Caschi Bianchi Kenya

KIBÓKO NI…? – COS’È IL KIBÓKO?

 Tra sogni di cambiamento e ostacoli radicati, Lucia esplora un paese giovane e in continua lotta per la dignità e la giustizia

Scritto da Lucia Pandolfo, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a Nairobi

Quando nella lingua coloniale mi chiedono “what is your first impression of Kenya?” rispondo che, beh, a parte la spazzatura dispersa ovunque in periferia… mi sta piacendo molto! Ma non so come dire che mi sembra indietro cent’anni, e che ha in sé la forza di un ippopotamo infuriato impossibile da trattenere.
Sto sbirciando la vita della capitale da otto settimane, e l’aspetto più ingombrante in questo scorcio è l’atteggiamento contrastante della popolazione giovanissima con cui convivo.

Qui a Zimmerman, in periferia a Nairobi, tutte le risorse, umane e non, mi sembrano un po’ piazzate lì sotto cielo, come un grosso animale a pelo d’acqua; risorse quasi dimenticate e incastrate in qualche sentenza sociale non detta.

La plastica non viene quasi mai raccolta dalla terra polverosa, o solo da poche associazioni. I ragazzi vengono tirati su dai pericoli della strada, ma puniti nelle scuole a suon di kiboko, il bastone.
Dall’altra parte, sotto tanta cenere brucia un fuoco forte e inestinguibile. Sotto i cavalcavia le donne urlano mia mia mia! per vendere vestiti usati a 100 scellini l’uno (meno di un euro).

La gen-Z, i maggiorenni freschi freschi e i nuovi cittadini, sono scesi per le strade i martedì e i giovedì, per protestare contro la corruzione del Governo. La canzone “Anguka nayo”, che è l’inno delle proteste, ha riempito il centro e i tratti della Tika Road sempre intasati di traffico, così come le case di legno e fango dei villaggi lontani 5 ore di matatu dalla capitale.

Ecco, il Kenya in questo momento mi sembra carico delle ambiguità del kiboko. In swahili questa parola indica sia il bastone delle punizioni sia l’ippopotamo. Infatti convivono il desiderio di giustizia e il sopruso, la lentezza e la furia. E sento che sì è interpellati dalla necessità di scegliere tra la sottomissione e la dignità, la punizione o la perseveranza, la violenza o la proattività.

Nessun abitante è escluso da questo cammino verso una dignità piena. Scelgo di restare ad operare ed osservare perché credo nella bellezza non vista di questi vicoli e nell’orgoglio vulcanico di questa gente.

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