Adolfo Pérez Esquivel, Argentino, fu il vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 1980. A partire dal 1974 aveva abbandonato il suo lavoro come professore d’architettura per dedicarsi alla realizzazione e coordinazione di attività ed eventi pacifisti fondando il “Servicio de Paz y Justicia”. La sua azione si svolse in tutti i paesi dell’America Latina soggetti a regimi militari, ma dal 1976, con l’avvento del generale Videla, si indirizzò soprattutto in Argentina, attraverso una costante campagna per far luce sulla scomparsa di migliaia di persone, così detti avversari del regime, i desaparecidos. Pérez Esquivel fu torturato ed imprigionato dal regime ma, e a dispetto dell’opposizione incontrata, insistette sempre affinché la lotta fosse condotta con metodi nonviolenti.
Il 14 giugno 2004 Esquivel scrive una lettera aperta (QUI la traduzione in italiano) indirizzata a Luciano Benetton. L’occasione particolare è quella di una famiglia mapuche che aveva tentato di recuperare un piccolo terreno all’interno di una proprietà Benetton in Argentina, così da poter vivere della terra e in armonia con la propria cultura. Più in generale, la lettera permette però a Esquivel di trattare il tema dei popoli originari; la necessità di prestar loro ascolto, rispettarli e ricordarci che esiste un’altra visione del mondo, della terra, della natura e delle relazioni umane, che ci richiama a sé.
Ecco un piccolo estratto della lettera, che trovate in forma integrale alla fine del testo:
“Deve sapere (Sig. Benetton) che quando si toglie la terra ai popoli originari, li si condanna a morte; o alla miseria e all’oblio. Però sempre esistono i ribelli, coloro che lottano per i propri diritti e la propria dignità in quanto persona e in quanto popolo.
Signor Benetton, lei ha comprato 90 mila ettari di terra nella Patagonia Argentina per aumentare il suo potere e la sua ricchezza; si comporta con la stessa mentalità dei conquistatori. Non ha bisogno di comprare armi per ottenere i suoi obiettivi, però uccide nello stesso modo, utilizzando il denaro. Vorrei ricordarle che non sempre ciò che è legale è giusto, e ciò che è giusto non sempre è legale.”
Dopo la creazione degli attuali stati di Cile e Argentina, i Mapuche, popolo originario di quelle terre, dovettero affrontare l’inizio di un’epoca di distruzione e annichilimento durante la quale perdettero gran parte delle terre che da sempre avevano abitato.
In Argentina, la così detta “Campagna del Deserto”, condotta dall’esercito nel 1800, coinvolse le provincie a sud di Buenos Aires, fino alla Patagonia. L’obiettivo era ottenere il controllo di quello che veniva letteralmente ritenuto un territorio disabitato, da riportare sotto sovranità statale. Centomila nativi vennero massacrati, la terra divisa tra ufficiali, soldati e imprese commerciali inglesi che avevano finanziato la campagna. Le poche comunità sopravvissute furono confinate in riserve, private di qualsiasi diritto o garanzia. Dai primi del Novecento lo stato argentino favorì la vendita di terre nazionali a stranieri facoltosi, complice, l’azione delle forze di sicurezza. I Mapuche soffrono da allora il mancato accesso alla terra, alle risorse naturali, alla possibilità di praticare la propria cultura (inestricabilmente connessa con la Pachamama) e di vivere come un popolo.
Questo, il panorama in cui entra ed attua la storia della famiglia Benetton nel continente sudamericano.
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