Caschi Bianchi Cile

Quotidianità nascoste – Jorge

Incontri di quotidianità in una mensa sociale – Parte 1 di 3

Scritto da Matteo Graziani, Casco Bianco in Servizio Civile con Apg23 a Santiago del Cile

La realtà dei senza fissa dimora mi affascina. Il loro mondo sembra viaggiare parallelamente al nostro, alla civiltà, fatta di regole e schemi condivisi e appresi da tutti fin dalla nascita. Valori che però non sono per nulla scontati e che, se dimenticati, sono molto difficili da acquisire nuovamente.

Questo ultimo passaggio non credo sia molto evidente ai più, io stesso l’ho scoperto solo vivendo a contatto con loro. Infatti, se dovessi prendermi in esame, prima di questa esperienza la mia convinzione era sempre stata che chi vive per strada è pigro, senza alcuna voglia di lavorare e darsi da fare per migliorare la sua vita. Davo loro una connotazione negativa per come erano associati all’alcolismo e all’uso di droghe. In realtà è una situazione estremamente più complessa nella quale giocano temi come violenza, educazione e sofferenza.

Quest’anno mi sono potuto spingere nel profondo di questa realtà in una zona della comuna di Santiago de Chile chiamata Peñalolén. Qui, prestando servizio in una mensa sociale, ho preso parte al progetto Comedor Tata Oreste e ho conosciuto alcune figure iconiche del posto.

Primo tra tutti è Jorge, una figura leggendaria qui, presente fin dal giorno dell’apertura del progetto (si parla di più di vent’anni fa) ed ormai aiutante indispensabile nella struttura.

Jorge in realtà non vuole essere intervistato, ma vale la pena che io provi a trasmettere a parole mie la sua attitudine e il suo carattere.

La routine di Jorge è abbastanza semplice. Si sveglia molto presto al mattino, alle 6.00 o forse anche prima e poi si dirige verso la struttura, poco sotto casa sua.

Aspetta fuori finché la mensa non apre, di solito verso le 9.00. Qui fa colazione e inizia a processare le verdure che serviranno per la preparazione del pranzo. Alcuni senza fissa dimora a causa della vita di strada perdono la testa, impazziscono, lui invece aiuta sempre, è un uomo fidato, amato e rispettato da tutti e a sua volta viene aiutato dalla comunità.

Io solitamente arrivo alle 9.30 e mi saluta sempre con un forte ¡Buenas tardes! in modo ironico. Lui con me scherza molto, anche se non è di troppe parole. Ogni mattina con un sorrisino stampato sulla bocca non si dimentica di ripetermi una domanda, tutti i giorni e più volte nello stesso giorno: ¿donde está la niña?

Evidentemente a lui piacerebbe essere circondato da ragazze mentre lavora, precisando che le tratterebbe come figlie e con il massimo rispetto. Purtroppo per quest’anno però lo deludiamo, non ci sono niñas nel gruppo, forse ci sarà qualche speranza per l’anno prossimo.

Sì, prima avete letto bene, lui ha la fortuna di avere una casa che si paga con la pensione di invalidità.

Al di fuori del Comedor è una persona ben rispettata, vive la vita in piazza con gli altri, condivide lo stile di vita e le storie. Spesso mi è capitato di incrociarlo ubriaco nel pomeriggio a petto nudo, felice di vedermi solo perché sono una persona conosciuta.

Sebbene aiuti, Jorge è abbastanza pigro al comedor, borbotta parecchio lamentandosi sul da fare e passa molto tempo seduto. Fa il minimo necessario e si accontenta. Io ogni tanto, quando devo chiedergli un favore in più, me lo tengo buono con qualche snack arrivato da qualche donazione. Riguardo a merendine e dolcetti, è tremendamente geloso e invidioso, soprattutto quando questi vengono regalati ad altre persone senza che prima vengano condivisi con lui.

È innamorato di una signora che a volte viene ad aiutarci. Pur sapendo che lei ha un’altra relazione, comunque chiede di lei e accoglie con gioia ogni suo bacio. Spesso la sua mancanza causa in Jorge un senso di frustrazione che lo porta ad assumere la quantità di alcol assunto.

In un ambiente così, a volte capita che alcuni utenti vengano a mancare, vista la loro situazione psicofisica precaria. Si sa, l’inverno, soprattutto, è un periodo terribile per loro. La cosa strana è la tranquillità con cui viene comunicata la morte e il modo con cui ci si relazioni ad essa. I ragazzi della strada prendono le notizie con una tranquillità inaudita e la vita prosegue senza battere ciglio, come se fosse tutto normale. Anche Jorge è così, dopo aver avuto la notizia dell’ultimo decesso mi ha raccontato che stava sperando che la volta dopo toccasse a lui, esperar pa’ que? (aspettare per quale motivo) mi ha detto. Come se si fosse già arreso al corso della sua vita e tutto fosse in funzione quello, ormai senza significato. Mi ha reso un po’ triste.

Un grazie particolare  ai Caschi Bianchi Alessandro Dayan e Caterina Gradenigo

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