Jennifer, Abraham, Nora e China. Quattro sono le voci, impregnate di storie completamente diverse tra loro, che abbiamo scelto di ascoltare. Nelle loro varie esperienze esiste, infatti, qualche mattoncino che le accomuna.
Tutti e quattro frequentano il Comedor, la mensa sociale della Comunità Papa Giovanni XXIII a Peñalolén, a Santiago del Cile. È qui che li abbiamo conosciuti durante il nostro servizio civile e dove abbiamo condiviso con loro rumorose mattine e pasti caldi. Tutti e quattro vivono in strada o, se non in questo momento, si sono comunque trovati in una situazione economica tanto precaria da non permetter loro di avere una casa. Le interviste in cui rivestono un ruolo da protagonisti si concentrano proprio su quest’ultimo concetto, la casa. Che tipo di sfumature assume la “casa” quando coincide con la strada, quando è composta da qualche scatolone e un materasso all’angolo di una via, quando viene con cura costruita e poi, per un ordine della polizia o per una tempesta inaspettata, dev’essere di fretta smembrata e ripensata? E quali sono le emozioni di chi si trova a vivere questa situazione d’erranza costante, di ricerca, di cambiamenti non voluti e repentini?
Con la volontà di scardinare alcuni luoghi comuni rispetto alla vita “de calle” e di lasciar spazio ampio a chi la conosce davvero ogni giorno, ci siamo fatte raccontare senza filtri com’è vivere in strada in una metropoli così grande, caotica e a volte pericolosa.
Jennifer, Abraham, Nora e China sono 4 persone su 21.272. Perché secondo il Ministerio de Desarollo Social y Familia nel 2024 è proprio questo il numero di persone senza fissa dimora in tutto il Cile. 6% in più rispetto al 2023 e 102% in più rispetto al 2017 quando il registro era di 10.509. Solo nella Región Metropolitana si stimano 8.780 persone. Sono numeri che mettono spavento e l’aumento è stato quasi esponenziale. Secondo il Ministero, le ragioni principali di tale aumento sono state le proteste – in Cile conosciute con il termine di “estallido social” (letteralmente “esplosione, scoppio sociale”) – che tra il 2019 e il 2020 si sono riversate per le strade cilene, e la pandemia. Questi due fenomeni hanno causato molte problematiche a livello sociale ed economico. Molti cittadini si sono ritrovati a vivere in strada e la motivazione non è mai solo una. Si parla di alto consumo di alcool e/o droga e di problemi familiari, ma ci sono anche problemi economici, disabilità fisiche e/o mentali, malattie croniche e problemi con la giustizia. Le cause, quindi, sono sempre multifattoriali.
Per questo la scelta delle interviste. Oltre le cause, le loro voci ci trasmettono la consapevolezza di come ci siano arrivati a questo punto e di dove sono. Si evidenziano diverse modalità di affrontare la strada e di come viverla giorno per giorno.
In realtà Jennifer non vive in strada, afferma di vivere in un appartamento, ma dal suo racconto emerge la difficoltà di mantenersi e di andare avanti in questa società. Non riesce ad arrivare a fine mese. Ma è felice. Per lei “casa” significa essere felice. Dai suoi occhi oltre alla gratitudine traspare lo sguardo di una vita passata fatta di dolori e sofferenze. È stato importante per noi darle voce perché anche se non vive direttamente in strada, condivide tutte le sue mattinate con noi e con i ragazzi del Comedor.
Abraham è venezuelano e da più di tre anni si trova in Cile. Questa è la storia di un ragazzo immigrato senza documenti. Afferma di non avere una casa e di vivere in strada addormentandosi di notte dove capita. Tramite le sue parole ci facciamo raccontare quali siano i codici e le regole che si instaurano tra le persone che vivono nella sua stessa situazione caratterizzata da paura, violenza e continui rischi.
Nora vive in un “ruco”. In Cile con questo termine si indica una specie di abitazione precaria costruita con ciò che si ha a disposizione. Si possono vedere in molte zone della città. Sono strutture spesso fatiscenti e non stabili. Nora in questo caso vive in una tenda vicino ad un parco. Per lei questa è casa. Vive con il suo compagno e ha un piccolo fornello con il quale può cucinare. Si sente libera e non sente pressioni. Con lei però entriamo nei lati più nascosti della strada. Quelli fatti di codici e di violenze. Ma in questo caso è una donna che ce li racconta. Perché di notte Santiago si trasforma. E nel mondo parallelo di chi vive in queste situazioni per una donna diventa indispensabile sapersi difendere, molto spesso da sola.
China è stata la prima intervista che abbiamo svolto. Dura solo qualche minuto ma è un’esplosione di emozioni forti. Da nove mesi vive in una macchina abbandonata. Dalle sue parole si delinea un forte senso di abbandono non solo dalla famiglia ma anche da questa società in cui è immersa.
A concludere ognuna di queste storie di vita è la stessa domanda che abbiamo posto anche agli intervistati del primo articolo – “Voci oltre la dipendenza” – di questo piccolo cammino di volti e vissuti: senza preavviso chiediamo… “cos’è per te la felicità?” Le risposte che ci vengono date ci lasciano ancora una volta, inaspettate, in uno stato di riflessione. Jennifer, Abraham, Nora e China ci permettono di intravedere le loro paure, le loro sofferenze e le loro speranze. E una volta spenta la videocamera, in silenzio, ringraziamo di cuore i ragazzi con un forte abbraccio.
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