Lo scorso dicembre, da mercoledì 18 a sabato 21, si è svolto il momento di valutazione intermedia dei progetti Corpi Civili di Pace in corso di svolgimento, che coinvolgono il secondo gruppo di operatori volontari dall’inizio della sperimentazione. Sono stati giorni di intenso lavoro, dove sono emerse forti criticità ma altrettanti spunti operativi per proseguire questa esperienza al meglio ed in stretta collaborazione tra Dipartimento, Enti, Associazioni ed operatori volontari.
La realizzazione di tale seminario è stata fortemente voluta dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale, che ha partecipato attivamente e con costanza ai momenti di emersione e verifica dell’andamento dei progetti e dell’esperienza dei volontari. A guidare i 4 giorni di seminario il Prof. Marco Mascia del Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca”, la dott.ssa Luisa Del Turco, direttrice del Centro Studi Difesa Civile e Francesco Spada, formatore e collaboratore di Un Ponte per… e del Tavolo Interventi Civili di Pace, con il supporto di altri referenti degli Enti.
Condividiamo il contributo di Gloria Volpe, Corpo Civile di Pace del primo anno di sperimentazione, che ora accompagna gli attuali operatori volontari per Cesc Project, che ben riassume lo spirito di questo momento storico rispetto il cammino di costituzione dei Corpi Civili di Pace.
21 dicembre 2019 – Monitoraggio Intermedio CCP – II annualità
Villa Maraini, Croce Rossa Italiana
Credo che le parole abbiano un peso e un valore importante quindi ho preferito scrivere quest’intervento perché in quest’occasione sia bene scegliere quelle giuste.
Osservo questo Progetto da una posizione privilegiata. Quella di chi ne è stata protagonista, di chi è stata formata per formare altri futuri partecipanti potendo portare la voce e la testimonianza del primo anno e infine della formatrice junior che può continuare a osservare la crescita di questo Corpo e i suoi futuri sviluppi all’interno di un ente.
Mi è stato richiesto di portare oggi la voce del 1° gruppo dei CCP. È – evidentemente – una voce femminile, ma spero rappresenti anche una voce gentile e accogliente, decisa ma educata, critica ma non polemica, puntuale ma diplomatica, propositiva e costruttiva.
Le prime cose che mi vengono in mente se penso alla nostra formazione generale sono: una profonda stanchezza, dovuta a due settimane e 100 ore di formazione residenziale tra tutti i volontari e gli enti che parteciparono alla sperimentazione e un grande entusiasmo da parte di tutti noi volontari a cui per la prima volta, veniva chiesto di essere protagonisti di qualcosa di nuovo, degli enti che lo sognavano da decenni e dei formatori che lo incubavano da anni. Ricordo l’emozionante incontro con il professor Papisca, le cui idee continuano a camminare sulle gambe del professor Mascia per cui l’emozione di quelle lacrime ieri, presumo nasconda dietro una grande promessa.
In formazione pensavamo ci venissero date tutte le risposte. E invece no: erano sempre di più le domande. Ci venne chiesto aiuto per costruire il profilo del volontario CCP, capirne il mandato e ricordo che, anche se spesso si rantolava nel buio, la fiducia tra volontari ed enti nel lasciarsi guidare era reciproca. D’altronde, anche se tutto era così imperfetto, tanta la disorganizzazione e le criticità a partire dal lessico, dalle norme di sicurezza, dalla forma che si voleva dare a questo corpo, dai contenuti della formazione, prima di quello c’era il niente. Lo zero spaccato. E un passo indeciso era meglio del nulla totale. Era la prima volta per tutti e si trattava di sperimentarsi tutti: enti, formatori, volontari. La prima volta di un Corpo civile nonviolento che avrebbe operato per la costruzione della Pace voluto proprio dal nostro governo, o meglio, da una sua rappresentanza. Le aspettative erano alte, forse anche troppo, ma ogni volontario – chi più soddisfatto, chi meno – ognuno con le proprie inclinazioni, paure, domande, dubbi e capacità, insomma con la diversità umana che ci caratterizza e che rende bello il “Corpo”, alla fine eravamo d’accordo su una cosa: quanta crescita per chi aveva saputo viversela e accoglierla così com’era.
Credo sia importante precisare che personalmente sono molto soddisfatta di come sia andato il mio progetto. Credo sia giusto dirvi che per molti non fu lo stesso; ma credo sia doveroso in questa sede fare un’astrazione. A prescindere da qualsiasi sforzo teorico che aspira a definirvi, a darvi un’etichetta, aldilà di qualsiasi attività progettuale che vi inquadri sulla carta, per me e per tanti di noi, esser stati Corpi Civili di Pace ha significato allenare costantemente e duramente la pazienza, abbracciare il dolore degli altri e sperimentarsi forti come mai nel sostenerlo, essere un ponte nelle relazioni, usare le parole con responsabilità, prendere ancora più consapevolezza sul tema dei conflitti e per me quello colombiano in particolare. Ascoltare tutti senza pregiudizi, allenarsi ad entrare nella vita delle persone in punta di piedi, non temere il confronto con l’Altro, imparare dai beneficiari il significato del termine “resilienza” e reinventarsi sempre, esercitare la creatività, impegnarsi affinché un’idea diventasse concreta, rispolverare quotidianamente le motivazioni espresse in sede di colloquio, e infine non sforzarsi di interpretare un ruolo, ma essere se stessi.
Per il monitoraggio intermedio rientrammo carichi di tante cose: voglia di raccontare, piangere, sfogarsi, condividere, capire di più e fare meglio. A parte l’ascolto da parte dei nostri enti, nessun rappresentante istituzionale aveva preso alcun tipo di iniziativa.
C’erano state poste tante domande all’inizio, ma poi nessuno aveva voluto trovare lo spazio per l’ascolto quando l’esperienza era già stata avviata. A conclusione della stessa, il nostro ritorno fu anticipato per poter essere tutti presenti alla giornata conclusiva il 2 giugno.
Confesso il rammarico e la delusione sull’epilogo di quell’esperienza. Una stanzetta a Palazzo Venezia, molti enti e volontari assenti, la parata in corso e di conseguenza i rappresentanti istituzionali troppo impegnati per essere presenti. Pensavo a quanto cuore ed energia molti noi avevano riposto in quel Corpo, espressione timida di qualcosa che credevamo di rappresentare e che quel giorno non aveva trovato il tempo per guardarci negli occhi, ascoltarci o dirci grazie.
Ecco, non posso quindi non aver notato con emozione la Volontà di aver voluto creare oggi per voi uno spazio, seppur imperfetto e con molti disagi, per porgervi sì tante domande, ma per trovare il tempo di raccogliere le risposte; per la vicinanza, la presenza e l’interesse di chi l’Istituzione oggi la dirige e la rappresenta che ha voluto guardarvi tutti negli occhi e dirvi grazie per tutto quello che, seppur in modo imperfetto rispetto a come speravate, state facendo sul campo.
Non posso non essere felice nell’aver notato che quest’anno i moduli di formazione sono stati ricalibrati ascoltando i suggerimenti dei primi volontari, che si inizi a parlare di strategia di comunicazione condivisa e voler capire che sarà del futuro di questo corpo, le cui sembianze dipenderanno oltre che dalla volontà politica, anche da ciascuno di voi.
Domenica scorsa ho partecipato ad un incontro sulla Nonviolenza organizzato dal mio ente a cui erano presenti diversi obiettori di coscienza. Tra questi, Mario Pizzola, che il suo atto di disobbedienza lo ha pagato con il carcere nel 1971 e diversi volontari in servizio civile tra cui un rifugiato africano, un migrante residente in Italia ed una ragazza con minori opportunità della periferia romana. C’è stato un momento in cui ho avuto la sensazione che il tempo si potesse fermare. Mi chiedevo se Pizzola potesse immaginare che frutti avrebbe dato 50 anni dopo il suo gesto. Credo che questo sia uno di questi momenti storici che dovremmo avere la saggezza di riconoscere, la magia di fermare, l’opportunità di sfruttare e la pazienza e la consapevolezza nell’accettare che i frutti che speriamo darà, molto probabilmente, non saremo noi a raccoglierli. Ma che comunque, sarà una pagina tutta nostra di cui poter essere orgogliosi.
A nome quindi del primo gruppo dei Corpi Civili di Pace, godetevi al 100% questa esperienza così come verrà, lasciatevi guidare dalla curiosità, alzate lo sguardo, non puntate i piedi come fanno i militari, ma aprite le braccia e continuate a camminare in avanti e verso l’alto in direzione di questa grande Utopia.
Buon Servizio a tutti e tutte!
Gloria Volpe
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