Caschi Bianchi Paesi Bassi

UN GIARDINO SOCIALE PER RISCOPRIRSI E RINASCERE

Il giardino, ci racconta Nicola, rappresenta un “terreno fertile per seminare nuove opportunità di vita per chi, a causa di errori o difficoltà, si è trovato ai margini della società”

Scritto da Nicola Angelico, Casco Bianco in Servizio Civile con APG23 a Boxtel

Nei Paesi Bassi c’è un giardino sociale che racconta storie di resistenza e trasformazione. Non è solo un luogo dove si coltivano piante, ma anche un terreno fertile per seminare nuove opportunità di vita per chi, a causa di errori o difficoltà, si è trovato ai margini della società.
Durante il mio servizio qui come Casco Bianco, ho avuto l’opportunità di collaborare con questo progetto di reintegrazione sociale, il Voedseltuin Boxtel, rivolto principalmente a ex detenuti e persone senza fissa dimora. Il giardino rappresenta per loro un’occasione di rinascita: uno spazio dove ritrovare dignità, imparare competenze utili e, soprattutto, riscoprire un senso di appartenenza.
Uno degli episodi che porto nel cuore è quello di K. L, un uomo di mezza età che, dopo aver scontato la sua pena, si è unito al progetto. All’inizio, il suo atteggiamento era schivo, quasi ostile. Durante i primi giorni, evitava di parlare con gli altri partecipanti e lavorava in silenzio. Tuttavia, con il tempo, il semplice atto di piantare un albero o curare le aiuole ha iniziato a sciogliere le sue barriere. Ricordo ancora quando, un giorno, ha raccolto con orgoglio una piccola cassetta di melanzane che aveva coltivato. “Non avrei mai pensato di essere capace di qualcosa del genere”, mi ha detto con un sorriso che parlava di speranza ritrovata. Era un cambiamento tangibile: ho avuto l’impressione che in quel momento K. L. non vedesse più sé stesso solo come “un ex detenuto”, ma come una persona con qualcosa da offrire al mondo.
Questa esperienza, come quella di molti altri, mi ha insegnato quanto le cornici culturali possano influenzare il modo in cui interpretiamo le nuove opportunità che ci vengono date. Per alcuni partecipanti infatti il giardinaggio appariva inizialmente come un “lavoro da poco”, lontano dall’idea di un impiego tradizionale. Per gli operatori locali del progetto invece, rappresentava una tappa cruciale per aiutare i beneficiari a riacquisire abitudini positive e a costruire un nuovo percorso. Questa discrepanza ha generato qualche tensione, ma è stata affrontata con empatia e dialogo. L’importanza di ascoltare e comprendere i bisogni individuali è emersa come il vero ponte per superare le differenze e creare un ambiente in cui tutti potessero sentirsi valorizzati. Scrivere e raccontare questa esperienza è per me un dovere e un privilegio. Da un lato, dà voce a persone come K. L., le cui storie di resilienza meritano di essere conosciute. Dall’altro, mi permette di riflettere sul ruolo delle comunità nel costruire una società più inclusiva, dove anche chi ha sbagliato possa avere una seconda possibilità.
Nel giardino sociale, ogni pianta che cresce è il simbolo di una vita che si rimette in cammino. È un luogo che ci ricorda che la cosa più triste nella vita è il talento sprecato, e che le scelte che fai plasmeranno la tua vita per sempre, ma con il giusto supporto, anche il terreno più arido può tornare a fiorire.

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