a sopportare l’esplosione del virus in queste comunità, la Guardia Indigena e il personale sanitario sono privi dei necessari dispositivi di prevenzione (mascherine, guanti ecc.).
E c’è anche chi si rifiuta di sottostare all’isolamento volontario, come i liberadores/as del Processo di Liberaciòn de la Madre Tierra (movimento di resistenza delle comunità Nasa del Nord del Cauca per liberare e riconvertire, attraverso l’occupazione, le terre coltivate da multinazionali della canna da zucchero, di cui rivendicano il possesso in quanto territori ancestrali e la cui gestione collettiva è basata su pratiche agricole eco-sostenibili). Per costoro, abbandonare i campi vorrebbe dire perdere anni di lotte grazie alle quali si sono occupati e recuperati terreni in mano alle multinazionali dell’agroindustria (che, peraltro, sono tra i soggetti non toccati dalle misure preventive, libere di far lavorare i propri dipendenti non dotati di dispositivi di prevenzione).
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