Lettera aperta al presidente Monti sul Servizio Civile
“(…) Sono tornato dai sobborghi di Santiago del Cile, dove condividevo la vita degli ultimi della società (collaborando ai progetti in loco dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII), frastornato ma riempito di un’esperienza indimenticabile. Formativa, dura, ma soprattutto indimenticabile. Che mi ha fatto scegliere, in seguito, di rimanere in Italia per tentare di dare il mio contributo anche qui. Ora mi occupo di educazione, seguendo ragazzi in difficoltà e dedicando parte del tempo libero alla promozione della risoluzione nonviolenta dei conflitti. E sono nel team dei giornalisti di ‘Vita’, testata da sempre attenta ai temi sociali. (…)”
Gentile Mario Monti, stimato presidente del Consiglio,
le scrive una persona che ha a cuore le sorti del Servizio civile volontario. Ho 33 anni, sono sposato e padre di un bimbo piccolo, e oggi vivo nell’anacronistica ma affascinante terra di Brianza, dopo avere passato parte della mia giovinezza in vari luoghi, in Italia e all’estero.
Nel 2005, al termine dei miei studi universitari, ho svolto l’anno di Servizio civile volontario in Cile, all’interno del corpo civile di pace Caschi bianchi. Non mi posso definire un obiettore di coscienza, perché ero stato riformato dalla leva. Nessuno mi obbligava a prestare servizio, ma appena ho saputo dell’opportunità di partire come ‘volontario’ (tra virgolette, perché il corrispettivo mensile di 433,50 euro che viene dato,e che raddoppia se parti per l’estero, è comunque un’ottima dote), non ci ho pensato due volte, e ho fatto domanda. La ricerca di un lavoro vero? Poteva aspettare. Avevo bisogno di altro, in quel momento. E altri, da qualche parte, avevano bisogno del mio apporto. Così come di quello di centinaia di migliaia di giovani che hanno fatto la mia stessa scelta, in questi 11 anni da quando è stato istituito il Scn, Servizio civile nazionale.
Sono tornato dai sobborghi di Santiago del Cile, dove condividevo la vita degli ultimi della società (collaborando ai progetti in loco dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII), frastornato ma riempito di un’esperienza indimenticabile. Formativa, dura, ma soprattutto indimenticabile. Che mi ha fatto scegliere, in seguito, di rimanere in Italia per tentare di dare il mio contributo anche qui. Ora mi occupo di educazione, seguendo ragazzi in difficoltà e dedicando parte del tempo libero alla promozione della risoluzione nonviolenta dei conflitti. E sono nel team dei giornalisti di ‘Vita’, da sempre attenta ai temi sociali (e promotrice, di recente, del Manifesto per un servizio civile universale). Ma questa è la mia strada, fra tante.
Quello che più conta è il fatto che il Servizio civile sta per essere cancellato. Chissà quanto è costato, in termini umani, al ministro Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, annunciare che nel 2013, allo stato attuale dei finanziamenti governativi, il Scn chiuderà. Sono, siamo partiti in 300mila, dal 2001 a oggi. Ma sono solo il 30% di quelli che hanno fatto domanda. Un capitale umano di giovani d’oggi che c’è nel nostro paese, e se non fa notizia è perché non ha interesse ad apparire, ma lavora nel sottobosco mettendo il proprio seme per un mondo migliore. E per sentirsi meglio: perché a volte, il futuro, con i suoi grandi punti di domanda (anche alla luce delle sfide attuali, crisi economica in primis), fa proprio paura.
Lei è un professore universitario. I giovani, e le loro aspirazioni, li ha osservati e li osserva da decenni. E dopotutto, giovane lo è stato anche lei. Penso che sia d’accordo con chi diceva questa frase: ‘bisogna realizzare un sogno per continuare a sognare’. Ecco, svolgere l’anno di servizio civile, in termini di difesa nonviolenta della patria, è stato per molti la realizzazione di un sogno.
La stimolo, prima di mettere la firma sulla chiusura del Scn, a chiedersi quale alternativa avrebbero, da quel momento in poi, le centinaia di migliaia di giovani che non potranno più sperare nel Servizio civile. Rimane il puro (ed encomiabile) volontariato, certo. Ma lei sa che, a quell’età e con il turbinio di cose che passano per la testa e per il cuore di un giovane dai 18 ai 28 anni, non è proprio la stessa cosa.
A conti fatti, si tratta di recuperare 140 milioni di euro all’anno, che significherebbero almeno 20mila partenze. Tanti soldi, in un momento di crisi e di tagli come l’attuale. D’istinto, mi viene da suggerirle di chiedere al ministro della difesa di togliere un altro cacciabombardiere Joint strike fighter F-35 dalla lista delle spese militari italiane. Ma sicuramente, nonostante l’evidente valenza simbolica di un tale gesto, la questione è più complessa. Allora affido le mie speranze a lei, al ministro Riccardi, a chiunque abbia competenza in materia. Recapito questa lettera al suo indirizzo e-mail di senatore. Magari a qualcun altro viene (o è già venuta) la stessa idea.
Grazie di avermi dedicato il suo tempo.
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