Arrivare a Nairobi vuol dire arrivare nel caos dell’enorme città con un’urbanizzazione rapida ed incontrollata, vuol dire lasciare che i vestiti siano sistematicamente pieni di polvere e i piedi sporchi di terra, vuol dire respirare lo smog dei motori che si muovono nelle strade e nei tragitti più inimmaginabili.
A Nairobi si cammina in fretta e con rapidi salti si balza e si scende dai matatu, gli autobus che attraversano la città. Le persone ci chiamano “wazungu” perché siamo, appunto, “bianchi” e mi accorgo di quanto la nostra pelle scintilli e porti con sé un’eredità storica e sociale impegnativa che chiede di essere riconosciuta e attraversata.
In questo crocevia e in tutta questa Vita si trova il G9, la casa in cui abbiamo iniziato a vivere insieme a 21 ragazzi, a Simone e ad altre volontarie e volontari. Anche questa casa accoglie tante Vite, tante persone che la abitano o che di giorno vengono a lavorare, ad aiutare, a chiedere un aiuto o un supporto.
Il G9 è vivace, dinamico, c’è sempre qualcosa da fare tra spazi da pulire, vestiti da sistemare, compiti da fare insieme ai ragazzi, uniformi scolastiche da lavare, attività da proporre nel tempo libero. E ci sono anche tanti altri progetti che la Comunità Papa Giovanni XXIII porta avanti oltre a questo e tanti altri ragazzi e ragazze che supporta pagando le rette scolastiche e seguendo il loro percorso formativo.
Tutto ciò ci tiene costantemente attive e in azione e ci richiede tanta energia. La sfida è quella di sapersi fermare, di sapere osservare sguardi e ascoltare parole senza farsi prendere dalla frenesia, di allargare il tempo con un abbraccio, una coccola, un saluto dedicato prima di riprendere i propri impegni.
In un luogo in cui i bisogni sono numerosi ed è possibile ogni giorno avere innumerevoli cose da fare, sto iniziando a scoprire che esserci è la prima azione significativa. Essere accanto, condividere la vita semplice, quotidiana con le sue fatiche, con i suoi ritmi e con le sue piccole e profonde bellezze. Dedicarci con tutte noi stesse con una cura che è di tutti i giorni, non occasionale, a volte stanca per il peso delle giornate trascorse, a volte così tanto entusiasta di essere qui ed avere l’opportunità di conoscere questi ragazzi e queste persone che ci fanno spazio in mezzo a loro
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