Scrivo queste parole dai corridoi e dalle sale del Palazzo delle Nazioni di Ginevra. Mentre scrivo mi passano davanti una moltitudine di persone: gruppi di ragazzini che fanno visite guidate, delegati dei vari Stati, membri di organizzazioni e associazioni, ecc. Ognuno con la propria storia e i propri motivi che li hanno condotti qui.
Inevitabilmente mi viene da chiedermi perché sono qui. Sono qui in quanto Fiorella o in quanto casco bianco? Sono qui come spettatrice, come comparsa o come protagonista?
Non ho ancora tutte le risposte pronte e non pretendo di averle subito. Una certezza che ho, invece, riguarda il fatto che per essere in questo palazzo ho dovuto fare un percorso ben preciso. Un percorso personale iniziato anni fa e che è ancora in corso. Qualcosa difficile da esprimere a parole, ma che in definitiva ha plasmato i miei ideali e i miei valori. Tra questi, il bisogno di fare del bene, di aiutare chi ne ha bisogno, di promuovere la pace e la solidarietà, di ascoltare e di dar voce a chi non ne ha.
Queste e molte altre sono le ragioni che mi hanno portata a percorrere questa strada. E la figura del casco bianco penso mi si addica molto in questo senso.
Presenziando alle riunioni della 54esima sessione del Consiglio dei diritti umani, ho la possibilità di camminare su una sorta di ponte che divide la realtà, spesso tragica, dalle aspettative.
Per aspettative mi riferisco agli obiettivi che le Nazioni Unite si propongono, in particolare all’impegno che si assumono per mantenere la pace e la sicurezza internazionale e per promuovere il progresso sociale ed economico di tutti i popoli.
All’art. 55 della Carta delle Nazioni Unite, le Nazioni Unite promuovono “il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione” al fine di mantenere rapporti pacifici ed amichevoli tra le Nazioni.
Purtroppo, la realtà ci dimostra come gli sforzi dell’ONU non sempre abbiano portato al raggiungimento degli obiettivi che si erano proposti. Purtroppo, la cooperazione tra stati non è mai stata facile e questo lo intravedo ogni giorno in queste sale.
Ma qual è, se non questa organizzazione, la tribuna più adatta per trovare un equilibrio negli interessi dei vari stati? Non è questa la struttura in grado di riassumere e riunire gli sforzi comuni a tutti gli stati? Pensando a questo, mi vengono in mente le parole che il segretario generale delle Nazioni Unite ha pronunciato lo scorso anno durante la cerimonia di apertura della Cop27: “L’umanità ha una scelta: cooperare o morire […]. È tempo che le nazioni si uniscano per agire. È tempo di solidarietà internazionale a tutto campo”. In questo discorso egli si riferisce all’attuale crisi climatica, ma il concetto di solidarietà internazionale lo si può estendere all’universalità dei diritti umani.
Davanti al significato di solidarietà internazionale ritorno a pensare al confine tra aspettative e realtà e mi domando tra quanti anni si vedranno i risultati degli attuali “buoni propositi”.
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