Caschi Bianchi Kenya

RELAZIONI CHE CURANO

M.C. è una delle tante mamme sole che vivono a Soweto, una baraccopoli di Nairobi, dove mancano gli strumenti per condurre una vita dignitosa. Attraverso la relazione è possibile accompagnare e costruire un’alternativa, seppur in un contesto socialmente e politicamente molto difficile

Scritto da Francesca Lacognata, Lorenzo Reggiani e Valeria Albonetti, Caschi Bianchi in Servizio Civile con Apg23 a Nairobi

Soweto è una piccola baraccopoli di Nairobi, tra l’area di Kahawa West e Githurai. L’odore di scarico, di spazzatura bruciata e alcool è caratterizzante quando si percorrono le vie sterrate e spesso sporche di questo posto. È un’area abbastanza pericolosa per la povertà, la criminalità e l’elevato consumo di changa, l’alcool tipico di questo slum prodotto e venduto illegalmente.

Fra le tante famiglie che conosciamo di Soweto c’è quella di M.C., una signora che abbiamo conosciuto all’inizio del nostro servizio e che ci siamo presi a cuore. M.C. è una donna di 31 anni con tre figli: D. di 14 anni, che frequenta il quinto anno della scuola primaria, S. di 12 anni, che frequenta la quarta elementare e P., che ha 7 anni e frequenta la seconda elementare.

Una mattina M.C.è venuta a chiedere aiuto al G9 centre, la struttura che accoglie minori vittime di povertà e dipendenza dove prestiamo servizio, in quanto la mancanza di lavoro non le permetteva di mantenere la famiglia e i tre bambini, su suo insegnamento, avevano iniziato a rubare. Già dal primo incontro abbiamo avuto modo di conoscere il suo carattere: timido e riservato ma al tempo stesso scontroso e pretenzioso quando richiede qualcosa. Inoltre, negli anni ha adottato la tecnica di far parlare la figlia maggiore quando hanno bisogno di qualcosa. Tempo fa lavorava già al G9 centre come signora delle pulizie ma poi è stata licenziata per aver rubato. La Comunità Papa Giovanni XXIII, che gestisce il Centro, ha comunque continuato a pagarle l’affitto e la scuola dei bimbi. Da questo incontro l’associazione ha deciso di riassumerla e adesso lava i vestiti dei ragazzi tre volte la settimana.

Noi Caschi Bianchi abbiamo deciso di seguirla dal punto di vista relazionale prendendoci l’impegno di andare a cena da lei una volta la settimana. Cenare da lei è un momento per giocare insieme, fare i compiti con i bimbi e un’ottima occasione per costruire una relazione. Un giorno, mentre lavava i vestiti, ha avuto una crisi epilettica e da quel momento ci siamo interessati anche della sua situazione medica accompagnandola in ospedale e aiutandola a prendere le medicine. Ci siamo resi conto che senza il nostro aiuto non sarebbe mai andata a fare le visite in ospedale, sia per motivi economici sia per un’incapacità di muoversi al di fuori della baraccopoli. Anche durante le prime visite abbiamo notato che non è in grado di spiegare ai medici la sua situazione e per questo, a volte, abbiamo portato con noi anche D., la figlia maggiore. Grazie alla Comunità adesso sta seguendo una terapia e noi la affianchiamo nell’accompagnarla alle visite e nell’assunzione delle medicine.

Prima di iniziare questo percorso ci siamo dovuti confrontare con lei e la sua idea che la malattia fosse una conseguenza del malocchio da parte della famiglia dell’ex marito. È stata un’occasione di confronto culturale, abbiamo accettato il suo punto di vista ma al tempo stesso le abbiamo spiegato la natura della sua malattia e l’importanza della terapia, soprattutto per i suoi figli. Ha accettato il nostro aiuto e le cure mediche e adesso ci ricorda quando sta per finire le medicine e ha la visita di controllo. Con il passare del tempo ci rendiamo conto che stiamo creando un bel rapporto con loro e soprattutto la mamma, che all’inizio era molto riservata, adesso scherza e parla molto con noi.

La storia di M.C. è emblematica di tutte le mamme single con figli che abbiamo conosciuto. Si tratta di donne che spesso fanno lavori giornalieri e hanno a carico i loro figli, vivono quindi in condizioni di estrema povertà e questo molto spesso le porta ad essere scontrose e con problemi relazionali. Sono vittime di un’ingiustizia sociale e di una mancanza del governo: solitamente il papà non si prende cura dei figli e mancano delle Istituzioni che supportino le persone con difficoltà. Nel caso di MC. si aggiungono anche i problemi di salute che si scontrano con un sistema ospedaliero non accessibile ai poveri. Tutto questo si riflette su D. che si occupa della mamma, dei fratelli e della cura della casa quando lei ha le crisi.

Ci auguriamo che l’aiuto che le stiamo dando dal punto di vista relazionale sia a lungo termine e che, anche dopo la nostra partenza, riesca a prendersi cura della famiglia e della sua malattia.  Da questo incontro con loro abbiamo riflettuto su quanto sia difficile la vita di una persona sola e con problemi di salute che vive in una baraccopoli in condizioni di povertà e disagio. È un’ingiustizia che non hanno scelto e che fanno fatica a riconoscere perché sono nati in quel contesto e senza l’aiuto di qualcuno non hanno i mezzi per provare a migliorare la loro situazione

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